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Il famoso sociologo francese Alain Besançon scopre “la religione della Shoah”

Già alla fine degli anni settanta, al primo duro colpo che avevo inferto agli storici dell’“Olocausto” (oggi spesso denominato “Shoah”), questi avevano manifestato il loro smarrimento. Mentre io mi ponevo sul piano scientifico per dimostrare, senza replica possibile, che le loro pretese camere a gas omicide erano tecnicamente inconcepibili, loro, abbandonando la ragione per la fede, si erano ridotti a rispondermi miseramente: “Non occorre chiedersi come, tecnicamente, un tale assassinio di massa sia stato possibile; è stato tecnicamente possibile poiché ha avuto luogo” (“La politique hitlérienne d’extermination: une déclaration d’historiens”Le Monde, 21 febbraio 1979, p. 23; per maggiori dettagli su questa controversia degli anni 1978-1979 si può consultare il mio Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’Histoire, La Vieille Taupe, Parigi 1980, p. 69-101). Il 3 maggio 1980, in una lettera indirizzata à Jean Daniel [vero nome: Jean-Daniel Bensaïd, fondatore e caporedattore del settimanale Nouvel Observateur], parlavo già, di conseguenza, de “la nuova religione” o dei “sostenitori della religione dell’‘olocausto’” e concludevo: “Non vi sarà alcun cambiamento repentino quando sarà chiaro che l’‘olocausto’ è una menzogna storica. Le religioni, d’altronde, non spariscono che molto lentamente per lasciare il posto ad altre religioni. Accade che, personalmente, io preferisco ad andare dalla fede verso la ragione” (ibid., p. 261-263). Avevo ben visto che, non potendo ricorrere all’argomentazione tecnica, scientifica o storica, la parte avversa cercava necessariamente una scappatoia nell’invenzione religiosa accompagnata da processi di stregoneria. Il risultato è che, ai nostri giorni, nel 2009, è divenuta evidente l’esistenza di una “religione della Shoah”. Ultimamente si poté leggere nel quotidiano Le Monde un articolo su “la Shoah” “elevata da Nicolas Sarkozy a ‘religione di Stato’” (Gérard Courtois recensendo un libro di Guy Konopnicki, 4 aprile 2009, p. 26). Ed ecco che in uno studio su “Benoît XVI et les intégristes” (in Commentaire, n° 125, primavera 2009, p. 5-11), si scoprono, per la penna del sociologo Alain Besançon, le seguenti osservazioni:

Nella scala del sacro, non c’e nulla oggi che possa disputare il primo posta alla Shoah (p. 9 A);

Nella parte alta della graduatoria, abbiamo dunque la Shoah. Le si può assegnare, secondo criteri esterni, un quasi-statuto di religione (p. 10 A);

Divenuta universale [questa religione] mantiene l’elezione del popolo ebraico decisa dalla volontà diabolica di Hitler, e non dalla benevola decisione di Dio. Essa lo apre alla simpatia, nel senso più forte, del mondo cristiano. Da tutto questo discendono delle modifiche nella scala della dignità, nell’elenco degli oggetti che non si possono toccare se non con mani tremanti, nella gerarchia dei valori, nel prestigio di coloro che ne sono i guardiani. In prima fila dunque, incontestabilmente, la Shoah (p. 10 B).

Si è tentati di affermare che la religione della Shoah e la religione dell’umanitarismo, variamente combinate, costituiscono la religione civile delle democrazie dell’Occidente […] Gli eroi della religione della Shoah, poi quelli della religione umanitarista [l’abbé Pierre, suor Emmanuelle, …], si trovano nella parte alta della graduatoria (p. 11 B).

 

Nelle ultime due pagine del suo studio (10-11), l’autore utilizza per sette volte l’espressione “la religione della Shoah”.

Nato nel 1932, comunista tesserato dal 1951 al 1956, A. Besançon è membro dell’Institut de France e direttore didattico all’École des hautes études en sciences sociales nonché all’Institut d’histoire sociale. Raymond Aron, che ha fondato la rivista Commentaire nel 1978, è stato, ci dice, suo “maestro”. Il 13 dicembre 2004, A. Besançon ha reso un vibrante omaggio alla memoria del gran rabbino Jacob Kaplan in occasione d’una sessione straordinaria dell’Académie des Sciences morales et politiques. Egli è l’autore di un certo numero di opere e di studî nei quali, in particolare, tratta dapprima della “disgrazia del secolo” provocata, secondo lui, dal comunismo e dal nazismo, in seguito de “l’unicità della Shoah”. Egli è cattolico. Denunciando i “fantasmi negazionisti”, attacca “coloro che negano la Shoah e che respingono la massa schiacciante delle prove positive della sua realtà” (p. 6 A e 7 B), ma egli non descrive uno solo di questi fantasmi né fornisce una sola di tali prove. Neppure per un istante egli spiega come e perché, in un lasso di tempo cosi breve, la versione ebraica della storia della seconda guerra mondiale sia diventata religione o, meglio, la religione di tutto il mondo occidentale. Egli non ci dice come mai nel XXI° secolo “non si può toccare che con mani tremanti” gli elementi sensibili di questa religione conquistatrice e dominatrice.

Perché un sociologo del calibro di Alain Besançon è rimasto muto per così tanto tempo sull’esistenza di uno straordinario fenomeno di società di cui non ha saputo cogliere la nascita alla fine degli anni settanta, e di cui egli persiste, nel 2009, a non esplicarci il prodigioso sviluppo in questi ultimi trent’anni? Jean-Marie Le Pen osserva, non senza ragione, che oggi siamo arrivati al punto che la seconda guerra mondiale è in qualche modo diventata un dettaglio… de “la Shoah”. Perché e in che modo è stata possibile una tale aberrazione? Com’è possibile che le strabilianti stramberie di Padre Patrick Desbois su “la Shoah per proiettili” o su “la Shoah mediante soffocamento [sotto piumini o cuscini]” siano divenute nel 2009, con il viatico di Nicolas Sarkozy, di Simone Veil e dei vescovi di Francia, materia di catechesi nei nostri istituti liceali e ginnasiali, sia pubblici che privati? Qualsiasi essere dotato di ragione non può che arrossire alla lettura delle fantasmagorie spacciate da questo dannato burlone, Padre Desbois, nel suo libro Fucilateli tutti!: la prima fase della Shoah raccontata dai testimoni (Marsilio, Venezia 2009, 292 p.). Martin Gray ed il suo negro, Max Gallo, autori di In nome dei miei, sono stati surclassati.

Il 7 agosto 2008 ho dedicato al fenomeno della frode e della credulità shoatiche un testo intitolato “La religione secolare dell’‘Olocausto’ è un prodotto – adulterato – della società consumistica”. Ivi ho proposto una spiegazione razionale del crescente successo incontrato, soprattutto dopo il 1980, da questa nuova religione detta de “l’Olocausto” o de “la Shoah”. Adesso che A. Besançon scopre, infine, a sua volta questa religione, si deciderà a spiegarcene razionalmente il mistero? Se lo facesse, scoprirebbe che i revisionisti, lungi dal cadere nei “fantasmi”, hanno accumulato una “massa schiacciante” di “prove positive” a sostegno delle loro conclusioni. Ma, per rendersene conto, occorrerebbe tuttavia iniziare a leggere le loro opere. A. Besançon, dopo essersi risvegliato, nel 1956, dagli effetti dell’oppio comunista, potrebbe un giorno risvegliarsi dal sonno della ragione in cui ci immerge questa “religione della Shoah” che egli sta scoprendo, circa trent’anni dopo i revisionisti?

“La religione della Shoah” non tollera le altre religioni e, in particolare, la religione cattolica romana se non in quanto ad essa subordinate. Benedetto XVI lo sa, e davanti ad essa si prostra e si umilia. Particolarmente menzognera, “la religione della Shoah” fa appello all’odio ed alla crociata. In questo senso, per riprendere l’immagine utilizzata da Jean Jaurès a proposito del capitalismo, si può dire della nuova religione che essa “porta in sé la guerra come le nuvole portano il temporale”.

12 maggio 2009