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La religione secolare dell’“Olocausto” è un prodotto – adulterato – della società consumistica

La religione dell’“Olocausto” è secolare: essa appartiene al mondo laico, è profana e dispone, di fatto, del braccio secolare, cioè un’autorità temporale dal potere temuto. Ha il proprio dogma, i suoi comandamenti, i suoi decreti, i suoi profeti ed i suoi gran sacerdoti. Così come lo fece notare un revisionista, questa religione ha la sua galleria di santi e di sante, fra i quali Sant’Anna (Frank), San Simone (Wiesenthal) e Sant’Elia (Wiesel). Ha i suoi luoghi santi, i suoi rituali ed i suoi pellegrinaggi. Ha i suoi edifici sacri (macabri) e le sue reliquie (sotto forma di saponette, scarpe, spazzolini da denti ecc.). Ha i suoi martiri, i suoi eroi, i suoi miracoli e miracolati (a milioni), la sua leggenda dorata ed i suoi giusti. Auschwitz è il suo Golgota. Per lei, Dio si chiama Jahweh, protettore del suo popolo eletto, che, come si precisa nel salmo 120 di Davide recentemente invocato da una procuratrice francese, Anne de Fontette, in occasione di un processo intentato ad un revisionista francese, punisce “le labbra false”. Per questa religione Satana si chiama Hitler, condannato, come Gesù nel Talmud, a bollire per l’eternità negli escrementi. Essa non conosce né pietà, né perdono, né clemenza ma soltanto il dovere di vendetta. Ammassa fortune grazie al ricatto e all’estorsione ed acquisisce inauditi privilegi. Essa detta la sua legge alle nazioni. Il suo cuore batte a Gerusalemme, al museo dello Yad Vashem, in un paese conquistato a spese dei locali; al riparo di un muro di 8 metri di altezza destinato a proteggere il suo popolo che è il sale della terra, i praticanti dell’“Olocausto” impongono sul “goy” una legge che è la più pura espressione del militarismo, del razzismo e del colonialismo.

Una religione recentissima dallo sviluppo folgorante

Anche se è in gran parte una metamorfosi della religione ebraica, la nuova religione è recentissima ed ha conosciuto uno sviluppo spettacolare. Per lo storico, il fenomeno è eccezionale. Il più delle volte una religione di taglia universale ha le sue radici nei tempi lontani e oscuri, ciò che rende arduo il compito dello storico delle idee e delle istituzioni religiose. Qui ecco però che, per fortuna dello storico, nello spazio di una cinquantina d’anni (1945-2000), sotto i nostri occhi, una nuova religione, quella dell’“Olocausto”, ha improvvisamente preso piede per poi svilupparsi con una stupefacente velocità ed estendersi oggi un po’ ovunque. Essa ha conquistato l’Occidente ed intende imporsi nel resto del mondo. Ogni ricercatore che si interessa al fenomeno storico che costituisce la nascita, la vita e la morte di una religione dovrebbe quindi cogliere l’insperata occasione che si presenta nell’andare a studiare da vicino la nascita e la vita di questa nuova religione, per poi calcolarne le possibilità di sopravvivenza e le possibilità della sua scomparsa. Ogni polemologo in attesa dei segni premonitori di una conflagrazione dovrebbe stare attento ai rischi di una crociata guerriera nella quale può trascinarci questa religione conquistatrice.

Una religione che sposa la società consumistica

Come regola generale, la società consumistica mette in pericolo o compromette le religioni e le ideologie. Ogni anno l’accrescimento della produzione industriale e dell’attività commerciale crea nelle coscienze nuovi bisogni e desideri, ben concreti, che allontanano gli uomini dalla sete dell’assoluto o dall’aspirazione all’ideale di cui si nutrono le religioni e le ideologie. Peraltro, i progressi della comunità scientifica rendono gli uomini sempre più scettici per quanto riguarda la veridicità dei racconti e delle promesse che queste ultime fanno loro. Paradossalmente, prospera soltanto la religione dell’“Olocausto” che regna per così dire senza riserve e ottiene che si metta al bando dell’umanità gli scettici che agiscono a volto scoperto, che essa chiama “negazionisti” e che essi si definiscono “revisionisti”.

Ai giorni nostri sono in crisi o talvolta in via di estinzione le idee sia di patria, di nazionalismo che di razza, di comunismo e perfino di socialismo. Altrettanto in crisi sono le religioni del mondo occidentale, ivi compresa la religione giudaica e, a loro volta, ma in modo meno evidente, le religioni non occidentali, anch’esse messe alla prova dalla forza di attrazione della società consumistica; indipendentemente da ciò che se ne può pensare, la religione musulmana non fa eccezione: il bazar attira le masse più della moschea e, in certi regni petroliferi, la società consumistica, nelle forme più stravaganti, lancia una sfida sempre più insolente alle regole di vita decretate dall’islam.

Per quanto riguarda il cattolicesimo romano, questi è colpito da anemia; per riprendere le parole di Louis-Ferdinand Céline, è diventato “cristianemico”. Fra i cattolici ai quali si rivolge Benedetto XVI°, quanti ve ne sono che credono ancora alla verginità di Maria, ai miracoli di Gesù, alla resurrezione fisica dei morti, alla vita eterna, al paradiso, al purgatorio e all’inferno? Il discorso degli uomini di chiesa si limita di solito a ripetere con insistenza che “Dio è amore”. Le religioni protestanti o assimilate si diluiscono, con le loro dottrine, in un’infinità di sette e varianti. La religione giudaica vede i suoi fedeli, sempre più restii davanti all’obbligo di osservare tante prescrizioni e divieti così strampalati, disertare la sinagoga e, in numero sempre crescente, praticare il matrimonio misto.

Ma, mentre le credenze o le convinzioni occidentali hanno perso molto della loro sostanza, la fede nell’“Olocausto”, essa, si è rafforzata. Ha finito per creare un legame – una religione, quanto meno secondo l’etimologia corrente, è un legame (religat religio) – che permette a degli insiemi disparati di comunità e di nazioni di condividere una fede comune. In fin dei conti, cristiani ed ebrei cooperano oggi in blocco a propagare la fede olocaustica. Si vede anche un buon numero di agnostici o di atei riempire le fila sotto la bandiera dell’“Olocausto”. “Auschwitz” realizza l’unione di tutti.

È che questa nuova religione, nata in un’epoca dove la società consumistica prendeva il volo, ne porta il segno. Ne ha il vigore, l’abilità, l’inventiva. Sfrutta tutte le risorse del marketing e della comunicazione. Le infamie dello Shoah Business non sono che gli effetti secondari di una religione che non è altro, in modo intrinseco, che una pura invenzione. Partendo dai frammenti di una realtà storica, tutto sommato banale in tempo di guerra, come l’internamento di una buona parte degli ebrei europei in ghetti o in campi, i suoi promotori hanno costruito una gigantesca impostura storica: quella del preteso sterminio degli ebrei d’Europa, dei presunti campi dotati di camere a gas omicide e, infine, dei presunti sei milioni di vittime ebraiche.

Una religione che sembra aver trovato la soluzione della questione ebraica

Attraverso i millenni, gli ebrei, all’inizio generalmente ben accolti nei paesi che li ospitavano, hanno finito per suscitare un fenomeno di rigetto che ha portato alla loro espulsione ma, assai spesso, usciti dalla porta, rientravano da un’altra porta. In diverse nazioni dell’Europa continentale, verso la fine del XIX° secolo e agli inizi del XX° secolo, il fenomeno ha fatto la sua ricomparsa. “La questione ebraica” è stata posta particolarmente in Russia, in Polonia, in Romania, in Austria-Ungheria, in Germania e in Francia. Tutti, a partire dagli stessi ebrei, si sono messi a cercare “una soluzione” a questa “questione ebraica”. Per i sionisti, che furono in minoranza per molto tempo fra i loro correligionari, la soluzione non poteva essere che territoriale. Conveniva trovare, con l’accordo delle nazioni imperiali, un territorio dove avrebbero potuto trasferirsi i coloni ebrei. Questa colonia sarebbe stata individuata, ad esempio, in Palestina, in Madagascar, in Uganda, nel Sud America, in Siberia. La Polonia e la Francia preferivano la soluzione del Madagascar mentre in Unione Sovietica veniva creato nella Siberia meridionale il territorio autonomo del Birobigian. In quanto alla Germania nazionalsocialista, essa stava studiando la possibilità di un insediamento degli ebrei in Palestina ma finì per accorgersi, a partire dal 1937, dell’aspetto non realista di questa soluzione e del grave pregiudizio che sarebbe stato causato ai Palestinesi. In seguito, il III° Reich volle creare una colonia ebraica in una parte della Polonia (il Judenreservat di Nisko, a sud di Lublino), poi, nel 1940, auspicò seriamente la creazione di una colonia in Madagascar (il Madagaskar Projekt). Nella primavera 1942, in seguito alle necessità di condurre una guerra terrestre, marittima e aerea e preso dalle preoccupazioni sempre più angoscianti di dover salvare le città tedesche da un diluvio di fuoco, di salvaguardare la vita stessa del suo popolo, di mantenere in attività l’economia di tutto un continente così povero di materie prime, il Cancelliere Hitler fece sapere ai suoi collaboratori, in particolare al ministro del Reich e capo della Cancelleria del Reich Hans-Heinrich Lammers, di voler “rinviare a dopo la guerra la soluzione della questione ebraica”. Costituendo in suo seno una popolazione sicuramente ostile alla Germania in guerra, gli ebrei, o quanto meno una buona fetta di essi, dovettero essere deportati ed internati. Quelli che erano in grado erano destinati al lavoro, gli altri venivano confinati in campi di concentramento o di transito. Mai Hitler volle o autorizzò il massacro degli ebrei e le sue corti marziali sono arrivate perfino a punire con la pena di morte, anche in territorio sovietico, coloro che si resero colpevoli di eccessi contro degli ebrei. Lo Stato tedesco non auspicò mai, per quanto riguarda gli ebrei, qualcosa di diverso da “una soluzione finale territoriale della questione ebraica” (eine territoriale Endlösung der Judenfrage) e ci vuole tutta la disonestà dei nostri storici ortodossi per evocare continuamente “la soluzione finale della questione ebraica” omettendo deliberatamente l’aggettivo, così importante, di “territoriale”. Fino alla fine della guerra la Germania non cessò mai di proporre agli Alleati occidentali la consegna di ebrei internati ma a condizione che questi fossero sistemati, ad esempio, in Gran Bretagna e che non andassero ad invadere la Palestina per tormentarvi “il nobile e valente popolo arabo”. La sorte degli ebrei d’Europa, nel quadro generale, non ha avuto niente di eccezionale. Non avrebbe meritato più di una menzione in quello che è il grande libro della storia della seconda guerra mondiale. Abbiamo dunque il diritto di stupirci quando oggi la sorte degli ebrei viene fatta passare per essere stata l’elemento essenziale di questa guerra.

Dopo la guerra è appunto in terra di Palestina e a spese dei Palestinesi che i sostenitori della religione dell’“Olocausto” hanno trovato, o hanno creduto di trovare, la soluzione finale territoriale della questione ebraica.

Una religione che brancola nei suoi metodi di vendita (la palinodia di Raul Hilberg)

Consiglio ai sociologi di avviare una storia della nuova religione esaminando con quali tecniche, estremamente variegate, questo “prodotto” è stato creato, lanciato e venduto nel corso degli anni 1945-2000. Essi misureranno la distanza che separa i procedimenti, spesso maldestri, dell’inizio della sofisticazione, alla fine, dei packagings dei nostri attuali spin doctors (storti esperti della “com”) nella loro presentazione dell’“Olocausto” ormai trasformatosi in un prodotto kasher di consumo forzato.

Nel 1961, Raul Hilberg, il primo degli storici dell’“Olocausto”, “il papa” della scienza sterminazionista, pubblicò la prima versione della sua opera maggiore, The Destruction of the European Jews. Egli vi espresse dottoralmente la tesi seguente: Hitler aveva dato degli ordini in vista del massacro organizzato degli ebrei e tutto si spiegava partendo dai suoi ordini. Questo modo di presentare le cose doveva portare ad un fiasco. I revisionisti avendo chiesto di vedere questi ordini, Hilberg fu costretto ad ammettere che questi non erano mai esistiti. Dal 1982 al 1985, sotto la pressione degli stessi revisionisti che chiedevano di vedere a che cosa poteva assomigliare la tecnica delle magiche camere a gas omicide, egli fu costretto a rivedere la sua presentazione del soggetto olocaustico. Nel 1985, nell’edizione “rivista e definitiva” della sua stessa opera, invece di mostrarsi affermativo e secco col lettore o col cliente, cercò di circuirlo con ogni tipo di proposito astruso, facendo appello al suo presunto gusto per i misteri della parapsicologia e del paranormale. Egli espose la storia della distruzione degli ebrei d’Europa senza menzionare il benché minimo ordine, né di Hitler né di nessun altro, di sterminare gli ebrei. Egli spiegò tutto con una specie di diabolico mistero: spontaneamente i burocrati tedeschi si erano passati parola per uccidere tutti gli ebrei fino all’ultimo. “Innumerevoli decisori in seno ad un apparato amministrativo molto esteso” (countless decision makers in a far-flung bureaucratic machine) collaborano nell’impresa sterminatrice in conseguenza di un “meccanismo” (mechanism) e questo senza un “piano di base” (basic plan) (pag. 53); questi burocrati “crearono un clima che permise di fare progressivamente a meno della parola formale e scritta come modus operandi” (created an atmosphere in which the formal, written word could gradually be abandoned as a modus operandi) (pag. 54); ci furono delle “intese primarie fra responsabili producendo decisioni che non necessitavano né ordini precisi né spiegazioni” (basic understandings of officials resulting in decisions not requiring orders or explanations); “era una questione di stato d’animo, di comprensione condivisa, di consonanza e di sincronizzazione” (it was a matter of spirit, of shared comprehension, of consonance and synchronization); “non ci fu un’unica agenzia incaricata di tutta l’operazione” (no one agency was charged with the whole operation); non ci fu “alcun organismo centrale che dirigesse o coordinasse tutto l’insieme del processo” (no single organization directed or coordinated the entire process) (pag. 55). Per farla breve, secondo Hilberg, questo sterminio programmato era avvenuto ma senza che fosse possibile dimostrarlo veramente con documenti comprovanti alla mano. Due anni prima, nel febbraio 1983, in occasione di una conferenza svoltasi alla Avery Fischer Hall di New York, egli presentò questa tesi, stranamente fumosa, nella seguente forma: “Ciò che iniziò nel 1941 fu un processo di distruzione senza piano prestabilito, senza organizzazione centralizzatrice di alcuna agenzia. Non ci fu uno schema direttivo e nemmeno un bilancio di spesa per le misure di distruzione. Queste misure furono prese passo per passo, una alla volta. Si produsse quindi non tanto la realizzazione di un piano, quanto un incredibile incontro di menti, una consensuale trasmissione di pensiero realizzata nell’ambito di un’estesissima burocrazia”. Questa vasta impresa distruttrice si era realizzata, magicamente, con la telepatia e con l’operazione diabolica del genio burocratico “nazista”. Possiamo dire che, con Raul Hilberg, la scienza storica è diventata cabalistica o religiosa.

Serge e Beate Klarsfeld, dal canto loro, hanno voluto impegnarsi sulla stessa strada della falsa scienza facendo appello al farmacista francese Jean-Claude Pressac. Per diversi anni il malcapitato ha tentato di vendere il prodotto adulterato sotto una forma pseudo-scientifica ma, avendo scoperto l’impostura, Pressac, nel 1995, fece un totale dietro-front ed ammise che, a conti fatti, il dossier dell’“Olocausto” era “marcio” e buono solo “per le discariche della storia”; tali furono le sue parole. La notizia venne tenuta nascosta per cinque anni e fu rivelata soltanto nel 2000 alla fine di un opera di Valérie Igounet, altra venditrice della Shoah e autrice di Histoire du négationnisme en France (Seuil, Parigi; testo di Pressac alla pag. 652).

Una religione che infine scopre le tecniche di vendita up to date

Ed è qui che sono entrati in scena gli spin doctors. Essendo il prodotto diventato sospetto e avendo cominciato i potenziali clienti a porsi delle domande, fu necessario un’inversione di marcia, cioè rinunciare a difendere la merce con argomenti all’apparenza scientifici e adottare una procedura assolutamente moderna. I nuovi praticanti della religione hanno deciso di accordare la porzione congrua all’argomentazione logica e di sostituire alla ricerca di fondo il ricorso ai sentimenti e all’emozione, dunque all’arte, al cinema, al teatro, al romanzo storico, allo spettacolo, allo story telling (arte contemporanea di improvvisare un racconto o di inquadrare una “testimonianza”), al circo mediatico, alla scenografia di museo, alle cerimonie pubbliche, ai pellegrinaggi, all’adorazione delle (false) reliquie e dei (falsi) simboli (camere a gas simboliche, cifre simboliche, testimoni simbolici), all’incanto, alla musica e perfino al kitsch, il tutto accompagnato dai procedimenti di vendita forzata provvisti di minacce di ogni genere. Il cineasta Steven Spielberg, specialista della fiction scapigliata ed extraterrestre, è diventato il grande ispiratore sia dei film olocaustici che per il casting di 50.000 testimoni. Per meglio vendere il loro prodotto adulterato i nostri falsi storici e veri mercanti hanno ottenuto di farlo pregustare agli alunni fin dalla scuola elementare, vantaggio enorme perché è nell’età più giovane dove si contraggono gli appetiti che fan sì che, più avanti, il cliente non ha più bisogno di essere sollecitato: sarà lui stesso a reclamare ciò che aveva così tanto gustato durante la sua infanzia, siano esse cose dolci o veleno. E fu così che si è presa in giro la storia e che ci si è messi al servizio soltanto di una certa Memoria, cioè di un guazzabuglio di chiacchiere, di leggende, di calunnie che procurano ai clienti il piacere di sentirsi buoni e bravi (to feel good) e di cantare tutti in coro le virtù del povero ebreo, di maledire i “nazisti” intrinsecamente perversi, di fare appello alla vendetta e di sputare sulle tombe dei vinti. Alla fine non resta altro che incassare un sacco di bei soldini e nuovi privilegi. Pierre Vidal-Naquet fu soltanto un principiante: innanzitutto, nel 1979, egli si mostrò troppo scontato, troppo brutale nella sua promozione dell’“Olocausto”. Ad esempio, invitato dai revisionisti a spiegare come diavolo, dopo un’operazione di gasazione con acido cianidrico (componente attivo dell’insetticida “Zyklon B”), una squadra di detenuti ebrei (Sonderkommando) poteva entrare impunemente in un locale ancora saturo di questo temibile gas per manipolarvi ed estrarre fino a migliaia di cadaveri impregnati di veleno, lui rispondeva, assieme ad altri 33 universitari, di non dover dare alcuna spiegazione. Spielberg, uomo più abile, mostrerà in un film una “camera a gas” dove, per una volta, “per miracolo”, i pomelli delle docce rilasceranno… acqua e non gas. In seguito, P. Vidal-Naquet aveva in modo maldestro tentato di rispondere ai revisionisti sul piano scientifico ma si rese ridicolo. Claude Lanzmann, dal canto suo, nel suo film Shoah, aveva cercato di esibire delle testimonianze o delle confessioni ma era apparso pesante, maldestro e ben poco convincente; per lo meno aveva capito che la cosa principale era “fare del cinema” ed essere in vista. Oggi più nessuno “storico” dell’“Olocausto” si azzarda di provare la realtà dell’“Olocausto” e delle sue magiche camere a gas. Tutti agiscono come Saul Friedländer nella sua ultima opera (Gli Anni dello Sterminio / la Germania Nazista e gli Ebrei: 1939-1945, Garzanti, Milano 2009): danno ad intendere che tutto ciò sia realmente avvenuto. Con loro la storia si fa assiomatica, sebbene i loro assiomi non siano neanche formulati. Questi nuovi storici procedono con una sfrontatezza tale che il lettore, sbalordito, non si rende affatto conto del raggiro al quale è soggetto: gli imbonimentitori commentano a perdifiato un avvenimento del quale, per cominciare, non ne hanno nemmeno stabilito la semplice esistenza. Ed è così che il cliente, credendo di comperare una merce, acquista in realtà l’imbonimento di colui che gli ha vantato il proprio prodotto. Oggi, il campione del mondo di sbruffonata olocaustica è un goy di servizio, Padre Patrick Desbois, un dannato burlone le cui diverse pubblicazioni dedicate alla “Shoah per proiettili”, in particolare in Ucraina, sembrano attingere le cime del tam-tam pubblicitario giudeo-cristiano.

Una success story delle grandi potenze

In una vera success story nell’arte della vendita, l’impresa olocaustica si è guadagnata lo status di una lobby internazionale. Questa lobby si è confusa con la lobby ebraica americana (la cui organizzazione-guida è l’AIPAC), la quale essa stessa difende colle unghie e coi denti gli interessi dello Stato di Israele, di cui “l’Olocausto” è la spada e lo scudo. Le nazioni più potenti del globo non possono permettersi di contrariare una rete simile di gruppi di pressione che, dietro un manto di religiosità, è stata prima di tutto commerciale per diventare poi militar-commerciale e spingere ad un crescendo di avventure militari. Ne consegue che altre nazioni, dette emergenti, hanno interesse, se vogliono entrare nelle grazie del più forte di loro, a piegarsi ai desideri di quest’ultimo. Senza necessariamente professare la loro fede nell’“Olocausto”, esse contribuiranno, se necessario, alla divulgazione dell’“Olocausto” nonché alla repressione di coloro che ne contestano la veridicità. Ad esempio, i Cinesi, sebbene non abbiano nessun interesse per questa futilità in sé, si tengono alla larga da qualsiasi messa in dubbio del concetto di “Olocausto ebraico”, ciò che permette loro di presentarsi in qualità di “ebrei” nei confronti dei Giapponesi durante l’ultima guerra mondiale e di far valere il fatto che anche loro sono stati vittime di un genocidio, il quale, come per gli ebrei – essi pensano – aprirà probabilmente la strada degli indennizzi finanziari e dei vantaggi politici.

Una religione particolarmente mortale

Il disagio per la religione dell’“Olocausto” sta nel fatto che è troppo secolare. Pensiamo al Papato che, nei secoli passati, ha appoggiato la sua forza politica e militare su un potere temporale, il quale, alla fin dei conti, causò il suo stesso declino. La nuova religione è intimamente legata allo Stato d’Israele, agli Stati Uniti, all’Unione Europea, alla NATO, alla Russia, alle grandi banche (che lei fa piegare alla sua volontà quando, sull’esempio delle banche svizzere, queste sono recalcitranti), all’affarismo internazionale e alle lobby dei mercanti d’armi. A questo punto, chi può garantirle un vero futuro? Si è indebolita garantendo, di fatto, la politica di nazioni o di gruppi dagli appetiti smisurati, il cui spirito di crociata mondiale, come lo si può ben notare nel Vicino e nel Medio Oriente, è diventato avventurista.

È successo che delle religioni scomparissero assieme agli imperi dove queste regnavano. Il fatto è che le religioni, come le civilizzazioni, sono mortali. Quella dell’“Olocausto” è doppiamente mortale: essa incita alla crociata guerriera e corre verso la sua fine. Essa vi correrà comunque incontro anche se lo Stato ebraico deve scomparire dalla terra di Palestina. Gli ebrei che allora si disperderanno nel resto del mondo non avranno più da fare, come ultima risorsa, che gridare ad un “Secondo Olocausto”.

7 agosto 2008

 

NB: Nel 1980 trattai già della “nuova religione” dell’“Olocausto” nella mia Mémoire en défense contre ceux qui m’accusent de falsifier l’histoire (La Vieille Taupe, Parigi, pag. 261-263). Nel 2006 ho redatto due articoli sul tema “La ‘mémoire juive’ contre histoire ou l’aversion juive pour tout examen critique de la Shoah” e “Le prétendu ‘Holocauste’ des juifs se révèle de plus en plus dangereux”; questi due articoli sono appena stati pubblicati nelle Etudes Révisionnistes, vol. 5 (595 p.), pag. 61-71, 86-90, Editions Akribeia, 45/3 Route de Vourles, F-69230 ST GENIS-LAVAL, 35 euro.