Un falso: “La preghiera di Giovanni XXIII per gli ebrei”
Noi siamo oggi coscienti del fatto che molti molti secoli di cecità hanno offuscato i nostri occhi in modo che non possiamo più né vedere la bellezza del Tuo Popolo Eletto né riconoscere sui loro volti i tratti dei nostri fratelli privilegiati. Noi ci rendiamo conto del fatto che il marchio di Caino sta sulle nostre fronti. Nel corso dei secoli, il nostro fratello Abele è rimasto a giacere nel sangue che noi avevamo fatto scorrere o ha versato le lacrime che noi causavamo dimenticando il Tuo Amore. Perdonaci per la maledizione che noi abbiamo falsamente attribuito al loro nome di ebrei. Perdonaci per averTi crocifisso una seconda volta nella loro carne. Perché non sapevamo quello che facevamo… [tradotto dall’inglese]
Questa “preghiera per gli ebrei” attribuita a papa Giovanni XXIII, morto il 3 giugno 1963, è un falso. Questo falso è apparso nel gennaio 1965 in un “rapporto” della rivista ebraica americana Commentary intitolato “Vatican II and the Jews” (Il Vaticano II e gli ebrei) a firma di F. E. Cartus, presentato da detta rivista come “lo pseudonimo di un osservatore cattolico romano che ha seguito molto da vicino gli sviluppi del concilio ecumenico”.[1]
Il solo contenuto di questo testo avrebbe dovuto far pensare che un papa, anche molto favorevole agli ebrei come lo era Angelo Roncalli (1881-1963), non poteva proprio esprimersi in questi termini sul conto dei cattolici. Questa “preghiera” equivale, infatti, a dire: gli ebrei sono belli; essi sono il popolo eletto da Dio; essi portano sui loro volti i tratti dei nostri fratelli privilegiati. Per secoli gli ebrei hanno versato sangue e lacrime. Noi, cattolici, siamo stati ciechi di fronte a tutto ciò. I nostri propri volti sono ripugnanti in quanto portano il marchio di Caino. Noi siamo responsabili del sangue e delle lacrime versate dagli ebrei. Noi abbiamo dimenticato l’amore di Dio. Noi abbiamo mentito inventando che Dio aveva maledetto gli ebrei. Siamo noi – e non gli ebrei – che abbiamo crocifisso Dio. Noi eravamo degli incoscienti.
Questo testo è eccessivo; traspira troppo odio per gli uni e troppo amore per gli altri.
Seguendo cronologicamente il destino di questa “preghiera” sulla sola stampa francese dal 1966 ai giorni nostri, ci si accorge che, prima, il falso è stato ben presto denunciato, poi che, davanti ai ripetuti assalti di certuni a favore di un testo così interessante per la causa degli ebrei, prima si è taciuta la verità, poi si è lasciato credere che si trattasse di un documento autentico. Il giornale “Le Monde”, per esempio, cercherà per alcuni anni di mettere in guardia i lettori contro il falso, che presenterà prudentemente come “apocrifo”, poi rinuncerà ad ogni messa a punto e persino, come si vedrà, finirà per farsi implicitamente garante del falso.
Anno 1966
Con il titolo “Une Prière de Jean XXIII pour les juifs” (Una Preghiera di Giovanni XXIII per gli ebrei), La Documentation catholique pubblicava un testo presentato come la riproduzione di un articolo di La Liberté di Friburgo (Svizzera) del 9 settembre 1966. Il testo incominciava così:
Gli ambienti vaticani hanno confermato il 7 settembre l’esistenza e l’autenticità di una preghiera composta da Giovanni XXIII soltanto alcuni giorni prima della sua morte e nella quale il Papa chiede perdono a Dio per tutte le sofferenze che la Chiesa cattolica ha fatto subire agli ebrei.
L’esistenza di questa preghiera che, secondo le intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto essere recitata in tutte le chiese, era stata annunciata recentemente nel corso di una conferenza a Chicago da Monsignor John S. Quinn, che fu uno degli esperti del Concilio.[2]
Seguiva il testo della “preghiera”. Non veniva fornita nessuna precisazione sugli “ambienti vaticani” che pare avessero confermato l’autenticità del pezzo, né sulla fonte che permettesse d’affermare che, secondo le intenzioni del Papa, la “preghiera” doveva essere recitata in tutte le chiese.
Un mese dopo, “La Documentation catholique” pubblicava una smentita con il titolo: “La Prière de Jean XXIII pour les juifs est un faux” (La Preghiera di Giovanni XXIII per gli ebrei è un falso). Ecco il testo integrale della smentita:
La Segreteria di Stato ha pubblicato, il 26 ottobre, il seguente comunicato in merito alla cosiddetta preghiera di Giovanni XXIII pubblicata sul nostro numero del 2 ottobre, col. 1728, facendo eco ad una nostra informazione di stampa alla quale noi non aggiungevamo alcun commento personale:
La Documentation catholique (2 ott. 1966, n. 1479, col. 1728) riproduce, secondo La Liberté di Friburgo, del 9 settembre precedente, una “preghiera di Giovanni XXIII per gli Ebrei” ed afferma che gli ambienti vaticani ne avrebbero confermato l’autenticità. Si tratta, in realtà, di un falso.
La Liberté di Friburgo ha ripreso questo testo dal giornale olandese De Tijd del 18 marzo 1965. De Tijd lo aveva ricevuto dall’“American Commentary” di Chicago (organo dell’American Jewish Committee) del gennaio 1965, firmato da uno pseudonimo (“F. E. Cartus”) senza alcuna indicazione di fonte né di autenticazione. Il fatto stesso di pubblicare la cosa sotto uno pseudonimo avrebbe dovuto mettere in guardia. Monsignor Quinn, che è di Chicago, fece sua questa preghiera (si può credere, in piena buona fede) e ne parlò ad una riunione interconfessionale.
Nessun ufficio vaticano può avere confermato l’autenticità di questa preghiera, che non esiste né nella Penitenzieria apostolica, né negli scritti, sia stampati che inediti, di Papa Giovanni XXIII.
Monsignor Loris Capovilla, che è il depositario di questi ultimi, smentisce senza esitare l’autenticità di questa preghiera.
Da un attento esame del testo emerge d’altronde che essa è estranea allo stile e al vocabolario del compianto Pontefice.[3]
Poco prima il giornale Le Monde aveva pubblicato un articolo intitolato “La Prière pour les juifs attribuée à Jean XXIII est apocryphe”. L’articolo era presentato come proveniente dall’inviato speciale del giornale a Roma ed era datato 26 ottobre. Esso incominciava in questi termini:
“La preghiera per gli ebrei attribuita a Giovanni XXIII è apocrifa”. Tale è l’asserzione categorica che noi abbiamo avuto da una fonte competente del Vaticano.
Il resto dell’articolo mostrava che il corrispondente di Le Monde e l’autore dell’articolo pubblicato su “La Documentation catholique” del 6 novembre avevano attinto dalla stessa fonte, a Roma. Ma Le Monde procedeva a smorzare il tono in tre modi. Invece di un titolo chiaro, sceglieva un titolo oscuro ed inesatto: “apocrifo”, parola rara, significa: la cui autenticità è dubbia. Invece di precisare che il testo proveniva da Commentary, organo dell’“American Jewish Committee”, si accontentava di dire: “[Questa preghiera] è stata pubblicata negli Stati Uniti.” Infine, per attenuare maggiormente il valore di quella che esso chiamava l’“asserzione” (affermazione che viene presentata come vera) di una fonte competente del Vaticano, il giornale aggiungeva questo commento:
Questa smentita riguarda molto precisamente solo questo testo. Non può rimettere in discussione l’atteggiamento di papa Giovanni che espresse, si sa, la volontà d’includere nei documenti conciliari una dichiarazione sugli ebrei, il cui principale autore fu il cardinale Bea.[4]
Anno 1967
Sei mesi dopo quest’avvertimento di Le Monde, Henri Fesquet, inviato speciale del giornale a Lione al congresso dell’amicizia giudeo-cristiana di Francia, cominciava nondimeno il suo articolo in questi termini:
L’epopea della rinascita dello Stato d’Israele, nonostante l’ambiguità del suo significato, ha forzato l’aspettativa del mondo mentre la Chiesa romana si dava poco dopo un papa veramente attento alle richieste di Jules Isaac, autore di L’Enseignement du mépris; Giovanni XXIII non confessava forse: “Il segno di Caino è inciso sulle nostre fronti. Secoli e secoli di cecità ci hanno chiuso gli occhi. Perdonaci, Signore, per averTi crocifisso una seconda volta nella carne degli ebrei. Perché non sapevamo quello che facevamo”?[5]
Si confronterà la versione di Henri Fesquet con la versione originale dei falsari.
Alcuni giorni dopo, Le Monde pubblicava una rettifica dal semplice titolo “Jean XXIII et les juifs”. Confidava che il frammento della “preghiera”, citato dal suo corrispondente, era stato “attinto dall’opera Rome et les Juifs del Sig. P. E. Lapide, che è appena stata pubblicata – tradotta dall’inglese – dalle Editions du Seuil”. Dopo questa pubblicità per un’opera contenente un falso, aggiungeva che Monsignor Capovilla aveva “smentito tardivamente [sic] l’autenticità [della preghiera]”.[6]
Anni 1974-1975
Il 31 dicembre 1974, Le Monde pubblicava una corrispondenza del “Sig. Paul Samuel da Parigi” con il titolo “L’UNESCO, il Vaticano ed Israele”. Si trattava di una protesta contro l’attribuzione da parte del Vaticano del premio Giovanni XXIII all’UNESCO. Il Sig. Samuel riteneva che l’UNESCO, escludendo Israele, avesse obbedito “alla dittatura del totalitarismo petrolifero”; quanto alla decisione del Vaticano, egli la criticava, giudicando che “il più grande papa del ventesimo secolo, Giovanni XXIII, non avrebbe agito così”. E citava il testo della “preghiera”. Le Monde accettava di pubblicare questa lettera, mentre essa conteneva un falso contro il quale il giornale non riteneva più necessario mettere in guardia i lettori.[7]
L’ironia della sorte volle che degli ebrei, probabilmente commossi e felicissimi di scoprire la “preghiera”, scrivessero al giornale per stupirsi del silenzio che attorniava questo documento. Tale fu il caso di “M. et M.me Léon Zack, de Vanves”. Fu proprio necessario decidersi a smentire. Ma la smentita di Le Monde assunse una forma tale che il lettore poteva credere che il “testo apocrifo” fosse stato diffuso con la stessa buona (o cattiva) fede da Commentary (senza indicazione del carattere ebraico della pubblicazione) e da “vari organi di stampa d’Europa”, compresa “La Documentation catholique”. Titolo scelto: “À propos de la prière apocryphe de Jean XXIII sur les juifs” (A proposito della preghiera apocrifa di Giovanni XXIII sugli ebrei).[8]
Anno 1983
Il 30 gennaio 1983, Alexandre Szombati pubblicava su Le Monde una pretesa “Indagine sull’omicidio di Theodor Erich von Furtenbach che si diceva nazista”. Egli scriveva:
Dopo la guerra, la Chiesa ha rinnegato i propri smarrimenti e persino un papa ha riconosciuto “il segno di Caino sulle nostre fronti”.
Queste parole erano attribuite ad un “testimone” dell’assassinio, un omicidio che, sia detto per inciso, sarebbe valso all’assassino un solo giorno di prigione; quest’ultimo aveva fatto un’opera pia.[9]
Anno 1989
Nel settembre 1989, in una trasmissione della rete televisiva La Cinq sul Carmelo di Auschwitz, Jean Kahn, presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (CRIF), lesse dinanzi al teologo gesuita padre Martelet la “preghiera” di Giovanni XXIII. Padre Martelet si guardò bene dal segnalare che si trattava di un falso.
Il mese successivo, in occasione del capodanno ebraico, lo stesso Jean Kahn concedeva un’intervista a due giornalisti di Le Monde, Patrice Jarreau e Henri Tincq. Nel corso dell’intervista, egli dichiarava:
[Monsignor Decourtray] ha deciso, pure, di trasmettere a tutte le parrocchie l’ultima preghiera redatta da Giovanni XXIII, che si duole per i secoli di disprezzo della Chiesa verso il popolo ebraico, affinché essa sia letta dai parroci.[10]
Un lettore di Le Monde scrisse all’indomani una breve lettera ad André Fontaine, direttore del giornale:
Jean Kahn, presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia (CRIF), vi ha dichiarato (Le Monde, 3 ottobre 1989) che il cardinale Decourtray avrebbe deciso di trasmettere a tutte le parrocchie “la preghiera di Giovanni XXIII per gli ebrei”. Sono sorpreso dal fatto che in quell’occasione il Vostro giornale, che stava raccogliendo un’“intervista” con Jean Kahn, non abbia ritenuto di dover ricordare, come aveva fatto in almeno un’altra circostanza, intorno al 1974, che questa preghiera non è che un falso; pudicamente, Voi parlavate di testo “apocrifo”. – Attendo la Vostra rettifica.[11]
La rettifica non venne mai e la lettera “da pubblicare” non fu pubblicata. Non so se il cardinale Decourtray avesse mai avuto intenzione di diffondere il falso o se si trattasse qui di un progetto che gli attribuiva proditoriamente Jean Kahn. Forse il cardinale di Lione ha avuto quest’intenzione e forse l’ha persino messa in atto. Jean Kahn è un caso a parte. Egli sarebbe dotato di una “sensibilità particolare” e di un “supplemento d’anima”; per i suoi correligionari esisterebbe, infatti, “una sensibilità particolare che fa sì che l’elettore ebreo sia un elettore con un supplemento d’anima”.[12] Per lui, gli ebrei francesi sono “dei Francesi spesso più patrioti degli altri”.[13]
Quanto al giornale Le Monde, nel corso degli anni 1966-1989 avrà dunque, secondo una tradizione che gli è propria in casi simili, trattato l’argomento per vie traverse.
I responsabili dell’American Jewish Committee partecipavano, nel loro stile, alla campagna condotta presso il Vaticano e Paolo VI affinché la Chiesa cattolica cominciasse a sgravare gli ebrei dalla responsabilità nella “condanna a morte di Gesù Cristo”. I testi della funzione del Venerdì Santo denunciano i “perfidi giudei” che pretesero da Ponzio Pilato questa condanna:
[Gli ebrei] volevano far ricadere l’ingiustizia del loro misfatto sulla persona del giudice [romano]; ma potevano forse ingannare Dio che è pure giudice? Pilato è stato partecipe del loro crimine nella misura di ciò che ha fatto; ma, se lo si paragona a loro, lo si trova molto meno criminale.[14]
Nel 1965, gli ebrei speravano che il concilio ecumenico Vaticano II avrebbe dichiarato senza ambiguità la non perfidia dei giudei e la loro assenza di responsabilità nella condanna a morte del Cristo. Ma, più si prolungava il concilio, più appariva chiaro che il Vaticano esitava, soprattutto per le pressioni dei cattolici d’Oriente.
In fin dei conti, la “Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane” del 28 ottobre 1965 fece ampie concessioni agli ebrei ma li deluse.
Questo punto è poco conosciuto e, oggi, corre voce che la Chiesa abbia, nel 1965, sgravato gli ebrei dall’accusa di perfidia e da ogni responsabilità nella condanna del Cristo. La verità è diversa. Il Concilio ricordò “il legame che unisce spiritualmente il popolo del Nuovo Testamento alla stirpe di Abramo”, condannò e deplorò l’antisemitismo, disse che il Cristo “in virtù del suo immenso amore” si “era sottoposto volontariamente alla Passione e alla morte a causa dei peccati di tutti gli uomini ed affinché tutti gli uomini ottenessero la salvezza”. Insistette affinché gli ebrei non fossero “presentati come dannati da Dio né maledetti, come se ciò derivasse dalla Sacra Scrittura”.
Ma alcune parole – otto parole nel testo latino – ricordavano tuttavia, entro una proposizione concessiva, che “le autorità ebraiche, con i loro seguaci, spinsero alla morte del Cristo” (auctoritates Judaeorum cum suis asseclis mortem Cristi urserunt). I padri conciliari non potevano tuttavia alterare il contenuto del racconto evangelico.[15]
Jacob Kaplan, rabbino capo di Francia dal 1955 al 1980, doveva scrivere, pur felicitandosi per certi aspetti della dichiarazione conciliare:
Ciò che si era sperato dal Vaticano II, era soprattutto il rigetto dell’accusa di deicidio mossa contro gli ebrei. C’era motivo per sperarlo. Come si sa, ci furono tre progetti sulla questione. Il primo nel 1963, il secondo nel 1964, l’ultimo che divenne definitivo nel 1965. Ora, la versione del 1964 (la seconda) rigettava effettivamente l’accusa di deicidio, ma nell’ultima non se ne parlò nemmeno. È stato semplicemente soppresso. Che cosa era accaduto? Ce lo fa sapere un articolo di Le Monde (19 giugno 1987). Nel resoconto del libro scritto in inglese da un orientalista che fa testo, Bernard Lewis, si fornisce un brano della sua opera Sémites et Antisémites dove si parla di pressioni di nazioni arabe sul Papato affinché gli ebrei non fossero scagionati dal crimine di deicidio. Il Vaticano cedette. Rammaricandosi di questa soppressione, il cardinale Liénart, di Lille, non poté fare a meno di dire: “Si potrebbe credere che il Concilio non voglia lavare il popolo ebreo dall’accusa di deicidio”.[16]
Anno 1990
Oggi, altre battaglie mobilitano gli ebrei nelle loro pretese nei confronti dei cattolici.
Un recente articolo di Henri Tincq su Le Monde ricorda che, nell’affare del Carmelo di Auschwitz, gli ebrei hanno ottenuto soddisfazione e che le carmelitane dovranno lasciare il loro luogo di preghiera al limitare del campo ad un centro di dialogo e di ricerca sulla Shoah.[17] I cattolici hanno già versato forti somme per l’edificazione di questo centro ma papa Giovanni Paolo II annuncia lo sblocco di un supplemento di centomila dollari per affrettare la costruzione.
Eppure, il Papa resta sospetto e, come dice il giornalista di Le Monde, “è stato intentato a Giovanni Paolo II il processo per ‘revisionismo’”. Il Papa tarda troppo a pubblicare un documento che, nel settembre 1987, aveva promesso di redigere sull’“Olocausto” e che avvallerebbe la tesi della realtà delle camere a gas hitleriane.[18] Egli s’interessa troppo al progetto di beatificazione di Isabella la Cattolica. Gli ebrei, con l’appoggio di Monsignor Lustiger, si sforzano d’impedire la beatificazione di una regina “troppo cattolica”, colpevole di avere, nel 1492, firmato l’editto di Torquemada, grande inquisitore che, si dice, aveva abiurato la sua fede d’origine: la fede ebraica.
Il mito della “preghiera di Giovanni XXIII per gli ebrei” non è molto vivace; ma rimane e, proprio a causa della sua discrezione, rischia di sopravvivere per molti anni ancora.
Quanto all’American Jewish Committee, continuando nel suo slancio, ha appena annunciato due false notizie: secondo il suo corrispondente (?) da Parigi, Roger Kaplan, la legge Fabius-Gayssot non è passata e Faurisson è deceduto.[20]
29 novembre 1990
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[1] Commentary, mensile dell’American Jewish Committee (New York, Chicago, Los Angeles), gennaio 1965, n. 1, vol. 39, pp. 19-29 ; la “preghiera” figura a pagina 21.
[2] La Documentation catholique, 2 ottobre 1966, col. 1728.
[3] La Documentation catholique, 6 novembre 1966, col. 1908-1909.
[4] Le Monde, 27 ottobre 1966, p. 9.
[5] Le Monde, 21 aprile 1967, p. 11.
[6] Le Monde, 7-8 maggio 1967, p. 17.
[7] Le Monde, 31 dicembre 1974, p. 4.
[8] Le Monde, 2 febbraio 1975, p. 8.
[9] Le Monde, 30 gennaio 1983, Supplemento, p. i, iv-v. Sul personaggio che si firma “Szombati”, si potrà leggere un articolo che gli ho dedicato con il titolo Une enquête du Monde diplomatique sur les chambres à gaz (mars 1988) (Un’inchiesta di Le Monde diplomatique sulle camere a gas [marzo 1988]) negli Annales d’histoire révisionniste, n. 4, primavera 1988, pp. 135-149, riprodotto nel II volume dei miei Écrits révisionnistes, op. cit., alle pagine 751-763.
[10] Le Monde, 3 ottobre 1989, p. 16.
[11] Lettera del sig. G. D., cortesemente comunicata dall’autore.
[12] Le Quotidien de Paris, 11 febbraio 1986, p. 6.
[13] Le Figaro, 20 novembre 1989, p. 16. Da raffrontare con un articolo di A. Glucksmann: “L’Europe sera ‘juive’ ou ne sera pas” (L’Europa sarà ebrea o non ci sarà) (Libération, 16 aprile 1982, p. 14) e con una dichiarazione del rabbino capo Sitruk: “Ogni ebreo francese è un rappresentante d’Israele” (Le Monde, AFP, 12 luglio 1990, p. 7), affermazione che sarà alterata ed attenuata da due giornalisti di Le Monde che chiederanno al rabbino capo: “In occasione del suo ultimo viaggio in Israele, Lei non ha forse dichiarato che ogni ebreo francese doveva considerarsi come un rappresentante d’Israele?” (Le Monde, dichiarazioni raccolte da Jean-Michel Dumay e Henri Tincq, 30 settembre 1990, p. 9) (corsivo dell’autore).
[14] Dom Gaspard Lefebvre, Missel vespéral romain (quotidien), 1946 [1920], Venerdì Santo, Ufficio delle Tenebre, 6a lezione, p. 674.
[15] Concile œcuménique Vatican II, éd. du Centurion, 1989, p. 698.
[16] “Dossier juifs et catholiques en dialogue”, La Documentation catholique, 13 luglio 1988, p. 680.
[17] Le Monde, 7 dicembre 1990, pp. 1 e 14.
[18] Il 26 agosto 1989, tuttavia, in un messaggio ai vescovi polacchi, egli ha infine ricordato lo sterminio degli ebrei nelle camere a gas. Poi, il 27 settembre 1990, L’Osservatore Romano pubblicava in prima pagina un articolo sulla sua udienza generale del giorno precedente, con la relazione di una “Meditazione del ‘Ciclo di Jasna Gora’ [Polonia]”. Giovanni Paolo II, parlando degli ebrei, avrebbe dichiarato in polacco: “Questo popolo è stato colpito con la morte terribile di milioni di figli e figlie. Prima li hanno marcati con un particolare marchio. Poi spinti in ghetti, in quartieri isolati. Poi portati alle camere a gas, dando loro la morte – soltanto perché erano figli di questo popolo” (in italiano nel testo, corsivo dell’Autore). Salvo errore da parte mia, Giovanni Paolo II sarà dunque stato il primo papa ad avallare così – timidamente, è vero – l’esistenza delle camere a gas omicide.
[19] Commentary, agosto 1990, pp. 49 e 51.