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La Nostra lotta contro la più fenomenale impostura dei tempi moderni

Serge Klarsfeld, influente “cacciatore di nazisti” nel mondo intero e nemico giurato dei revisionisti in Francia, ha da poco dichiarato: “Se la legge Gayssot non fosse stata adottata [ed iscritta al Journal officiel de la République française il 14 luglio 1990], assisteremmo da vent’anni ad una valanga di articoli e opere neganti la Shoah, mentre questa legge, arma contro l’antisemitismo, ha imbavagliato lo storico Robert Faurisson ed i suoi emuli, tranne che su Internet dove le opinioni espresse in questo senso non sono da prendersi in considerazione più delle lettere anonime” (“Oui, les lois mémorielles sont indispensables”, Le Monde, 4 gennaio 2012, p. 18).

Preso in sé, questo brano di Serge Klarsfeld contiene la sua parte di errori ma io non ne rivelerò che uno solo di questi errori, quello che costituisce l’occultare un fatto: a dispetto di questa legge, noi, i miei “emuli” ed io, abbiamo pubblicato al di fuori di Internet migliaia di pagine, in particolare grazie agli Annales d’histoire révisionniste, alla Revue d’histoire révisionniste, alle Editions Akribeia, allo Choc du mois, a Rivarol…, ciò che talvolta è costato molto caro agli autori e agli editori. In Francia, Vincent Reynouard, per quanto lo riguarda, in Sans concession e altrove, ha pubblicato più di chiunque altro e l’ha pagato con nove mesi di prigioni e di pesanti pene pecuniarie.

Per quanto riguarda le nostre pubblicazioni su Internet, piaccia o no al nostro commissario politico, esse sono proprio “prese in considerazione”, vale a dire lette attentamente, denunciate e condannate dai potenti del giorno. Potrei fornire numerose prove ma mi accontenterò d’una sola: vari capi di Stato hanno pubblicamente avvertito il mondo dei pericoli d’espansione del revisionismo storico. Jacques Chirac, presidente della Repubblica francese, si è spinto al punto di prendere nel dicembre 2006 una sorprendente iniziativa personale: per uno studio che presentavo allora in una conferenza internazionale organizzata a Teheran, cioè a migliaia di miglia dalla Francia, egli annunciava strombazzando che chiedeva l’apertura d’una inchiesta giudiziaria a mio carico. Questa inchiesta mi sarebbe costata: 1) tre perquisizioni (sulle quattro che ho dovuto subire) eseguite ogni volta al mio domicilio da 5 poliziotti armati, 2) una stretta sorveglianza umiliante durante la quale, sia detto di passaggio, è stato impossibile ai poliziotti trovarmi un avvocato, come esige la legge, i due avvocati contattati, venendo a conoscere il mio nome, si sono rifiutati di spostarsi, 3) il sequestro contemporaneo del mio computer (del valore di 1200 euro), di un disco rigido esterno e di tre chiavi USB.

Quattro anni dopo, il 14 febbraio, presentavo alla sig.ra Fabienne Pous, vicepresidente dell’istruzione presso il Tribunale di grande istanza di Parigi (2-4 boulevard du Palais), una richiesta di restituzione degli oggetti sequestrati. La signora mi rispondeva con una “ordinanza di rifiuto di restituzione”; essa faceva in modo particolare notare che, viste le requisizioni di un procuratore (anonimo), “il materiale informatico in questione è stato oggetto di una prima perizia, che le conclusioni periziali [sic] sono in corso di espletamento su commissione rogatoria e che è opportuno preservare le prove che si sono dimostrate così difficili da riunire”. Essa aggiungeva che, se tra il materiale sequestrato si fosse trovato il motivo per perseguirmi, sarei stato perseguito.

Ad oggi, non sono mai entrato in possesso del materiale informatico che mi è stato confiscato ed il mio caso resta ancora in sospeso più di cinque anni dopo l’intempestiva prodezza di Jacques Chirac.

Durante la conferenza che si è svolta in Iran e che era aperta a tutti (revisionisti così come sterminazionisti) avevo commentato il risultato delle mie ricerche per quel che riguarda ciò che viene chiamato “l’Olocausto” o  “la Shoah”. Facendo questo, non infrangevo nessuna legge del paese. Ma, in Francia, immediatamente, si era levato Jacques Chirac per dichiarare che a Teheran avevo infranto una legge francese. A quell’epoca il personaggio si distingueva per una notevole attitudine a farsi manipolare dal suo entourage ebraico (da Simone Veil al CRIF). Già, nel luglio 1995, costui aveva fatto atto di totale sottomissione alle organizzazioni ebraiche, accusando il proprio paese d’aver “commesso l’irreparabile” durante la Seconda guerra mondiale (ciò che, nell’interpretazione di Serge Klarsfeld e dei suoi “emuli”, dava adito ad accampare il diritto ad ogni sorta di riparazioni finanziarie!). I capi di Stato suoi predecessori si erano sempre rifiutati di commettere una tale indegnità.

Nel mio caso personale, l’incongruità dell’iniziativa di Chirac si spiegava in parte con lo stato d’allerta permanente in cui vivono in Occidente i dirigenti politici. Costoro ne hanno chiara consapevolezza: semmai venisse ad incrinarsi il mito dell’ “Olocausto”, spada e scudo dello Stato d’Israele, nessuno può dire quali ne sarebbero le conseguenze per questo Stato, e dunque per il mondo occidentale.

Per me, dovessi io una volta ancora ritrovarmi alla XVIIa Camera del Tribunale correzionale di Parigi, ciò non potrebbe verosimilmente avvenire che nel 2013 con una possibilità di appello nel 2014 o 2015. La Corte di cassazione dovrebbe eventualmente esaminare la possibilità di trasmettere al Consiglio costituzionale l’inevitabile “questione prioritaria di costituzionalità” della legge sulla base della quale io sarei perseguito. A prescindere da un ricorso alla Corte di cassazione, il mio caso giudiziario non potrebbe trovare la sua conclusione che nel 2015 o 2016. Soltanto allora avrebbe fine l’impresa senza precedenti di Jacques Chirac, impresa rilevata da Fabienne Pous. Il mio “donatore di lezione” oggi è così anziano che, recentemente condannato per reato di delinquenza di diritto comune, lo si è gratificato di una pena di prigione con sospensione. La sig.ra Fabienne Pous, quanto a lei, adesso ha 56 anni. Da parte mia, tra venti giorni raggiungerò l’età di 83 anni. Tanto vale dirlo, la soluzione biologica sarà in vista.

A questa stregua, per riprendere l’espressione di La Fontaine, “… prima che scada il termine, saremo morti il re, l’asino od io” (le parole figurano in una squisita favola intitolata “Il Ciarlatano”).

Dopo 38 anni (luglio 1974) la “polizia ebraica del pensiero” mi vuole imbavagliare; S. Klarsfeld, prendendoci senza dubbio per dei cani, e cani che mordono, ha voluto, da parte sua, metterci la “museruola”. Fino ad oggi nessuno è arrivato a metterci il bavaglio o la museruola. È ragionevole immaginare che, nel mio caso, ci si arriverà un giorno?

Da un po’ di tempo, il revisionismo da cima a fondo del preteso “Olocausto degli ebrei”, delle pretese “camere a gas naziste” e dei pretesi “Sei milioni di vittime ebree” conosce, in Francia e all’estero, una tale diffusione che non si vede proprio come si potrebbe arrestarne l’espansione naturale. In un prossimo avvenire il revisionismo dovrebbe, mediante un’azione di grande risonanza sulla scena internazionale, dimostrare il suo vigore ma, come di costume, forse costerà caro ad alcuni di noi. Poco importa: la nostra lotta contro la più fenomenale impostura dei tempi moderni merita che le si sacrifichi il nostro vivere tranquillo e forse anche la propria esistenza.

 

N.B. Una perla di Simone Veil, grande amica di Jacques Chirac: la Shoah è “lo sterminio sistematico e totale di un intero popolo” (lettera di richiesta di contributi del 20 ottobre 2011, diffusa nel gennaio 2012 dal Memoriale della Shoah). Già ritenuta gassata sotto il nome di Simone Jacob (Hefte von Auschwitz 7/1964, p. 88), eccola qui morta, vittima d’uno sterminio totale di un intero popolo. Il suo.

5 gennaio 2012

Traduzione a cura di Germana Ruggeri