Contro il revisionismo storico

Sotto il titolo, arzigogolato e contorto, di Comment l’idée vint à M. Rassinier, uno studente rispondente al nome di Florent Brayard ha or ora consacrato un libello a “la nascita del revisionismo” (Fayard, Parigi 1996, 464 pp.).

Succede a volte che la qualità morale di un autore la si possa giudicare alla semplice lettura delle prime e delle ultime righe della sua opera. È questo uno di quei casi. Il libro si apre con due brevi epigrafi che lasciano intendere che gli scritti revisionistici, a cominciare da quelli di Paul Rassinier (già resistente, già deportato, padre del revisionismo), non potrebbero che lasciare delle piaghe nel cuore delle loro vittime e sarebbero “sputi di dementi”. E lo stesso libro si chiude con un paragrafo in cui l’autore ringrazia la vedova di Rassinier per aver messe a sua disposizione le carte del marito!

Tra queste prime e queste ultime righe scorre, per la lunghezza di 450 pagine, una fiumana di basse speculazioni sul conto di Rassinier e di alcuni altri revisionisti. Non si coglie sforzo alcuno di riflessione. Il disordine regna. I titoli e sottotitoli dei capitoli o delle sezioni non permettono affatto di discernere una progressione logica. Un quarto del testo si compone di note interminabili nelle quali l’autore ha ammucchiato alla rinfusa materiali che egli carica di immagini e di cliché presi a prestito dal cattivo giornalismo. Troppo spesso il tono è quello della più pesante ironia.

F. Brayard realizza una prodezza. Elude quasi del tutto l’elemento centrale dell’argomentazione revisionistica, elemento che, come si sa, è di ordine materialistico e fisico-chimico. Non dice parola del risultato materiale delle ricerche del francese Robert Faurisson, dell’americano Fred Leuchter, del tedesco Germar Rudolf, dell’austriaco Walter Lüft (già presidente della Camera degli ingegneri d’Austria), del canadese John Ball, del tedesco-canadese Ernst Zündel. Fa il nome di Michel de Boüard, ma senza menzionare l’adesione al revisionismo, a partire dal 1986, di questo antico deportato, membro eminente dell’Università di Caen e del Comitato di storia della Seconda Guerra mondiale. Snatura la tesi di Henri Roques. La personalità di R. Faurisson, al quale dedica tutto un capitolo, lo soggioga e lo assilla come un incubo che paralizzerebbe ogni facoltà di analisi. Passa sotto silenzio ciò che lo sterminazionista Yehuda Bauer ha detto della “scioccheria” di “Wannsee” e ciò che lo sterminazionista Christopher Browning ha dichiarato sul non-valore della testimonianza di Rudolf Höss. Non una parola, del pari, su Eric Conan e la sua inchiesta nell’Express (19-25 gennaio 1995) sulle manipolazioni del museo di Auschwitz!

Sull’esempio di tutti coloro che, in Francia, fanno mestiere di scrivere contro il revisionismo, l’autore si è ben guardato dall’interrogare un solo revisionista.

L’opera ha una prefazione di Pierre Vidal-Naquet. Prima di venir pubblicata nella forma presente, non era, in origine, che una memoria universitaria la cui discussione si sarebbe svolta nel 1991 – “sotto la direzione di Pierre Nora (nella commissione, Pierre Vidal-Naquet)”: così viene precisato.

20 febbraio 1996