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Le falsificazioni di Auschwitz secondo un dossier de L’Express

“Auschwitz : la mémoire du mal”. È sotto questo titolo che L’Express ha presentato un inserto di venti pagine sul campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau.[1] Éric Conan è il principale responsabile di quell’inserto che, riprendendo la solita tesi dello sterminio degli ebrei, tende a dare ragione ai revisionisti su due punti principali: si è molto esagerato il numero dei morti e, sul capitolo della “camera a gas” che si visita ad Auschwitz-I, si è fatto ricorso alle “falsificazioni”, al “travisamento” e all’“artificio”.

Sul primo punto, il pubblico potrà prendere conoscenza del nuovo numero dei morti, considerevolmente riveduto al ribasso, ma senza che gli venga rivelato qual era il vecchio numero (4.000.000) e senza che gli si dica che questo nuovo numero (1.500.000) è, anch’esso, contestabile perché risulta non da un’inchiesta storica propriamente detta ma da una decisione della presidenza della Repubblica polacca!

Sul secondo punto, il pubblico continuerà ad essere ingannato: “Per il momento, si lascia [la camera a gas] allo stato e non si precisa nulla al visitatore. È troppo complicato. Si vedrà più tardi”, ha dichiarato Krystyna Oleksy, una dei responsabili del Museo nazionale di Auschwitz.

Tiriamo fuori, pagina dopo pagina, gli estratti revisionisti di questo inserto sterminazionista. Le sottolineature sono nostre. Ci limitiamo all’articolo stesso di Eric Conan.

Pagg. 54-55, didascalia della fotografia: Non possiamo correre il rischio di nuove accuse di falsificazione.

Pag. 57: … degli edifici dall’autenticità già ben strapazzata […]. Quale parte di quelle vestigia risale ancora al 1945? “Almeno il 60%”, precisa Witold Smrek [conservatore generale], infastidito dalle critiche che si levano ora contro quarant’anni di preservazione-costruzione di Auschwitz. […] Tutte queste precauzioni – questa preoccupazione di far bene, di non essere tacciati di falsificazione – spiegano gli sforzi recenti delle autorità polacche per liberare il vecchio campo di sterminio da quarant’anni di una memoria comunista che aveva modellato il luogo fino a negarne il significato. [Commento: i comunisti sono qui accusati di essere stati dei negatori o dei negazionisti.]

– Pag. 58: L’obitorio del crematorio [I] servì a quest’uso [di gassaggio omicida] nei primi mesi del 1942. [Commento: Conan cerca di minimizzare la durata di attività di quella imbarazzante camera a gas che, secondo la versione ufficiale, avrebbe funzionato dall’autunno 1941 fino alla fine dell’anno 1942.]

– Pag. 60: Stefan Wilkanowicz, vice-presidente del Comitato internazionale del Museo di Stato di Auschwitz: Le più importanti enormità sono state rettificate, ma le principali discussioni non finiscono più e sono ben lontane dall’essere troncate. Posso perfino dire che dei dibattiti essenziali, dolorosi, talvolta imprevisti, non fanno che incominciare!

Il Comitato internazionale è stato tuttavia costretto, soltanto qualche settimana fa, a porre un termine ad una controversia che durava da cinque anni. Ha appena sostituito, per le prossime cerimonie del 50° anniversario, la targa commemorativa di Birkenau (in 20 lingue) che aveva fatto immediatamente togliere nel 1990. Essa era il segno più visibile e più fastidioso dell’influenza comunista sul sito. Si poteva, in effetti, leggervi: “Qui, dal 1940 al 1945, quattro milioni di uomini, donne e bambini sono stati torturati e assassinati dagli omicidi hitleriani”. Non soltanto la cifra era grossolaneamente erronea, ma il testo non faceva alcuna allusione all’identità ebraica del 90% delle vittime. […]

Per decine d’anni, questa negazione del giudeicidio fu una delle costanti della vicinanza staliniana. [Commento: Per quaranta d’anni, i grandi di questo mondo, compresi Valéry Giscard d’Estaing ed il papa Giovanni Paolo II, hanno avallato questa cifra menzognera di quattro milioni andando ad inchinarsi davanti alle 19 – e non le 20 – targhe commemorative. I comunisti sono, qui, di nuovo accusati di aver negato il genocidio degli ebrei. In realtà, essi hanno proprio menzionato gli ebrei tra le vittime, arrivando fino a consacrare loro un padiglione particolare nel museo. Secondo l’uso, Conan accusa i comunisti per discolpare gli ebrei.]

– Pag. 62: [Commento: Conan spiega che, durante cinque anni, si è litigato sulla nuova cifra da scolpire sul monumento di Birkenau. Egli dice:] Secondo le valutazioni più serie – quelle di Raul Hilberg, Franciszek Piper e Jean-Claude Pressac – da 800.000 a 1,2 milioni di persone sono state assassinate a Auschwitz, delle quali da 650.000 a 1 milione di ebrei. [Commento: quei totali sono dei morti e non degli assassinati. Nel 1993, Pressac valutava il numero dei morti in 775.000, cifra arrotondata a 800.000[2], ma, l’anno successivo, egli rivedeva quelle cifre al ribasso: da 630.000 a 710.000 morti e, tra questi, da 470.000 a 550.000 ebrei gassati.[3] Piper, lui, valuta il numero dei morti in una cifra compresa tra 1.100.000 e 1.500.000.[4] Per conseguenza, le stime dei numeri dei morti vanno da 630.000 a 1.500.000, ciò che dà un’idea del carattere speculativo di quelle stime.]

La discussione fu tesa. La soluzione logica consisteva nel riprendere la stima – 1,1 milioni di uccisi, di cui 960.000 ebrei – stabilita dal dipartimento di storia del museo ed uscita da dieci anni di lavori di Franciszek Piper. O nel non indicare nessuna cifra, come proponeva il museo. Serge Klarsfeld suggeriva di non menzionare una cifra globale, sconosciuta […]. Stefan Wilkanowicz, da buon conciliatore, aveva proposto la formula: “Più di 1 milione”. In mancanza di accordo in seno al comitato, la faccenda fu finalmente decisa alla cancelleria della presidenza della Repubblica: “1,5 milioni”. Non fu, invece, nessuna discussione sulla necessità di colmare la “dimenticanza” a proposito dell’identità ebraica della maggioranza delle vittime. Il testo definitivo è esplicito: “Che questo luogo in cui i nazisti hanno assassinato un milione e mezzo d’uomini, donne e bambini, in maggioranza ebrei di diversi paesi d’Europa, sia sempre per l’umanità un grido di disperazione e un avvertimento.”

– Pag. 68: Altro argomento delicato: cosa fare delle falsificazioni lasciate in eredità dalla gestione comunista? Negli anni ’50 e ’60, parecchi edifici, che erano spariti o che avevano cambiato uso, furono ricostruiti, con importanti errori, e presentati come autentici. Taluni, troppo “nuovi”, sono stati chiusi al pubblico. Senza parlare di camere a gas di spidocchiamento presentate talvolta come camere a gas omicide. Queste aberrazioni sono servite molto ai negazionisti che ne hanno tratto l’essenziale dei loro intrecci. L’esempio del crematorio-I, l’unico di Auschwitz-I, è significativo. Nel suo obitorio fu insediata la prima camera a gas. Essa funzionò per poco tempo, all’inizio del 1942: l’isolamento della zona, che i gassaggi implicavano, perturbavano l’attività del campo. Fu dunque deciso, alla fine d’aprile 1942, di trasferire quei gassaggi mortali a Birkenau, dove furono praticati, su vittime essenzialmente ebraiche, a scala industriale. [Commento: Conan fa del romanzo]. Il crematorio fu, in seguito, trasformato in rifugio antiaereo, con sala operatoria. Nel 1948, al momento della creazione del museo, il crematorio fu ricostruito in uno stato d’origine supposto. Tutto vi è falso: le dimensioni delle camere a gas, l’ubicazione delle porte, le aperture per il versamento dello Zyklon B, i forni, riedificati secondo i ricordi di qualche sopravvissuto, l’altezza del camino. Alla fine degli anni ’70, Robert Faurisson sfruttò ancor meglio quelle falsificazioni in quanto i responsabili del museo ricalcitravano allora a riconoscerle. Un negazionista americano ha appena girato un video nella camera a gas (sempre presentata come autentica): lo si vede interpellare i visitatori con le sue “rivelazioni”. Jean-Claude Pressac, uno dei primi a stabilire esattamente la storia di quella camera a gas e delle sue modifiche durante e dopo la guerra, propone di restaurarla nel suo stato del 1942, basandosi su dei piani tedeschi che ha appena ritrovato negli archivi sovietici. [Commento: FALSO. Faurisson aveva trovato quei piani nel 1976 e li aveva pubblicati nel 1979: quei piani e le rovine attuali – molto eloquenti – provano che i revisionisti avevano ragione!] Altri, come Théo Klein (ex presidente del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia), preferiscono lasciarla allo stato, ma spiegando al pubblico il travisamento: “La Storia è quella che è: basta dirla, anche quando non è semplice, piuttosto che aggiungere artificio ad artificio.” Krystyna Oleksy, il cui ufficio direzionale, che occupa l’ex ospedale delle SS, dà direttamente sul crematorio-I, non vi si risolve: “Per il momento, la si lascia allo stato e non si precisa nulla ai visitatori. È troppo complicato. Si vedrà più tardi.” [Commento: in altre parole, si ha mentito, si mente, si mentirà.]

Conclusione

Che cosa mi si può rimproverare per aver denunciato alla fine degli anni ’70 tante falsificazioni? Perché mi si è allora trattato di falsificatore? Perché, oggi ancora, mi trattano di falsificatore e perché si continua a perseguitarmi nei tribunali, dove tre processi sono ancora pendenti per “contestazione” della verità storica ufficiale?

L’inserto de L’Express costituisce una revisione della storia menzognera d’Auschwitz. Ben altre revisioni di questa storia dovranno venire. Si ha ragione di dichiarare che “dei dibattiti essenziali, dolorosi, talvolta imprevisti, non fanno che incominciare”. Bisognerà progressivamente ammettere che non è esistita ad Auschwitz la minima camera a gas omicida e che il totale dei morti – soprattutto a causa delle epidemie – si è dovuto innalzare a 150.000 persone. Intanto, gli innumerevoli visitatori del crematorio potranno, fin d’ora, sottoporre alle guide la dichiarazione della signora Oleksy ed esigere spiegazioni sull’impostura della “camera a gas”.

19 gennaio 1995

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[1] L’Express, settimana dal 19 al 25 janvier 1995, pp. 54-73.
[2] J.-C. Pressac, Les Crématoires d’Auschwitz…, p. 148.
[3] J.-C. Pressac, Die Krematorien von Auschwitz…, p. 202.
[4] Y. Gutman e M. Berenbaum (ed.), Anatomy of the Auschwitz Death Camp, pp. 71-72.