Organizzazioni ebraiche e lo Stato d’Israele ottengono l’affondamento di una rivista giapponese con una tiratura di 250.000 copie
“Il più grande tabù della storia del dopoguerra: le camere a gas non sono esistite.” È con questo titolo che la rivista di lusso Marco Polo, con una tiratura di 250.000 copie, ha pubblicato un articolo di dieci pagine del Dott. Masanori Nishioka.
Delle organizzazioni ebraiche stabilite in Giappone e negli Stati Uniti nonché lo Stato d’Israele hanno immediatamente lanciato una campagna di protesta e di pressione contemporaneamente sull’editore, sugli inserzionisti pubblicitari della rivista, sulla rappresentanza diplomatica giapponese negli Stati Uniti e su quella diplomatica americana in Giappone e, infine, sul ministero degli affari esteri a Tokyo. In un primo tempo, l’editore ha difeso con fermezza l’articolo incriminato; in un secondo tempo, il gruppo editoriale da cui dipende, la potente Bungei Shunju Co., ha proposto la pubblicazione di un contro-articolo. La proposta è stata rifiutata con un tono oltraggiato. Prestigiosi inserzionisti hanno fatto sapere che ritiravano ogni pubblicità alla rivista; tra di loro, il gioielliere francese Cartier, i fabbricanti di automobili tedesche Volkswagen e giapponese Mitsubishi, così come i gruppi Phillip Morris e Microsoft. La Bungei Shunju Co., ritenendo probabilmente che quel boicottaggio rischiava di estendersi a tutte le pubblicazioni del suo gruppo, ha deciso l’affondamento della rivista. Già, nel 1994, delle organizzazioni ebraiche avevano ottenuto che fosse ritirato dal commercio un libro su Hitler. Come al solito, l’organizzazione che si è messa a capo di questa campagna dell'”insopportabile polizia ebraica del pensiero” (Annie Kriegel) è stata il “Centro Simon Wiesenthal” di Los Angeles, diretto dai rabbini Marvin Hier e Abraham Cooper.*
In Francia, l’AFP ed il giornale Libération (27 gennaio) hanno fatto un onesto resoconto del caso. In compenso, Le Monde (2 febbraio), a firma del suo corrispondente da Tokyo Philippe Pons, ha totalmente mascherato il ruolo delle organizzazioni ebraiche e dello Stato d’Israele ed ha presentato l’affondamento della rivista come una iniziativa puramente giapponese dettata da una indignazione spontanea! Le Monde aggiunge che l’opinione pubblica giapponese ha una percezione “ingenua” di una pretesa “cospirazione mondiale” degli ebrei.
È, certo, ingenuo credere ad una cospirazione o ad una congiura ebraica come lo è gridare al complotto antiebraico ma la potenza ebraica nel mondo è una realtà. Le organizzazioni ebraiche e lo Stato d’Israele si adattano molto bene, e spesso ne traggono profitto, ad un antisemitismo che rimane verbale ma il revisionismo storico, con i suoi argomenti imparabili e le sue conclusioni scientifiche, ispira loro panico, ira e violenza.
Questo affondamento della rivista giapponese prova, una volta di più, che nessuna potenza finanziaria al mondo può infrangere il tabù delle camere a gas naziste sotto pena di boicottaggio a scala planetaria. È lo stesso per gli alti dirigenti politici. Un alto dirigente – fosse egli arabo ed antisionista – che sostenesse che quelle camere a gas non sono esistite esporrebbe il suo paese al boicottaggio, al blocco, alla carestia[1].
Per Raymond Aron, “Israele è nato con la violenza, non dura che con la violenza e rischia di perire domani con la violenza”.[2]
Ai revisionisti ripugna la violenza. Essi persistono nel proporre un dibattito pubblico.
3 febbraio 1995
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* Lo ricordate, nella sporca faccenda della taglia su Léon Degrelle? Cfr. Difendo Degrelle di Antonio Guerin, Sentinella d’Italia, Monfalcone 1992 – N.d.T.
[1] Lo Stato d’Israele è già un partigiano deciso del blocco all’lraq che porta, per molti bambini iracheni, alla carestia e alla morte.
[2] Mémoires, Julliard, Parigi 1983.