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Storia Illustrata chiude il dibattito sulle camere a gas

Storia illustrata, N. 265, dicembre 1979, pp. 21-23

 

Con la replica di Robert Faurisson all’intervento dei Pappalettera, Storia Illustrata chiude, come consuetudine giuridicamente fondata, il dibattito che, sono ormai cinque mesi, ha suscitato intervistando il professore dell’università di Lione-II.

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La pagina di storia della Seconda Guerra Mondiale, quella dei campi di sterminio nazisti, che Robert Faurisson, e con lui altri storici «revisionisti», ha voluto riaprire, è la più tragica delle tante registrate dalla storia dell’uomo. In quanti l’hanno vissuta, essa suscita ancora l’incubo del ricordo; in coloro che la rileggono, o che per la prima volta vi si accostano, non può non provocare orrore, sdegno e rivolta. La condanna del nazismo che comunque ne deriva è la stessa di trentacinque anni fa: una e definitiva. Senza appello.

Alcuni aspetti di questa storia sono però da qualche tempo contestati, accanitamente discussi. Proponendoli ai suoi lettori Storia Illustrata non ha certamente inteso, come ha già chiaramente affermato, condividere tesi, né tantomeno avviare o facilitare inaccettabili postume riabilitazioni. Essa ha svolto solo quella funzione di divulgazione e di informazione sui problemi della storia lontana e prossima che si è assunta da che è nata, ma, questa volta, in modo diverso, forse nuovo. Lo ha fatto, cioè, secondo un metodo che ha accolto voci diverse, e non solo di specialisti, ma anche di quei lettori che hanno ritenuto di dover intervenire. Le loro lettere concludono il dibattito.

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Dal 31 agosto al 2 settembre 1979 si è tenuto a Los Angeles un «Congresso revisionista». Al termine del dibattito, cui hanno partecipato soprattutto autori anglosassoni, una risoluzione è stata votata all’unanimità dagli 80 partecipanti per chiedere al Congresso degli Stati Uniti l’apertura di un’inchiesta su diversi punti della storia della Seconda Guerra Mondiale, e, in particolare, sul «preteso sterminio di sei milioni di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale».

Il testo della risoluzione afferma che le allegazioni secondo le quali «camere a gas» sarebbero esistite nell’Europa occupata nel corso dell’ultima guerra sono demonstrably false, cioè che la loro falsità può essere provata. Da parte sua, l’Institute for Historical Review (P.O. Box 1248, Torrance, California 90505, USA) offre 50.000 dollari di ricompensa a chiunque possa provare che i nazisti hanno impiegato «camere a gas» per uccidere degli ebrei.

I signori Pappalettera non hanno timore di affermare che una «camera a gas» omicida è esistita a Mauthausen, e un’altra nel castello di Hartheim. Ma, per tentare di provare l’esistenza di queste «camere a gas», utilizzano argomenti del tutto paragonabili a quelli che permettono ai magistrati francesi, inglesi e statunitensi di «provare» che i Tedeschi avevano ucciso degli internati in «camere a gas» a Ravensbrück e a Dachau. Ora però si sa che queste «camere a gas» in realtà non sono mai esistite. Le «testimonianze», le «confessioni» non sono delle prove. Ciò che bisogna fare è di andare sul posto. Andate a Linz (Austria), e domandate di vedere la «camera a gas» di Mauthausen, a 25 chilometri a est di questa città. Poi andate ad Alkoven, a 20 chilometri a ovest di Linz, e visitate la «camera a gas» del castello di Hartheim. Da queste due visite ritornerete, ne sono sicuro, pienamente edificati sull’impudenza della menzogna: o sarete indignati, oppure scoppierete dal ridere.

La pretesa «camera a gas» di Mauthausen si presenta come i resti di una «sala da docce» munita di due porte metalliche che manifestamente non sono mai state minimamente ermetiche. Ora, lo ripeto, laddove non vi è ermeticità non vi può essere «camera a gas». Visitate una qualsiasi camera a gas statunitense e potrete vedere l’impressionante dispositivo indispensabile per garantire un’efficace ermeticità. La porta di acciaio della camera a gas americana è estremamente pesante e si manovra a mezzo di un volante, i vetri sono particolarmente spessi. Tutto ciò è necessario a causa dei rischi di implosione che la messa sotto vuoto dell’abitacolo comporta. Questa messa sotto vuoto è necessaria innanzitutto per verificare l’ermeticità dell’abitacolo, e in seguito per aspirare, dopo l’esecuzione, la maggiore quantità possibile di acido cianidrico da convogliare alla cisterna di ammoniaca che lo neutralizzerà. Voglio anche ricordare che a Mauthausen è proprio con l’acido cianidrico (Zyklon-B) che i Tedeschi dovrebbero avere ucciso le loro vittime. Le due porte di questa pretesa «camera a gas» di Mauthausen assomigliano alle migliaia di porte metalliche che tutti gli eserciti del mondo hanno impiegato durante la Seconda Guerra Mondiale per le casematte o i rifugi antiaerei. Ma c’è qualcosa di meglio: queste due porte hanno ancora inciso nel metallo il nome della ditta di Linz che le ha fornite: Chema. Olomuc-Lutil. Nessun segreto, dunque, nessun mistero. Tutto ciò è affatto banale.

Nei 1968 la storica francese Olga Wormser-Migot, che è di origine ebraica, ebbe il coraggio di scrivere nella sua tesi su Le Système concentrationnaire nazi (Il Sistema concentrazionario nazista) qualche pagina (541-544) su ciò che essa stessa chiamava: «Il problema delle camere a gas», affermandovi che non erano potuto esistere «camere a gas» né a Ravensbrück né a Mauthausen. Mal gliene incolse! Gli ex deportati di Mauthausen reagirono allora con un tale vigore che la storica si pentì del proprio coraggio.

Nel 1972, Pierre Serge Choumoff ha pubblicato, su richiesta dell’Amicale des Anciens de Mauthausen (l’associazione degli ex deportati di Mauthausen), un libretto di 96 pagine su Le camere a gas di Mauthausen. Consiglio vivamente di leggere questo opuscolo; nemmeno una riga apporta il minimo indizio di prova sull’esistenza anche di una sola «camera a gas». Pierre Serge Choumoff parla di tutto e di niente, ma non tratta il soggetto. Per cercare di convincere gli sarebbe stato sufficiente riprodurre il testo di una PERIZIA giudiziaria o tecnica. Ma non ha potuto farlo perché una tale perizia apparentemente non è mai stata avviata. Si può immaginare qualcosa di più stupefacente? A Mauthausen ci sarebbe uno strumento per assassinio collettivo così straordinario come una «camera a gas», e in 35 anni non si sarebbe pensato a una perizia, non fosse altro che per meglio accusare i Tedeschi! Se il ministero dell’Interno austriaco possiede il testo di una perizia, che lo pubblichi al più presto!

Vorrei formulare anche un altro desiderio: desidererei che l’Amicale des Anciens de Mauthausen proponga ai turisti, tra le altre cartoline o fotografie messe in vendita, almeno UNA cartolina illustrata che rappresenti la famosa «camera a gas». La venditrice mi ha detto che una tale cartolina non esiste, perché «ciò sarebbe troppo crudele da vedere»! Stessa cosa a Struthof-Natzweiler, dove la cartolina illustrata intitolata: «La camera a gas» mostra in realtà solo la facciata del piccolo edificio in cui vi è un locale presentato come «camera a gas». I mentitori sanno bene di mentire e non hanno troppa fretta di mostrare l’oggetto della loro menzogna. Un turista di passaggio è sempre più o meno in stato di letargia. Se vede una targa che gli indica «CAMERA A GAS», è volentieri disposto a credere a quanto gli viene detto. È cosa diversa con una cartolina illustrata che, esaminata in un secondo tempo, a mente fredda, può far sorgere più di un dubbio in chi rifletta un poco.

La pretesa «camera a gas» del castello di Hartheim è ancora più risibile. Il turista, debitamente predisposto dall’arredo semireligioso di una prima stanza, entra poi in un locale a volta del castello. Muri e soffitto sono quasi nudi. Qui gli viene detto: «Voi siete nella camera a gas», e, se non c’è niente, «è perche i Tedeschi hanno distrutto tutto». Perdiana! Nemmeno la minima prova, nemmeno il più piccolo indizio! Vi sono tuttavia due eccezioni: c’è una grata alla finestra che dà sull’esterno e poi c’è una curiosa porta che dà sulla corte interna del castello. Questa porta metallica ha al centro due imposte battenti. Se le si apre dalla parte della corte ci si trova davanti a un piccolo vetro. È di li che, viene detto, i Tedeschi osservavano la gassazione delle loro vittime. C’è un solo inconveniente per i falsari, ed è che il vetro avrebbe potuto essere facilmente rotto dalle vittime per il fatto che era montato dalla loro parte. Eppoi, di fatto, se i Tedeschi hanno distrutto tutto, che ci fa qui questa porta? Chi l’ha costruita? Secondo quale piano o documento? Secondo quale studio? Come veniva introdotto il gas? Come, soprattutto, veniva evacuato? In breve, di tutte le «camere a gas» che ho potuto visitare quella del castello di Hartheim mi sembra che detenga il record della frode più grossolana.

Coloro che cercano di farci credere alla realtà delle «camere a gas» naziste commettono un formidabile errore di metodo: non cominciano dall’inizio, non si applicano ad alcuna ricerca materiale, non si interrogano sulla natura dello Zyklon o dell’acido cianidrico, sul modo di gassare un essere umano, sulle camere a gas statunitensi, sulle autoclavi tedesche, ecc. La loro disavventura mi ricorda quegli eminenti professori, che, persi tra le carte o nelle nuvole, scrivono dotti trattati su cose che non sono mai esistite. Si veda la storia del dente d’oro raccontata da Fontenelle nella sua Histoire des oracles. I professori Horstius, Ingolsteterus, Rullandus e Libavius avevano scritto delle opere voluminose dissertando a perdita d’occhio su di un dente d’oro improvvisamente spuntato a un bimbo di sette anni della Slesia. Alla fine, un umile orefice chiese di poter vedere questo dente miracoloso, e constatò di che si trattava: una foglia d’oro era stata abilmente applicata al dente. Fontanelle ha assolutamente ragione di dire che questo genere di errori è del tutto comune nel campo della scienza; talvolta sono necessari anni di ricerche per accorgersi che non si è pensato di cominciare dall’inizio.

Nel testo dei Pappalettera vi sono innumerevoli errori che qui non posso evidenziare: su Auschwitz (i Tedeschi non potevano essere indifferenti alla sicurezza dei membri del «Sonderkommando»; se questi fossero stati asfissiati non avrebbero potuto sgomberare le «camere a gas» per la successiva infornata di vittime!), sui rapporti della Croce Rossa, su Goering, su H. Frank, su Kaltenbrunner, sul decreto NN (queste due ultime lettere non hanno mai significato «Nacht und Nebel» o «Notti e Nebbie». Consultate un qualsiasi dizionario tedesco; esse tradizionalmente designano l’anonimato di fatto o l’anonimato forzato Nomen Nescio», «Nomen Notetur»]. Gli «NN» erano una categoria di internati che, a differenza dei loro compagni, non avevano il diritto di inviare né di ricevere posta).

In quanto ai documenti che i signori Pappalettera dicono che io non conosco, si dà invece il caso che li conosca tutti, peraltro senza merito alcuno per me; sono già molti anni che lavoro al problema sul quale Storia Illustrata mi ha intervistato.

I signori Pappalettera e i loro amici accetterebbero di partecipare a un dibattito pubblico alla radio o alla televisione italiane?

Traduzione di Antonio Pitamitz