Padre Patrick Desbois è un bel mattacchione
Il mito delle camere a gas naziste è messo così male che si è avuto bisogno di trovargli un sostituto o un succedaneo. Le “fosse comuni ucraine” per il momento assumeranno questo ruolo di succedaneo, almeno sul piano mediatico. Ma queste pretese “fosse comuni ucraine” non sono state aperte e non lo saranno mai! È sulla parola che bisognerà credere ai nostri mistificatori. Così ci si rigioca il trucco delle camere a gas: nessuna prova e nient’altro che dei racconti strabilianti alla Filip Müller o alla Shlomo Venezia.
Le persone che pretendono di aver scoperto queste “fosse comuni” non hanno, in realtà, proceduto a nessuno scavo, nessun conteggio, nessuna verifica, nessun accertamento fisico o materiale del tipo che ogni protocollo d’inchiesta prevede obbligatoriamente in caso di scoperta, ovunque possa essere, d’un sol cadavere. Nessun ufficiale di polizia o di giustizia è venuto sul posto a procedere ad una qualsiasi investigazione. Si dovrà prestar fede alle affermazioni dei rappresentanti di due associazioni ebraiche che osano raccontarci che, se queste procedure, che tuttavia sono normali e di routine, non sono state seguite è perché la religione ebraica proibisce che si “profanino” in questo modo i cadaveri degli ebrei!
Queste associazioni si sono accontentate di organizzare una ricerca di “testimonianze” che, in seguito, esse hanno selezionato e preso in considerazione secondo dei criteri che non sono rivelati al buon pubblico ma che conoscono tutti gli specialisti della “com” e della “story telling” (l’arte di “truccare una storia” come, ad esempio, quando i neo-cons vogliono dichiarare una guerra). Si registrano con la cinepresa racconti di campagnoli ucraini reclutati per la circostanza e, in seguito, solo dei brani scelti saranno prelevati in modo da ottenere delle narrazioni formattate e pulite (good stories to tell), da cui saranno eliminate le contraddizioni come ogni riferimento che sarebbe verificabile e quindi eventualmente confutato. Allo spettacolo di questa sfilata di “testimoni”, il guardone-ascoltatore non apprende nulla di vero ma lo si farà immergere nell’emozione, nella collera, nei gemiti, nell’orrore di Grand Guignol e di Dracula. In una vera Jacuzzi di comfort, egli assaporerà il dolce calore di un miscuglio, sapientemente dosato, di odio e di bontà. Egli odierà queste “carogne” di nazisti capaci di insensate prodezze nel male e, nello stesso tempo, si sentirà inondato di una bontà particolare, quella che si prova a sentirsi buono, non tutto solo nel proprio cantuccio, laddove la vostra bontà rischierebbe di passare inosservata, ma buono con gli altri, molti altri, in seno ad una comunità di cui tutti i membri si ammirano e si congratulano d’esser così buoni e così compassionevoli. Dalla sua Jacuzzi emozionale, il guardone-ascoltatore contemplerà lo schermo del televisore: con un’oncia di pentimento cristiano, una vera squisitezza! Vi troverà il cibo a cui il suo spirito si è abituato. Non ne vorrà altro. Alla soap-opera della Shoah, soprattutto il menu non deve variare. Sempre gli stessi luoghi comuni, gli stessi colori, le solite cantilene e gli stessi ritornelli della propaganda di guerra e di odio. Una droga! Se ne vuole e se ne richiede. Attenzione a non deludere il cliente! È divenuto dipendente. Bisognerà rincarare la dose e superare Claude Lanzmann.
Ma, per ritornare a queste pretese fosse comuni, come giudicare il valore di una testimonianza se prima non si è accertata la materialità dei fatti? Come determinare se si nasconde, a tal punto, anche un sol cadavere? Come stabilire il numero dei cadaveri? Come affermare che si tratti di ebrei? E di ebrei uccisi dai Tedeschi? Il semplice fatto che, a quanto pare, si trovino dei bossoli tedeschi nei paraggi della supposta area di una supposta “fossa comune” non prova nulla. Chi ci fornisce la prova che questi bossoli sono stati scoperti sul luogo? E la terra di Russia e di Ucraina non è seminata di bossoli di proiettili utilizzati dalle armate tedesche, sovietiche o altre? A proposito, alcune reali inchieste, scavi e autopsie l’hanno provato: gli ufficiali polacchi, al numero attestato di 4.410, che sono stati giustiziati con una pallottola alla nuca dai Sovietici nella foresta di Katyn, nel 1940, lo sono stati tutti con delle pallottole di provenienza tedesca fornite dall’industria bellica tedesca all’Unione Sovietica nel quadro degli accordi del Patto tedesco-sovietico. Non si è, in questi ultimi anni, scoperto ed esaminato scientificamente, in Russia e in Ucraina, delle fosse comuni che, tutte quante, si sono rivelate contenere delle vittime della Ceca, del NKVD o del KGB, ad eccezione di qualche fossa comune contenente i resti dei soldati della Grande Armata napoleonica, il cui esame, circa due secoli più tardi, ha provato che essi erano morti di tifo?
Il 13 dicembre 2006, a Teheran, in una lunga intervista privata con un Tedesco, ho avuto l’occasione di evocare il mito che si vede oggi più che mai svilupparsi attorno alle Einsantzgruppen, Babi Yar e alla “Shoah da pallottole in Ucraina” e ciò grazie in particolare a Padre Patrick Desbois, quest’amico di Élie Wiesel, del defunto Mgr Lustiger e di Mgr Vingt-Trois [i due ultimi cardinali di Parigi – NdT]. Durante questa intervista, dopo le puntualizzazioni sulle Einsatzgruppen e su Babi Yar, io dichiaravo quello che segue in riferimento a P. Desbois:
In questo momento, in Ucraina, c’è un prete cattolico che fa molto parlare di sé, padre Patrick Desbois, un Francese, grande amico degli ebrei. La sua specialità consiste nel visitare il paese alla ricerca di “fosse comuni ebraiche”. Fa annunciare ai bravi campagnoli ucraini che si recherà in questa o quella località e che intende raccogliervi le testimonianze sui massacri di ebrei commessi dai Tedeschi durante la guerra. Gli abitanti hanno tutto il loro interesse nel poter vantarsi di possedere quelle fosse comuni su cui si edificheranno dei monumenti che attireranno il turista straniero. I “testimoni” si riuniscono e mettono a punto una recita. Il prete arriva quindi al villaggio e si fa fotografare con i contadini o contadine che gli mostrano col dito questo o quel luogo. In primo luogo, ci si può stupire dell’età di certi testimoni fotografati: essi hanno manifestamente meno dell’età richiesta, che sarebbe normalmente di circa 80 anni. Ma vi è qualcosa di molto più stupefacente: queste fosse comuni non le si aprirà, non si procederà ad alcuna esumazione né ad alcuna ispezione materiale, e questo sotto l’ammirevole pretesto che la religione ebraica proibisce di toccare il cadavere di ebrei; orbene basta aprire l’Encyclopedia Judaica (1978) al lemma “Autopsies [plurale] and Dissection [singolare]” per vedere che non è così per nulla. In un unico luogo, a Busk, si sono aperte cinque fosse comuni ma nessun scheletro che vi è stato trovato è stato sottoposto a perizia e i luoghi sono stati successivamente ricoperti da un rivestimento di cemento di modo che alcuna verifica sarà possibile in avvenire! Curioso modo di rispettare un cadavere secondo la legge ebraica! Lo storico dovrà pertanto accontentarsi di quello che Padre Desbois, un abile uomo, ci dirà che i testimoni gli hanno detto. Cifre non verificate di vittime non trovate e non mostrate andranno così ad addizionarsi e, in fin dei conti, ci si dirà che l’Ucraina annovera tante fosse comuni contenenti tante vittime ebree. E tutto ciò sotto il sigillo dei rappresentanti rispettivi della Chiesa cattolica romana, dell’associazione “Yahad-in Unum” e dell’associazione “Zaka”, che si presenta come “garante del rispetto dei corpi delle vittime secondo la legge ebraica”. Come ad Auschwitz, il turismo avrà qualche possibilità di prosperare.
Sua mostra al Mémorial de la Shoah
Il 26 luglio 2007 ho visitato, a Parigi, presso il Mémorial de la Shoah, la mostra su “le fucilazioni di massa degli ebrei in Ucraina 1941/1944 / la Shoah per pallottole”. Al termine della mia visita, ho posto ad una responsabile del Mémorial la più semplice delle domande: “Come si fa a sapere che lì vi sono delle fosse comuni di ebrei?”. La mia domanda ha sconcertato. Si è ben voluto riconoscere che essa si giustificava. Mi è stato consigliato di scrivere ad un responsabile del posto per ottenere una risposta. Forse si potrebbe rivolgere la domanda a Padre Patrick Desbois che attualmente sta per dare delle lezioni alla Sorbona sulle sue “fosse comuni”. Shoah di qua, Shoah di là! Decisamente “There’s no business like Shoah business” (Non c’è business che valga lo Shoah business). Padre Patrick Desbois è un bel mattacchione.
22 ottobre 2007
Traduzione a cura di Germana Ruggeri