Miti ebraici sui Giochi Olimpici di Berlino (1936)
(con aggiunta del 19 luglio 2008)
Le Monde, giornale obliquo (seguito)
Ne Le Monde, Sylvain Cypel dedica un articolo a Jesse Owens, il meticcio americano, quattro volte medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Berlino nel 1936 (“1936: à Berlin, l’Aryen ‘Lutz’ devient l’ami di Jesse, le métis” [1936: a Berlino, L’Ariano “Lutz” diviene l’amico di Jesse, il meticcio], 17-18 settembre 2000, p. VI).
Il giornalista è obbligato a riconoscere che la storia del cancelliere Hitler che si rifiuta di stringere la mano di Jesse Owens non è che una leggenda. Ancora nel 1991, Le Monde accreditava questa leggenda con la penna di Claude Sarraute, che allora osava scrivere: “Hitler ha ben rifiutato di stringere la mano di Jesse Owens, il Nero americano vincitore ai Giochi Olimpici a Berlino nel ’36 (“Bleu, blanc, noir”, 3 dicembre 1991, p. 34).
Il protocollo non aveva previsto la presentazione degli atleti al cancelliere e J. Owens stesso ha smentito in seguito di esser mai stato in presenza di Hitler. Ciò che S. Cypel avrebbe potuto precisare è che, dall’alto della sua tribuna, Hitler, constatando la sconfitta di Ludwig (detto “Luz” o “Lutz”) nel salto in lungo, ebbe inizialmente, come molti Tedeschi, “un gesto di stizza poi applaudì la prestazione del Nero americano” (J.-P. Rudin, Nice Matin, 4 aprile 1980).
Lo stesso S. Cypel ha omesso di aggiungere che il nome di J. Owens fu inciso quattro volte sulla torre d’onore dei Giochi. Una fotografia ha immortalato il gesto dello scultore tedesco che iscriveva l’illustre nome per la seconda volta in cima al monumento. Di ritorno negli Stati Uniti l’atleta ebbe a conoscere, perfino nei mezzi di trasporto pubblico, le umiliazioni quotidiane inflitte ai Neri nel suo paese e non mancò di fare il paragone con il trattamento che gli era stato riservato in Germania. Nel 1984, quattro anni dopo la scomparsa di J. Owens, la vedova di quest’ultimo ricordò che suo marito non si era mai lamentato della Germania di Hitler. Come avrebbe potuto? Quando abbandonò lo stadio abbracciato al suo amico e rivale tedesco, un’ovazione salutò i due atleti. Nell’album fotografico in due volumi dedicato ai Giochi, Hitler è rappresentato sei volte, J. Owens sette volte e gli atleti neri in generale dodici volte. Il capitolo dedicato alle corse si apre con “l’uomo più veloce del mondo: Jesse Owens – USA”. Il primo volume si orna, all’inizio, d’una fotografia di gruppo con Adolf Hitler ed il secondo volume d’un ritratto di Theodor Lewald, ebreo e presidente del comitato tedesco d’organizzazione dei Giochi (Olympia 1936, Die Olympischen Spiele 1936 in Berlin und Garmisch-Partenkirchen, 2 vol., 1936, 292 p.).
Gli atleti ebrei tedeschi ai G. O.
S. Cypel scrive che “agli atleti ebrei tedeschi [fu impedito] di partecipare” ai Giochi. Gli si ricorderà che, come l’ho appena affermato, il presidente del comitato tedesco di organizzazione di questi Giochi era l’ebreo tedesco Theodor Lewald e che l’ebrea tedesca Helene Mayer conseguì la medaglia d’argento nella scherma; quanto all’ebreo o mezzo-ebreo tedesco Rudi Ball, che ai G. O. del 1932 aveva riportato la medaglia di bronzo in seno alla squadra tedesca di hockey su ghiaccio, egli fece parte nel febbraio 1936, a Garmisch-Partenkirchen, della medesima squadra tedesca. Per quanto riguarda Gretel Bergman, campionessa di salto in alto, se essa fu, all’ultimo momento, scartata dalla competizione finale, ciò non può essere dovuto al suo esser ebrea così come provano al contrario gli esempi degli altri due atleti. Hitler aveva espressamente ricordato prima dei giochi che gli ebrei non dovevano essere esclusi dalla squadra tedesca (Eliahu Ben Elissar, La Diplomatie du IIIe Reich et les juifs, Christian Bourgois, Parigi 1981, I, p. 164). A proposito della partecipazione degli atleti ebrei tedeschi a questi giochi olimpici, vale la pena citare la reazione di Victor Klemperer, cugino del direttore d’orchestra Otto Klemperer. Figlio di un rabbino e sposato con un’ariana, egli trascorse tutto il periodo nazional-socialista, compreso anche quello della guerra, in Germania ed in particolare a Dresda che egli dovette abbandonare in seguito ai terribili bombardamenti alleati del febbraio 1945. Nel suo diario, in data del 13 agosto 1936, annotava:
I giochi olimpici, che presto termineranno, mi ripugnano doppiamente. In quanto assurda sopravvalutazione dello sport; l’onore di un popolo dipende dal fatto che uno dei suoi partecipanti salta dieci centimetri più in alto di tutti gli altri. E peraltro, è un negro degli USA che ha fatto il salto più alto, e la medaglia d’argento per la scherma assegnata alla Germania, è l’ebrea Helene Mayer che l’ha guadagnata (io non so quello che è più indecente, la sua partecipazione in quanto Tedesca del III° Reich oppure il fatto che la sua perfomance sia rivendicata dal III° Reich) (Journal I, Seuil, Parigi 2000, 1986).
Occorre dire che V. Klemperer era ferocemente antisionista. Per lui il sionismo era “puro nazismo” e “ripugnante” (ibid., p. 438).
Intesa tra nazional-socialisti e sionisti
Un buon numero di ebrei sionisti condividevano pressapoco la stessa ideologia dei nazionalsocialisti. Si tratta di un argomento che oggi si tenta di mascherare, col rischio di non capirne più nulla di tutta una serie di fatti storici tra i quali si citeranno: 1) nell’agosto 1933, l’Ha’avara Agreement (accordo di trasferimento) stipulato tra i sionisti e le autorità del III° Reich per spezzare o aggirare il temibile boicotaggio economico che le altre organizzazione ebraiche mondiali avevano decretato contro la Germania fin dal marzo 1933; 2) l’approvazione da buona parte dei sionisti, nel 1935, delle leggi di Norimberga per la protezione del sangue tedesco (questi sionisti erano favorevoli alla protezione del sangue ebreo e contrari ai matrimoni misti); 3) la cooperazione, durante tutta la guerra, degli “ebrei bruni” o “dell’internazionale ebraica della collaborazione” non solo con Adolf Eichmann che era anch’egli pro-sionista e pro-ebreo, ma anche con altri numerosi responsabili tedeschi; 4) gli innumerevoli contatti di responsabili ebrei con le autorità tedesche durante tutta la guerra e ciò fino alla proposta da parte del Lehi, alias Gruppo Sterne, d’una alleanza militare contro la Gran Bretagna (gennaio 1941) o l’incontro, nell’aprile 1945, tra Heinrich Himmler e un’alta personalità del Congresso ebraico mondiale, Norbert Masur. Sionisti e nazional-socialisti erano ugualmente in favore di una “soluzione territoriale della questione ebraica” (territoriale Endlosung der Judenfrage). È chiaro che, come in tutte le collaborazioni, cooperazioni e coabitazioni, soprattutto in campo politico, non mancavano i secondi fini, le macchinazioni e i rovesciamenti.
L’espansione del sionismo tedesco nel 1936
Nel febbraio 1936, cioè alcuni mesi prima dell’apertura dei Giochi olimpici, i sionisti tedeschi avevano ufficialmente tenuto il loro congresso a Berlino. Lo stesso anno, la Germania contava una quarantina di centri sionisti di addestramento (Umschlungslagern) per la preparazione dei giovani ebrei ai mestieri agricoli o altri da svolgere ulteriormente in Palestina. La stampa ebraica in Germania conobbe in questo periodo una prodigiosa espansione. Si parlò di un risveglio o di un rinnovamento della coscienza ebraica. Sicuramente gli ebrei antisionisti deploravano o condannavano questa situazione. Molti ebrei, in particolare nelle vecchie generazioni, rivendicavano la loro germanicità e vivevano come un dramma ciò che, dal canto loro, i giovani ebrei consideravano come soluzione per il loro avvenire. I Tedeschi autorizzavano la costituzione di gruppi paramilitari ebraici con uniforme e una bandiera bianca e blu (la bandiera del futuro Stato d’Israele) a condizione però che questi gruppi non sfilassero in parata nelle strade ma solamente nei cortili delle loro scuole o caserme. Incontri sportivi opponevano talvolta giovani sionisti e giovani nazionalsocialisti. Su tutti questi aspetti, si può leggere, in particolare, sia il libro di Francis Nicosia, The Third Reich and the Palestine Question (University of Texas Press, Austin 1985), sia il notevole studio di Otto Dov Kulka, “The reactions of Germany Jewry to the National-Socialist Regime” alle pagine 367-379 del libro di Jehuda Reinharz, Living with Antisemitism (University Press of New England, Hanover [New Hampshire] 1987), sia ancora il libro di Emmanuel Ratier, Les Guerriers d’Israel (Facta, Parigi 1995). Si potrà ugualmente consultare su questi argomenti sia l’Encyclopaedia Judaica, sia l’Encyclopedia of the Holocaust, di cui raccomando l’inizio “Lohamei Herut Israel” a proposito dell’offerta fatta dal Lehi, a cui apparteneva Itzhak Shamir, d’una alleanza militare tra ebrei e Tedeschi contro la Gran Bretagna.
Il caso di Marty Glickman
Preoccupato di svelare il minimo segno di antisemitismo e di approfittarne per lamentarsi, gemere e rivendicare, S. Cypel non teme di chiamare in causa i responsabili della delegazione americana. Afferma che essa non comprendeva che due atleti ebrei, Marty Glickman e Sam Stoller. All’ultimo momento, questi due staffettisti furono sostituiti da due neri, Ralph Metcalfe e Jesse Owens. Una sola spiegazione per il giornalista di Le Monde: Glickman e Stoller furono allontanati perché ebrei! L’argomentazione è irricevibile poiché in fin dei conti la scelta si rivelò la più indovinata e i due neri riporteranno la medaglia d’oro. In ogni caso, se bisogna credere in certuni, Marty Glickman aveva dichiarato negli anni 80 che conservava di questi giochi un ricordo “entusiasta” (G. Frey ed., Vorsicht Fälschung!, FZ-Verlag, Monaco 1994, p. 119).
Il caso di Horst Wessel
S. Cypel ricorda: “il Horst Wessel Lied, questo canto delle SA in onore di un mascalzone antisemita, fu urlato dopo l’inno olimpico”. Una tradizione ebraica e comunista vuole che Horst Wessel abbia trovato la morte sia in un combattimento da strada contro i comunisti sia durante una rissa su una pubblica strada contro un prosseneta. La verità piuttosto sarebbe che questo figlio di pastore protestante, militante anticomunista in seno alle SA, studente di legge e poeta nel tempo libero, fu abbattuto da un comunista, a casa sua, con una pallottola in pieno volto e morì in un ospedale di Berlino, il 23 febbraio 1930. Nel settembre 1929 aveva pubblicato una poesia inneggiante alle SA ed è questa poesia, messa in musica dopo la sua morte, che divenne il secondo inno nazionale tedesco.
Meno propaganda menzognera?
Oggi si ha qualche difficoltà a seguire la cadenza del giornale Le Monde nella sua produzione di errori o di menzogne relativamente al III° Reich o alla “Shoah”. Mi sono fatto l’obbligo di inviare contemporaneamente al suo direttore, Jean-Marie Colombani, e agli autori di articoli grossolanamente sbagliati o menzogneri, le mie umili recensioni, invariabilmente raggruppate sotto l’intitolazione: “Le Monde, journal oblique (suite)”. Sono cosciente del fatto che questo giornale, che ha forte bisogno di denaro e che teme la collera degli ebrei, cerca di pentirsi del suo peccato capitale: il 29 dicembre 1978 e il 16 gennaio 1979, non era stato spinto a pubblicare le mie osservazioni iconoclastiche sulle impossibilità fisiche e chimiche delle camere a gas naziste? Ecco che cosa resta inciso nello spirito di coloro che fanno professione di mai dimenticare e mai perdonare. Sia pure! Ma ci dovrebbero essere dei limiti al servilismo.
Jean-Christophe Mitterand ha visto ne Le Monde la “cassa di risonanza” d’ “una certa lobby ebraica” (Libération, 30 agosto 1999, p. 15). Questa lobby ci fa scoppiare i timpani con la sua propaganda menzognera così come con le invenzioni della sua industria dell’“Olocausto” e le fabbricazioni del suo “Shoah-Business”. È tempo che Le Monde cessi d’essere la sua “cassa di risonanza”.
Da parte mia, attendo di questo giornale il resoconto che esso non mancherà di fare di un’opera tra le più spregevoli che abbiano mai prodotto le officine della propaganda olocaustica. Si tratta di un libro scelto dal ministro dell’Educazione nazionale Jack Lang per l’insegnamento obbligatorio della “Shoah” ai bambini di Francia a partire dalla 4° classe. Composto da Stéphane Bruchfeld e Paul Levine, sarà pubblicato da Ramsay, con il titolo Dites-le à vos enfants (Ditelo ai vostri figli).
Renderò conto nello stesso tempo di questo libro in quanto tale e della sua recensione su Le Monde.
17 settembre 2000
NB del 29 settembre 2000: Nella sua edizione del 29 settembre, Le Monde pubblica sotto la penna di Philippe-Jean Catinchi la recensione di un libro di Jean-Michel Blaizeau, Les Jeux défigurés de Berlin (I giochi sfigurati di Berlino). In questa recensione, si legge che, dei giochi “si è ritenuto […] il livore di Hitler che rifiuta di stringere la mano di Jesse Owens”. Nessuna precisazione che si tratta di un mito.
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Aggiunta del 19 luglio 2008: Le Monde ci fornisce una nuova prova del suo carattere obliquo. Nella sua edizione datata al 19 luglio 2008, Le Monde pretende riprodurre, alle pagine 62-63, l’articolo di Sylvain Cypel apparso, otto anni prima, ne Le Monde dei 17 e 18 settembre 2000, p. VI. Ma lo fa obliquamente. Si astiene dal dichiarare tre tagli che sono rispettivamente di 48, 41 e 17 righe che, inoltre, si astiene da segnalare tipograficamente come vuole la pratica. In quanto al titolo dell’articolo, è gravemente alterato sia nella lettera sia nello spirito. Nel 2000 il titolo era: “1936: à Berlin, L’Aryen ‘Lutz’ devient l’ami de Jesse, le métis” (1936: a Berlino, L’Ariano ‘Lutz’ diviene l’amico di Jesse, il meticcio); nel 2008 il titolo diviene “L’offense faite aux nazis”. Laddove S. Cypel riconosceva onestamente che ai giochi olimpici di Berlino, contrariamente alla leggenda, nessuna offesa era stata fatta ai neri da Hitler o dai “nazisti ”, adesso ci si vuol far credere che un’offesa è stata arrecata coraggiosamente da “Lutz” o “Luz” Long ai dignitari “nazisti ”. Orbene S. Cypel aveva espressamente detto il contrario citando la testimonianza seguente: “Non si deve sbagliare. Nel 1936, Lutz Long aveva ventitré anni. Non era nazista né antinazista. Era proprio un Tedesco del suo tempo, fiero di ciò che gli sembrava essere, come a molti altri giovani, la rinascenza della Germania. Abbracciandosi con Jesse pubblicamente, egli non intendeva né ferire né protestare contro qualunque cosa”.
Si arguisce da ciò che nel 2000 era ancora possibile, eccezionalmente, manifestare qualche scrupolo e d’usare una certa probità a proposito del nazionalsocialismo: a rigore, si rettificavano ancora degli errori fin troppo grossolani. Nel 2008, non è più possibile. Forse l’ingenuo lettore si immagina che, più ci allontaniamo dalla seconda guerra mondiale, più il grande vinto di questa guerra dovrebbe vedersi trattare con distacco e serenità! Errore! I nostri pizzicagnoli e le nostre pizzicagnole kasher insistono perché sempre di più si affilino i coltelli. Oggi, nelle nostre scuole, fin dal 5° anno della scuola primaria, si apprende che l’ebreo incarna contemporaneamente il bene e la vittima innocente mentre il nazional-socialista, chiamato “nazista”, incarnerebbe il male ed il carnefice. Così vuole la nuova religione universale. Come lo riconosce Alain Finkielkraut, le cui parole sono oro colato, l’ebreo in Francia è diventato “il cocco della Storia” e può apparire anche come “il cocco della Memoria”.
Traduzione a cura di Germana Ruggeri