È autentico il Diario di Anna Frank?
(Graphos, Genova 2000, 124 pp., traduzione di Cesare Saletta dello studio di Robert Faurisson “Le Journal d’Anne Frank est-il authentique?” pubblicato in Serge Thion, Vérité historique ou vérité politique?, La Vieille Taupe, Paris 1980, pp. 213-300.)
In questa traduzione si è fatto riferimento, dove possibile, alla traduzione in italiano de Il Diario di Anna Frank edita dalla Mondadori nel 1959 – nota del traduttore.
Nota degli editori (1980)
Il rapporto che state per leggere non era destinato alla pubblicazione. Nell’intenzione del professor Faurisson, costituiva solo una parte, tra le altre, di un’opera che intendeva dedicare al Diario di Anna Frank.
Se lo pubblichiamo oggi, malgrado la riluttanza del suo autore che, da parte sua, avrebbe voluto una pubblicazione più ampia, inclusi elementi ancora in cantiere, è perché la stampa francese e la stampa straniera hanno fatto chiasso in relazione al parere del professore sul Diario di Anna Frank. Il pubblico, da parte sua, può sentire la necessità di esprimere il suo giudizio in merito. Quindi abbiamo voluto mettere a disposizione l’essenziale di questi testi. Ci si farà così la propria convinzione sui metodi di lavoro di Faurisson e sui risultati cui era pervenuto nell’agosto del 1978.
Questo rapporto, nella forma esatta* in cui lo pubblichiamo, ha già un’esistenza ufficiale. È nell’agosto 1978 che fu inviato, nella sua versione tedesca, all’avvocato Jürgen Rieger perché fosse depositato presso un tribunale di Amburgo. L’avvocato Rieger era ed è ancora oggi il difensore di Ernst Römer, processato per aver espresso pubblicamente i propri dubbi sull’autenticità del Diario.
_____________
* Nota dell’autore (16 maggio 2010): Con più o meno un’eccezione. Il rapporto originale comprendeva un’appendice n° 3 consistente nell’attestato di un professore universitario, Michel Le Guern, rinomato per la sua competenza in materia di critica testuale. L’ultima frase dell’attestato era la seguente: “È certo che gli usi della comunicazione letteraria autorizzano il signor Frank, o chiunque altro, a costruire altrettanti personaggi fittizi di Anna Frank a piacimento, ma a condizione di non pretendere che l’identità di questi esseri fittizi corrisponda al personaggio di sua figlia.” Ogni pagina del mio rapporto conteneva la firma o la sigla di M. Le Guern. Altri due professori, Frédéric Deloffre e Jacques Rougeot, erano sul punto di concludere nello stesso senso quando improvvisamente scoppiò nella stampa, nel novembre del 1978, il “Caso Faurisson”. Questi professori, resi cauti, preferirono astenersi. Per ulteriori dettagli, si veda, qui di seguito, il poscritto datato 1 aprile 2003.
***
Nota dell’autore (1997)
Questo rapporto, destinato espressamente a un tribunale, era seguito da tre appendici.
La prima comprendeva quattordici documenti fotografici [riprodotti in calce alla presente analisi].
La seconda conteneva, in busta sigillata, l’identità del testimone del caso Karl Silberbauer (sezione 68 del rapporto) e l’identità del mio accompagnatore; sono in grado di rivelare oggi che il testimone era la vedova di K. Silberbauer e che il mio accompagnatore era Ernst Wilmersdorf, entrambi di Vienna.
_________________
1. “Il Diario di Anna Frank è autentico?” Questa domanda fa parte da due anni del programma ufficiale del mio corso di “Critica testuale e dei documenti”, un seminario riservato agli studenti del quarto anno già in possesso di un diploma di licence.
2. “Il Diario di Anna Frank è una frode.” Questa è la conclusione dei nostri studi e delle nostre ricerche e questo è il titolo del libro che pubblicherò.
3. Per indagare la questione posta da tale domanda e rispondervi, ho sviluppato il seguente lavoro d’indagine:
[Capitolo I] Una critica interna del manoscritto: il testo stesso del Diario (in olandese) riporta una quantità inspiegabile di fatti inverosimili o inconcepibili (sezioni 4-12).
[Capitolo II] Uno studio dei locali dell’edifico ad Amsterdam: e impossibilità fisiche da una parte e le spiegazioni inventate dal padre di Anna Frank dall’altra compromettono gravemente la posizione di quest’ultimo (sezioni 13-17 e l’appendice n° 1 della documentazione fotografica).
[Capitolo III] L’intervista al testimone principale: il signor Otto Frank. Quest’intervista si è rivelata insopportabile per il padre di Anna Frank (sezioni 18-47).
[Capitolo IV] Un esame bibliografico: silenzi curiosi e rivelazioni curiose (sezioni 48-55).
[Capitolo V] Il ritorno ad Amsterdam per una nuova inchiesta: l’audizione dei testimoni si rivela sfavorevole al signor Otto Frank; la probabile verità (sezioni 56-63).
[Capitolo VI] Chi ha “denunciato” e chi ha arrestato i Frank: perché il signor Frank ha voluto assicurare loro l’anonimato? (sezioni 64-71 e l’appendice n° 2 marcata “Confidenziale”).
[Capitolo VII] Un confronto tra i testi in olandese e in tedesco: il signor Otto Frank, nel tentativo di strafare, si è smascherato, firmando così un falso letterario (sezioni 72-103).
Capitolo I
4. Critica interna: il testo stesso de Il Diario di Anna Frank riporta una quantità inspiegabile di fatti inverosimili o inconcepibili.
5. Prendiamo, per esempio, la questione dei rumori; c’è un punto in cui viene detto che se tossivano doveva assumere rapidamente la codeina potevano essere uditi dai “nemici”, talmente “sottili” erano le pareti (25 marzo 1943). Quei “nemici” erano molto numerosi: Lewin, che “conosce bene tutto l’edificio” (1 ottobre 1942), i magazzinieri, i clienti, i garzoni, il postino, la donna della pulizia, il guardiano notturno Slagter, gli idraulici, il personale del “servizio sanitario,” il ragioniere, la polizia che moltiplica le perquisizioni, i vicini di casa, vicini o lontani che fossero, il proprietario, ecc. È pertanto inverosimile e al tempo stesso inconcepibile che la signora Van Daan avesse l’abitudine di passare l’aspirapolvere ogni giorno alle 12:30 (5 agosto 1943); si tenga presente inoltre che gli aspirapolvere di quell’epoca erano particolarmente rumorosi. Chiedo: “Come è pensabile che possa essere vero?” La mia domanda non è di pura forma; non è retorica; non è una manifestazione di stupore. La mia domanda è una domanda e come tale esige una risposta. A questa domanda potrebbero seguirne altre quaranta riguardanti i rumori. Bisogna, per esempio, spiegare come fosse possibile che venisse usato uno svegliarino (4 agosto 1943); è necessario spiegare come fosse possibile che si eseguissero rumorosi lavori di carpenteria, quali la rimozione della scaletta di legno, la trasformazione di una porta in uno scaffale girevole (21 agosto 1942), la realizzazione di un candelabro di legno (7 dicembre 1942). Peter spacca la legna nella soffitta con la finestra aperta (23 febbraio 1944). Quei lavori riguardavano la costruzione, con la legna che c’era nella soffitta, di “qualche scaffaletto e altre graziose carabattole” (11 luglio 1942) e perfino la sistemazione in soffitta di… “un angolino” dove il dentista potesse lavorare tranquillamente (13 luglio 1943). Viene prodotto rumore quasi costantemente dalla radio, dallo sbattere le porte, da una “fragorosa risata” (6 dicembre 1943), dalle discussioni, dalle urla, da un “fracasso da giudizio universale” (9 novembre 1942). “Seguì un gran baccano (…) mi torcevo dal ridere” (10 maggio 1944). L’episodio riportato in data 2 settembre 1942 è inconciliabile con la necessità di rimanere in silenzio e discreti; per l’occasione ci viene descritta una cena tra coloro che si nascondevano. Cianciano allegramente, quando all’improvviso un fischio penetrante giunse loro; udirono poi la voce di Peter che gridava nel tubo della stufa: “Sotto, non ci vengo proprio, sappiatelo!” Il signor Van Daan balza in piedi, lasciando cadere il tovagliolo per terra, e tutto rosso in viso grida: “Ora basta!” Salì in soffitta e lì, colpi e battito di piedi. L’episodio riportato in data 10 dicembre 1942 è simile. Ci viene descritta la signora Van Daan curata dal dentista Dussel, il quale comincia a raschiarle un buchino [nel dente]. La signora inizia a “urlare” in modo incoerente [con lo strumento in bocca] e cerca di togliersi il raschietto. Il dentista guarda la scena con le mani sui fianchi; gli altri spettatori “ridono smodatamente.” Anna, invece di mostrare il minimo segno di disagio di fronte a queste grida e alle risate scomposte, dichiara: “Molto villani; perché io, certamente, avrei strillato ancor più forte.”
6. Potrei ripetere queste osservazioni che ho appena fatto in materia di rumori a proposito di tutti gli aspetti delle realtà della vita fisica e morale. Il Diario presenta perfino la particolarità di non descrivere un aspetto di una vita vissuta che non sia inverosimile, incoerente, o assurda. I Frank, al momento dell’arrivo nel nascondiglio, mettono delle tendine per nascondere la propria presenza, ma munire di tendine finestre che fino ad allora non le avevano non è forse il modo migliore per attirare l’attenzione al proprio arrivo? Non è forse singolare che quelle tendine fossero fatte di teli [trasparenti], “del tutto diversi per forma, qualità e disegno” (11 luglio 1942)? Per non tradire la loro presenza, i Frank bruciavano i rifiuti. Così facendo però avrebbero richiamato l’attenzione sulla loro presenza per via del fumo che sarebbe fuoriuscito dal tetto di un edificio che sarebbe dovuto essere disabitato! Accesero per la prima volta la stufa il 30 ottobre 1942 (lettera del 29 ottobre 1942: “Domani”) benché fossero giunti in quel luogo il 6 luglio. Ci si chiede che cosa mai abbiano fatto dei rifiuti durante l’estate per 116 giorni. Faccio presente che, d’altra parte, le consegne di cibo erano ingenti. In condizioni normali, le persone che si nascondevano e i loro ospiti consumavano ogni giorno otto colazioni, dagli otto ai dodici pranzi e otto cene. In nove passaggi del libro si allude a cibo cattivo, mediocre, o insufficiente; il cibo per il resto è abbondante e “delizioso.” Il signor Van Daan “si serve abbondantemente di tutto” e Dussel “prende enormi porzioni” di cibo (9 agosto 1943). Sul posto fanno le salsicce e salumi, confetture di fragole, e conserve in barattoli. Non sembrano mancare nemmeno acquavite, alcool, cognac, vino, e sigarette. Il caffè è così comune che non si capisce perché l’autrice, elencando (23 luglio 1943) ciò che ciascuno vorrebbe fare quando potrà di nuovo uscire in libertà, afferma che il desiderio più intenso della signora Frank era quello di bersi una tazza di caffè. D’altra parte, il 3 febbraio 1944 – durante il terribile inverno del 1943 / 1944 – ecco l’inventario delle scorte disponibili alle sole persone che si stavano nascondendo, con l’esclusione di qualsiasi amico convivente e dei “nemici:” “trenta chili di farina,” “30 chili di fagioli e 5 di piselli,” “dieci scatole di pesce, 40 di latte condensato, 10 chili di latte in polvere, 3 bottiglie d’olio, 4 barattoli di burro, altrettanti di carne, 2 fiaschi di conserva di fragole, 2 di lamponi, 20 di pomodori, 5 chili di fiocchi d’avena, 4 di riso.” Fanno ingresso poi, in altri momenti, alcuni sacchi di legumi ciascuno del peso di… 25 chilogrammi, o ancora “dieci chili di piselli” (8 luglio 1944). Le consegne vengono effettuate da un “verduriere gentile,” e sempre “verso mezzogiorno” (11 aprile 1944). È inverosimile; in una città descritta altrove come alla fame, come faceva un verduriere a lasciare il negozio, in pieno giorno, con simili carichi e andare a consegnargli a una casa situata in un vicinato trafficato? Questo verduriere come avrebbe potuto evitare nel proprio quartiere (era “dietro l’angolo”) di incontrare i suoi clienti normali da cui, in quel tempo di scarsità di cibo, di norma veniva cercato e sollecitato? Ci sono molti altri misteri in relazione ad altre merci e al modo in cui queste raggiungevano il nascondiglio. In occasione delle feste e dei compleanni dei clandestini, i regali sono abbondanti: garofani, peonie, narcisi, giacinti, vasi per fiori, dolci, libri, caramelle, accendisigari, gioielli, rasoi, una roulette, ecc. Vorrei richiamare l’attenzione su una vera prodezza di cui è autrice Elli [un’amica di famiglia, ndt], la quale trova il modo di offrire un po’ d’uva il 23 luglio 1943; ripeto: un po’ d’uva ad Amsterdam il 23 luglio [fuori stagione quindi, ndt]. Ci viene detto anche il prezzo: 5 fiorini al chilo.
7. L’invenzione dello “scaffale girevole” è un’assurdità. La parte dell’immobile in cui si sarebbero nascosti esisteva infatti ben prima del loro arrivo. Mettere quindi un armadio significava indicare, se non la presenza di qualcuno, almeno un cambiamento in quell’edificio. La trasformazione dei locali dell’edifico – accompagnata dal rumore dei relativi lavori di carpenteria – non poteva sfuggire ai “nemici” e, in particolare, alla donna della pulizia. Questo preteso “sotterfugio,” escogitato con lo scopo d’ingannare la polizia nell’eventualità di un setacciamento, è probabile invece che, al contrario, l’allertasse (”stanno facendo molte perquisizioni per scovare biciclette nascoste,” spiega Anna il 21 agosto 1942, motivo per cui la porta d’ingresso del nascondiglio venne celata in quel modo). La polizia, non trovando nessuna porta d’ingresso per l’edificio che serviva da nascondiglio, sarebbe rimasta sorpresa da tale stranezza e avrebbe presto scoperto che qualcuno aveva voluto ingannarla dal momento che si sarebbe trovata dinnanzi a un edificio abitativo privo di un ingresso!
8. Per quanto riguarda i seguenti punti, abbondano altrettante situazioni inverosimili, incoerenze, e assurdità: le finestre (apertura e chiusura), l’elettricità (attaccata e staccata), il carbone (prelevato dal mucchio comune senza che i “nemici” se ne accorgessero), l’apertura e la chiusura delle tendine ovvero il camuffamento, l’uso dell’acqua e del gabinetto, i mezzi per cucinare, i movimenti dei gatti, gli spostamenti dalla parte anteriore della casa all’annesso (e viceversa), il comportamento del guardiano notturno, ecc. La lunga lettera dell’11 aprile 1944 è particolarmente assurda. In essa viene riportato il caso di un furto con scasso. Si sappia per inciso, che ci viene detto che la polizia si era fermata nel cuore della notte di fronte allo “scaffale girevole,” sotto la luce elettrica, alla ricerca dei ladri che avevano commesso quell’intrusione. “Armeggiano lo scaffale girevole.” La polizia accompagnata dal guardiano notturno, non si è accorta di nulla e non ha cercato di entrare nell’annesso! Come dice Anna: “Dio ci aveva protetti.”
9. Il 27 febbraio 1943 ci viene detto che fortunatamente il nuovo proprietario non ha insistito a prender visione dell’annesso. Koophuis gli disse di aver dimenticato a casa la chiave; il nuovo proprietario, anche se accompagnato da un architetto, non chiese altro e non esaminò il suo nuovo acquisto, né quel giorno né successivamente.
10. Quando si ha un intero anno per scegliere un nascondiglio (vedere 5 luglio 1942), si va a scegliere il proprio ufficio? Vi si porta la famiglia? E in aggiunta un collega? E pure la famiglia di quel collega? Si sceglie un luogo pieno di “nemici” in cui la polizia e i tedeschi sarebbero andati automaticamente a cercarli se non li avessero trovati a casa? Quei tedeschi, è vero, non erano molto curiosi. Il 5 luglio 1942 (una domenica) Frank padre (a meno che non si trattasse di Margot [la sorella di Anna, ndt]?!) ha ricevuto una “chiamata” dalle SS (si veda la lettera dell’8 luglio 1942). Tale ingiunzione a presentarsi non ha avuto nessun seguito. Margot, ricercata dalla SS, raggiunge il nascondiglio in bicicletta e, per giunta, lo fa il 6 giugno, quando, secondo la prima delle due lettere del 20 giugno, da qualche tempo agli ebrei era stato ordinato di consegnare le biciclette.
11. Per contestare l’autenticità del Diario si potrebbero invocare argomenti di carattere psicologico, letterario, e storico. Mi asterrò dal farlo in questa sede; mi limiterò semplicemente a sottolineare che le assurdità sul piano della realtà fisica sono così gravi e numerose da aver un effetto sul piano psicologico, letterario, e storico.
12. Non si devono attribuire all’immaginazione dell’autrice o alla ricchezza della sua personalità cose che sono nella realtà inconcepibili. L’inconcepibile è “ciò per il quale la mente non può formare alcuna rappresentazione, poiché i termini che la ritraggono coinvolgono un’impossibilità o una contraddizione: un cerchio quadrato, per esempio.” Chi dice di aver visto uno, dieci, o un centinaio di cerchi quadrati non dà prova di avere né un’immaginazione fervida, né una personalità ricca, perché, in effetti, ciò che dice è assolutamente privo di senso. Dà prova di avere una scarsa immaginazione; nulla più. Le assurdità del presenti nel Diario sono quelle di un’immaginazione scarsa sviluppatasi al di fuori di una esperienza vissuta; sono degne di un romanzo scadente, ovvero di una menzogna mediocre. Ogni personalità, per quanto scadente possa essere, contiene ciò che è appropriato chiamare contraddizioni di tipo psicologico, morale, o mentale. Mi asterrò dal dimostrare in questa sede che nella personalità di Anna non vi è nulla di tutto ciò; la sua personalità è costruita e inverosimile, come le esperienze a cui il Diario si suppone faccia riferimento.
Dal punto di vista storico non mi sorprenderebbe che uno studio dei giornali olandesi e delle radio inglesi e olandesi a partire dal giugno 1942 all’agosto 1944 dimostrasse che si trattasse di un falso scritto dal vero autore del diario. Il 9 ottobre 1942 Anna parla già di ebrei che venivano “gasati” (testo in olandese: “vergassing”)!
Capitolo II
13. Uno studio dei locali dell’edificio ad Amsterdam: le impossibilità fisiche da una parte e le spiegazioni inventate dal padre di Anna Frank dall’altra compromettono gravemente la posizione di quest’ultimo.
14. Di solito chi ha appena letto il Diario può solamente rimanere scioccato nel vedere di persona per la prima volta la “Casa di Anna Frank.” Scopre infatti una specie di “casa di vetro,” visibile e osservabile da qualsiasi parte e accessibile dai quattro lati, oltre al fatto che la planimetria della casa – come riprodotta nel libro attraverso i buoni uffici di Otto Frank – costituisce una distorsione della realtà. Otto Frank si è ben visto dall’includere la planimetria del piano terreno e dal dirci che la piccola corte che separa la parte frontale della casa dall’annesso è larga solo 3,7 metri. Si è preso cura soprattutto di non farci notare che quella stessa piccola corte è condivisa dalla “Casa di Anna Frank” (263, Prinsengracht) e dalla casa che situata a destra guardando la facciata (265, Prinsengracht). Grazie a tutta una serie di finestre e porte-finestre, gli abitanti dei numeri civici 263 e 265 vivevano e si muovevano sotto gli occhi e sotto il naso (in presenza degli odori della cucina!) dei loro rispettivi vicini. Le due case sono in realtà una, oggi oltretutto raggruppate costituiscono il museo. L’ingresso dell’annesso inoltre aveva una sua entrata grazie a una porta che conduceva dal retro a un giardino. Questo giardino è comune al numero civico 263 di Prinsengracht e al numero civico 190 di Keizersgracht. (Dal museo si vedono molto distintamente le persone che vivono al 190 e in molti altri numeri civici di Keizersgracht.) Da questo lato (lato giardino) e dall’altro lato (lato del canale) ho contato duecento finestre delle case vecchie con vista sulla “Casa di Anna Frank.” Anche i residenti del numero civico 261 di Prinsengracht potevano avere accesso al numero 263 dai tetti. È sciocco credere alla benché minima possibilità di vivere veramente di nascosto in quell’edificio; lo affermo tenendo conto, ovviamente, delle modifiche apportate agli edifici dopo la guerra. Indicando la vista sul giardino ho chiesto a dieci visitatori successivi come Anna Frank avrebbe potuto vivere lì di nascosto con la sua famiglia per venticinque mesi. Dopo un attimo di sorpresa (dovuto al fatto che i visitatori del museo in generale vivono in una sorta di stato di ipnosi), ciascuno di loro si è reso conto, in pochi secondi, che era assolutamente impossibile. Ci sono stati vari tipi di reazioni; sgomento per alcuni e scoppio di risate (“My God!”) per altri. Un visitatore, senza dubbio offeso, mi ha detto: “Non pensa che sia meglio lasciare la gente ai propri sogni?” Nessuno ha sostenuto la tesi del Diario nonostante alcune spiegazioni piuttosto pietose fornite dal prospetto e dalle iscrizioni presenti nel museo.
15. Le spiegazioni in questione sono le seguenti: 1° I “nemici” che si trovano in quei locali della parte frontale della casa credevano che le finestre che si affacciavano sulla piccola corte guardassero direttamente sul giardino [su cui si affacciavano invece le finestre dell’annesso, ndt]; non erano a conoscenza quindi nemmeno dell’esistenza dell’annesso e questo grazie alle finestre che venivano oscurate dalla carta nera utilizzata per assicurare la conservazione delle spezie lì immagazzinate; 2° Per quanto riguarda i tedeschi, non avevano mai pensato all’esistenza di un annesso, “visto che questo tipo di edificio era a loro sconosciuto”; 3° Il fumo della stufa “non attirò l’attenzione, perché in quel momento la parte (dove erano situati) serviva da laboratorio per la piccola fabbrica, dove una stufa sarebbe stata parimente in funzione tutti i giorni.”
Le prime due di queste tre spiegazioni provengono da un libretto di trentasei pagine, senza titolo e senza data, stampato da Koersen ad Amsterdam; l’ultima spiegazione è presente nel prospetto di quattro pagine disponibile presso l’ingresso al museo. Il contenuto di queste due pubblicazioni ha ricevuto l’approvazione del signor Otto Frank; in tutti e tre i casi però queste spiegazioni non hanno il benché minimo valore. L’annesso è visibile ed evidente da un centinaio di posizioni dal pianterreno (il cui accesso è vietato ai visitatori), dal giardino, dai corridoi di comunicazione su quattro livelli, dalle due finestre dell’ufficio che guardano sulla corte e dalle case vicine. Alcuni “nemici” erano perfino costretti ad andare lì per espletare i loro bisogni naturali perché non c’erano alternative nella parte frontale della casa. Al piano terra del retrocasa accedevano perfino alcuni clienti della ditta. La “piccola fabbrica” che si suppone essere esistita “in quel periodo,” nel pieno centro di quel quartiere residenziale e commerciale, si presume sarebbe rimasta per almeno due anni senza emettere fumo per poi, improvvisamente, iniziare di nuovo a emetterlo il 30 ottobre 1942. E che fumo! Giorno e notte! D’inverno come d’estate, in presenza e in assenza del caldo soffocante. A parere di tutti (e, in particolare, dei “nemici,” come Lewin che in precedenza aveva situato lì il suo laboratorio chimico), la “piccola fabbrica” avrebbe ripreso di nuovo la sua attività! Ma perché il signor Frank ha aguzzato l’ingegno per trovare questa spiegazione, quando, per altri versi, l’annesso è già descritto come una sorta di casa-fantasma?
16. Per concludere su questo punto, vorrei dire che, se non erro nel negare qualsiasi valore in queste “spiegazioni,” abbiamo il diritto di affermare che: 1° Alcuni fatti molto gravi per la posizione del signor Otto Frank restano inspiegati; 2° Il signor Otto Frank è in grado di inventarsi storie, anche stupide e mediocri, esattamente come quelle che ho indicato nella mia lettura critica del Diario. Chiedo al lettore di ricordarsi questa conclusione; verrà a sapere in seguito quale risposta mi ha dato personalmente il signor Frank alla presenza della moglie.
17. Per la documentazione fotografica relativa alla “Casa di Anna Frank,” si veda l’appendice n° 1.
Capitolo III
18. L’intervista al testimone principale: il signor Otto Frank. Quest’audizione si è rivelata insopportabile per il padre di Anna Frank.
19. Feci sapere al signor Otto Frank che con i miei studenti stavo preparando uno studio del Diario, facendo presente chiaramente che la mia specialità era la critica testuale e dei documenti e che necessitavo di un colloquio prolungato. Il signor Frank mi concesse l’intervista con entusiasmo; fu così che fui ricevuto nella sua residenza a Birsfelden, un sobborgo di Basilea, all’inizio il 24 marzo 1977, dalle 10:00 del mattino all’1:00 di pomeriggio e poi dalle 3:00 di pomeriggio alle 6:00 di sera e in fine, il giorno dopo, dalle 9:30 del mattino alle 12:30 del pomeriggio. A dire il vero, il giorno dopo come luogo dell’incontro fu stabilita una banca a Basilea; il signor Frank volle infatti di prelevare in mia presenza da una cassetta di sicurezza ciò che chiamava il manoscritto della figlia. L’intervista quindi quel giorno si tenne in parte in tale banca e in parte sulla via di ritorno a Birsfelden e, in parte, di nuovo, nella residenza del signor Frank. Tutti i colloqui avvenuti nella residenza del signor Frank avvennero in presenza della moglie (la seconda moglie dato che la prima morì, a quanto sembra di tifo, dopo essere stata deporta, al pari di Margot e Anna). Dopo il primo minuto dell’intervista dichiarai chiaro e tondo al signor e alla signora Frank che avevo qualche dubbio sull’autenticità del Diario. Il signor Frank non mostrò segni di sorpresa e si dichiarò pronto a fornirmi tutte le informazioni che desideravo. Rimasi colpito in quei due giorni dall’affabilità estrema del signor Frank; nonostante l’età – 88 anni – non ricorse mai al pretesto la stanchezza per concludere prematuramente l’intervista. Nel Diario viene descritto come un simpaticone (vedere 2 marzo 1944). Inspira sicurezza; sa come anticipare i vostri desideri non espressi; si adatta notevolmente alle situazioni; adotta volentieri argomenti fondati sui sentimenti e parla moltissimo di tolleranza e di comprensione. Lo vidi perdere le staffe solamente una volta, mostrandosi per l’occasione intransigente e violento; ciò fu in occasione della causa sionista che doveva sembrargli sacra. Fu con tale atteggiamento che mi dichiarò di non mettere nemmeno più piede sul suolo francese perché, a suo avviso, alla Francia non interessava più nulla eccetto il petrolio arabo e non le importava di Israele. Il signor Frank non mantenne la promessa di rispondere alle mie domande solamente in tre occasioni; è interessante sapere che si tratta dei seguenti tre punti: 1° l’indirizzo di Elli in Olanda; 2° il come rintracciare il magazziniere indicato nel libro come V. M. (che ho saputo trattarsi probabilmente di Van Maaren); 3° il come rintracciare l’Austriaco Karl Silberbauer che il 4 agosto 1944 arrestò i clandestini.
20. A proposito di Elli, il signor Frank mi dichiarò che era molto malata e che, essendo “poco intelligente,” non avrebbe potuto essermi di nessun aiuto. Per quanto riguarda gli altri due testimoni, avevano passato abbastanza guai senza che andassi a importunarli con domande che avrebbero fatto riaffiorare loro alla mente un passato doloroso. A compensazione di ciò, il signor Frank mi raccomandò di mettermi in contatto con Kraler (il cui vero nome è Kugler), stabilitosi in Canada, e con Miep e suo marito, che vivono tuttora ad Amsterdam.
21. Il signor Frank mi ha dichiarato che le basi del Diario sono autentiche; che gli eventi descritti sono veri, e che fu Anna, e solamente Anna, ad aver scritto i manoscritti del Diario. Anna, come ogni scrittore, forse aveva qualche tendenza a esagerare o distorcere con l’immaginazione ma tutto entro i limiti dell’ordinario e dell’accettabile, senza che per questo ne soffrisse la veridicità dei fatti. Complessivamente i manoscritti di Anna formano una produzione notevole. Ciò che il signor Frank ha presentato agli editori non era il testo di questi manoscritti, il puro testo originale, ma un testo che ha scritto a macchina lui in persona: un “dattiloscritto.” È stato così costretto per vari motivi a trasformare i vari manoscritti in un unico “dattiloscritto.” I manoscritti innanzitutto presentavano alcune ripetizioni; contenevano poi alcune indiscrezioni e inoltre alcuni passi privi di interesse. C’erano infine… alcune omissioni! Il signor Frank, notando il mio stupore, mi fece il seguente esempio (senza dubbio un esempio innocuo ma mi chiedo se ce ne siano stati altri più seri che mi ha tenuto nascosto): ad Anna piacevano molto i suoi zii ma nel suo Diario ha omesso di menzionarli tra le persone a cui voleva bene; il signor Frank ha quindi ha compensato quell’“omissione” menzionando quegli zii nel “dattiloscritto.” Il signor Frank disse [inoltre] di aver cambiato alcune date! Ha pure cambiato i nome di alcuni personaggi. Sembra, senza ombra di dubbio, che fu Anna stessa, ad aver pensato di cambiare i nomi; aveva considerato l’eventualità della pubblicazione del diario. Il signor Frank scoprì, su un pezzo di carta, la lista dei nomi veri con i corrispettivi nomi falsi. Si suppone che Anna abbia pensato di chiamare i Frank con il cognome Robin. Il signor Frank rimosse dai manoscritti certe indicazioni dei prezzi di alcuni beni. Più importante, trovandosi, almeno in certi momenti, in possesso di due versioni differenti del testo, gli fu necessario “combinare” (questo è il termine che ha usato) i due testi in uno unico. Riassumendo tutte queste trasformazioni, il signor Frank infine mi dichiarò: “Fu un compito difficile. Lo feci secondo coscienza.”
22. I manoscritti che mi presentò il signor Frank come quelli di sua figlia costituiscono nell’insieme un qualcosa di impressionante. Non ho avuto il tempo di esaminarli attentamente. Mi sono fidato della descrizione che mi è stata fatta e li riassumerò come segue:
– la prima data menzionata è il 12 giugno 1942, mentre l’ultima è il primo agosto 1944 (tre giorni prima del loro arresto);
– il periodo dal 12 giugno 1942 al 5 dicembre dello stesso anno (quest’ultima data però non corrisponde a nessuna lettera stampata); abbiamo a disposizione un piccolo quaderno per appunti con una copertina in carta telata con un disegno a quadretti rossi, bianchi, e marroni (il “quaderno con la copertina in stile scozzese”);
– il periodo dal 6 dicembre 1942 al 21 dicembre 1943; non siamo in possesso di nessun quaderno in particolare (vedere però nel seguito i “fogli sparsi”); si presume che questo quaderno sia andato perso;
– il periodo dal 2 dicembre 1943 al 17 aprile 1944, poi per il periodo da quella stessa data del 17 aprile (!) all’ultima lettera (primo agosto 1944); due quaderni di appunti rilegati in nero e foderati con carta marrone.
23. A questi tre quaderni e a quello mancante va aggiunta una raccolta di 38 fogli sparsi, per il periodo dal 20 giugno 1942 al 29 marzo 1944. Il signor Frank ha detto che quei fogli costituiscono una ripresa e un rimpasto, fatto da Anna stessa, di lettere contenute, in forma originale, nei quaderni di cui sopra: il “quaderno con la copertina in stile scozzese,” il quaderno mancante, e il primo dei due quaderni neri.
24. Fino a questo punto il totale di ciò che Anna si suppone abbia scritto durante i venticinque mesi trascorsi clandestinamente ammonta quindi a cinque volumi. A questo totale è opportuno aggiungere la raccolta di Racconti inventati presumibilmente da Anna. Il testo in sé si presenta come un lavoro perfettamente ripulito, il quale, per cominciare, non può che essere una rielaborazione di una bozza. Anna quindi deve avere scarabocchiato parecchia carta!
25. Non sono competente in materia di analisi calligrafica e quindi non posso esprimere un parere al proposito; posso solamente riportare le mie impressioni. Ho l’impressione che il “quaderno con la copertina in stile scozzese” contenesse alcune fotografie, ritratti, e disegni, oltre a una varietà di scritti molto infantili, la cui confusione e fantasia sembrano autentici. Sarebbe necessario esaminare attentamente la calligrafia dei testi utilizzati dal signor Frank per formare la base del Diario. Gli altri quaderni e tutti i 38 fogli sparsi sono scritti con quella che definirei una calligrafia da adulto. Per quanto riguarda il manoscritto dei Racconti, posso dire che mi sorprese parecchio. A vederlo sembra l’opera di un contabile esperto piuttosto che quella di una ragazzina di 14 anni. L’indice si presenta come una lista dei Racconti con la data di composizione, il titolo, e la pagine a cui fa riferimento ciascun brano!
26. Il signor Frank ha fatto un gran dire delle conclusioni delle relazioni dei periti incaricati, attorno al 1960, a Lubecca, dal procuratore perché esaminassero il caso di un insegnante (Lothar Stielau) che nel 1959 espresse alcuni dubbi sull’autenticità del Diario.[1] Il signor Frank aveva querelato quel maestro; la perizia calligrafica era stata affidata alla signora Minna Becker, mentre la signora Annemarie Hübner era stata incaricata di attestare se i testi stampati in olandese e in tedesco fossero riproduzioni fedeli dei manoscritti. Le due perizie, depositate nel 1961, risultarono favorevoli al signor Frank.
27. D’altra parte, però il signor Frank non mi rivelò – e lo appresi dopo la mia visita da una fonte tedesca – che la procura di Lubecca aveva deciso di richiedere una terza perizia. Perché una terza perizia? E in base a cosa, visto che, tutto faceva sembrare che l’intero spazio per una possibile indagine fosse stata esplorato dal perito calligrafico e dalla signora Hübner? La risposta a queste domande è la seguente: il pubblico ministero ritenne che una perizia come quella eseguita dalla signora Hübner rischiava di indicare che i fatti davano ragione a Stielau Lothar. Alla luce delle prime analisi sarebbe stato impossibile dichiarare che il Diario fosse un dokumentarisch echt (documento autentico). Forse si sarebbe potuto dichiararlo literarisch echt (letterariamente autentico) (!). Lo scrittore Friedrich Sieburg stava per essere accusato di rispondere a questa questione curiosa.
28. Di questi tre perizie mi sarebbe interessata davvero solo quella della signora Hübner. Il 20 gennaio 1978, una lettera dalla signora Hübner mi fece sperare che avrei ottenuto una copia della sua perizia. Poco tempo dopo, non avendo ricevuto le mie lettere una risposta dalla signora Hübner, feci in modo che un mio amico tedesco le telefonasse. Costei gli fece sapere che “la questione è molto delicata, dato che sulla questione del Diario c’è attualmente un processo in corso a Francoforte,” aggiungendo di essere stata messa in contatto con il signor Frank. Secondo i pochi elementi del contenuto di tale perizia di cui sono in possesso, si suppone che siano stati notati un gran numero di fatti interessanti dal punto di vista del confronto dei testi (manoscritti, “dattiloscritto,” testo in olandese, e testo in tedesco). In quella perizia la signora Hübner presumibilmente avrebbe menzionato alcune delle “omissioni” (Auslassungen), “aggiunte” (Zusätze), e “interpolazioni” (Interpolationen) presenti in quantità estremamente abbondanti; si suppone inoltre che abbia discusso anche degli “adattamenti” del testo per le necessità di pubblicazione (überarbeitet). A quanto pare inoltre, la signora è arrivata al punto di fare i nomi di alcune persone che hanno “collaborato” (Zusammenarbeit) con il signor Frank per la stesura del “dattiloscritto” e sembra abbiano collaborato alla stesura del testo tedesco invece di limitarsi a tradurre.
29. La signora Hübner, a dispetto di tali fatti da lei stessa indicati, è giunta a quanto pare alla conclusione che il Diario è autentico (testo stampato in olandese e testo stampato in tedesco); sembra quindi che abbia espresso il seguente parere: “Questi fatti non sono importanti.” Questa valutazione però non può che essere un’opinione personale. Ecco tutto. Chi ci assicura che non si possa giungere a un’altra valutazione basandosi sui fatti indicati dal perito? E poi, tanto per cominciare, il perito ha dimostrato imparzialità e un autentico atteggiamento scientifico nel nominare i fatti così come ha fatto? Quelle che ha chiamato, ad esempio, “interpolazioni” (una parola dall’apparenza scientifica ma dal significato ambiguo) non potrebbero essere chiamate da altri “ritocchi”, “alterazioni”, e “intercalazioni” (parole senza dubbio più corrette e più precise)? Allo stesso modo, parole come “aggiunte” e soprattutto “omissioni”, benché all’apparenza neutrali, nascondono in verità, alcune realtà confuse: un’“aggiunta” o un’“omissione” può essere onesta o disonesta; può non modificare nulla di importante in un testo o può, al contrario, alterarlo profondamente. Nel caso particolare d’interesse in questa sede, le due parole in questione hanno un aspetto francamente benigno!
30. In ogni caso è impossibile considerare i pareri dei tre periti (Becker, Hübner, e Sieburg) come definitivi non essendo stati esaminati da un tribunale; in effetti, per motivi che ignoro, è stato il signor Frank a ritirare la denuncia contro Lothar Stielau. Se le informazioni a mia disposizione sono corrette, quest’ultimo ha accettato di pagare 1.000 marchi dei 15.712 marchi delle spese processuali sostenute. Immagino che il signor Frank abbia pagato al tribunale di Lubecca quei 1.000 marchi, aggiungendovi la somma di 14.712 marchi a pagamento della sua parte. Mi pare di ricordare che il signor Frank mi ha detto che Lothar Stielau aveva accettato inoltre di presentare le scuse per iscritto. Per l’occasione Lothar Stielau aveva perso il suo posto d’insegnante. Il signor Frank non mi parlò di Heinrich Buddeberg, co-imputato con Lothar Stielau; forse anche Buddeberg ha dovuto pagare 1.000 marchi e presentare le scuse.
31. Mi soffermo qui sulle questioni delle opinioni dei periti solo perché nella nostra intervista il signor Frank fece altrettanto, evitando però di menzionare alcuni fatti importanti (per esempio, l’esistenza di una terza perizia) e presentando, ciò nonostante, le due perizie come definitive. Nemmeno la questione dei manoscritti mi interessava molto dato che sapevo che non avrei avuto il tempo di esaminarli attentamente. Ciò che mi interessava di più era sapere come il signor Frank mi avrebbe spiegato la “quantità inspiegabile di fatti inverosimili o inconcepibili” su cui ho richiamato l’attenzione nella lettura del Diario. Dopo tutto, cosa m’importa che certi manoscritti, benché dichiarati autentici da alcuni esperti, riportino fatti di quel genere se tali fatti non sarebbero potuti sussistere? Il signor Frank si mostrò incapace di fornirmi la ben che minima spiegazione. A mio parere si aspettava che l’autenticità del Diario venisse messa in discussione dalle solite argomentazioni, di carattere psicologico, letterario, o storico. Non si aspettava argomenti di critica interna basati sulla realtà della vita materiale: la realtà che, come si sa, è testarda. In un momento di confusione, il signor Frank d’altronde mi ha dichiarato: “Ma… non ci avevo mai pensato a queste cose materiali!”
32. Prima di passare a qualche esempio preciso di quello scompiglio, devo dire, a onor del vero, che in due occasioni il signor Frank mi ha dato risposte valide, in riferimento a due episodi che non ho finora menzionato, proprio perché necessitavano di una spiegazione. Il primo episodio mi era incomprensibile a causa di una piccola omissione nella traduzione francese (a quel tempo non ero in possesso del testo in olandese). Il secondo episodio mi era incomprensibile a causa di un errore presente in tutte le edizioni stampate del Diario. Nella fattispecie, in data 8 luglio 1944, sul verduriere (maschile) che però il manoscritto [nella traduzione in francese, ndt] riporta come “la marchande de légumes” (la verduriera, femminile), una fortuna dato che il lettore attento sa bene che il verduriere in questione non avrebbe potuto consegnare a quei clandestini “10 chili di piselli” (!) l’8 luglio 1944 per il semplice fatto che era stato arrestato 45 giorni prima dai tedeschi per uno dei motivi più gravi (aveva due ebrei in casa). La cosa l’aveva portato “sull’orlo dell’abisso” (25 maggio 1944). È difficile comprendere come un verduriere possa saltar fuori da “l’abisso” per consegnare così ad altri ebrei una tale quantità di merce compromettente. A dire il vero, non si riesce ad avere una comprensione parecchio migliore nemmeno della moglie di quello sfortunato, ma il fatto è riportato e il testo del manoscritto non è assurdo al pari delle edizioni in olandese, tedesca, francese, e inglese… [italiana compresa, ndt]. L’autore del manoscritto è stato più attento. Resta il fatto che l’errore dei testi stampati forse non era un tale ma davvero una correzione volontaria e infelice del manoscritto. Leggiamo, infatti, nel testo stampato in olandese: “[…] van der groenteboer om de hoek, 19 pond” [grida Margot] a cui Anna risponde: “Dat is aarding van hem.” In altre parole, Margot e Anna hanno usato il maschile in due occasioni: “[…] 10 chili dal verduriere (maschile)” e la risposta di Anna è stata: “È una persona (maschile) gentile.” Da parte mia, vorrei tirare altre due conclusioni da tale episodio: 1° La critica interna basata sulla coerenza di un testo ci permette di rilevare alcune singolarità che sono manifestazioni di anomalie autentiche; 2° Il lettore del Diario, una volta giunto all’episodio dell’8 luglio 1944, ha il diritto di affermare l’assurdità di un testo in cui l’eroe (“verduriere sull’angolo” “molto gentile”), salta fuori dalle profondità degli abissi come uno che risorge dalla morte.
33. Tale fruttivendolo, mi disse il signor Frank, si chiamava Van der Hoeven, il quale, deportato per aver ospitato a casa alcuni ebrei, alla fine fece ritorno. Al momento delle cerimonie commemorative, arrivò a comparire al fianco del signor Frank. Ho chiesto al signor Frank se dopo la guerra qualcuno del quartiere gli avesse detto: “Abbiamo sospettato della presenza di persone che si nascondevano a Prinsengracht, 263” e Frank mi ha risposto chiaramente che nessuno aveva sospettato della loro presenza, inclusi gli uomini del magazzino, Lewin, e anche Van der Hoeven. Quest’ultimo presumibilmente li ha aiutati senza saperlo!
34. A dispetto delle mie ripetute domande su questo punto, il signor Frank non è stato in grado di dirmi quello che i suoi vicini di casa, al numero 261 vendevano o producevano; non ricordava che a casa sua, al numero civico 263, c’era una donna della pulizia descritta nel libro come un possibile “nemico.” Ha concluso rispondendomi che quella donna era “molto, molto vecchia” e che veniva solo molto raramente, forse una volta alla settimana. Gli ho detto che questa signora deve essere rimasta sorpresa dal vedere improvvisamente installato uno “scaffale girevole” al pianerottolo del secondo piano. Mi ha risposto di no, dato che la donna della pulizia là non andò mai. Questa risposta ha provocato per la prima volta una sorta di controversia tra il signor Frank e la moglie, presente al nostro colloquio. In precedenza, infatti, mi ero assicurato che il signor Frank mi dicesse chiaramente che coloro che si nascondevano non avevano mai fatto nessuna faccenda domestica, eccezion fatta per le pulizie di una parte dell’annesso. Come conclusione logica delle due affermazioni del signor Frank, ho chiesto quindi: “Per venticinque mesi, nessuno aveva fatto nessuna pulizia del pianerottolo al secondo piano?” A fronte di tale improbabilità, la signora Frank è intervenuta improvvisamente per dire al marito: “Sciocchezze! Nessuna pulizia su quel pianerottolo! In una fabbrica! Ma ci sarebbe stato uno strato di polvere spesso così!” Ciò che la signora Frank avrebbe potuto aggiungere è che il pianerottolo avrebbe dovuto servire presumibilmente come passaggio per i clandestini nel loro andirivieni tra l’annesso e la parte anteriore della casa. Le tracce del loro andirivieni sarebbe state ovvie in mezzo a tanta polvere accumulata, anche senza prendere in considerazione la polvere proveniente dal carbone portato da sotto. In realtà, il signor Frank non avrebbe potuto dire la verità parlando in quel modo di una sorta di donna della pulizia fantasma per una casa così grande e così sporca.
35. In diverse occasioni, all’inizio della nostra intervista, il signor Frank ha tentato quindi di fornire alcune spiegazioni che, alla fine, non spiegavano nulla e che, al contrario, lo hanno portato in vicoli ciechi. Devo dire qui che la presenza di sua moglie si è dimostrata particolarmente utile. La signora Frank, che conoscenza molto bene il Diario, ovviamente, aveva creduto fino ad allora all’autenticità di quel testo e alla sincerità del marito. La sorpresa della moglie è stata solo più evidente di fronte alla qualità delle risposte terribili date dal signor Frank alle mie domande. Per quanto mi riguarda, conservo un ricordo penoso di quelle che chiamerei alcune “prese di coscienza” della signora Frank. Non voglio affatto dire che la signora Frank oggi considera il marito un menzognero; sostengo però che durante il nostro colloquio è diventata fortemente consapevole delle anomalie e delle assurdità gravi presenti in tutta la storia di Anna Frank. Udendo le “spiegazioni” del marito, è arrivata a rivolgergli frasi sul genere:
– “Ma dai!” [si intenda, “Che assurdità!”, ndt]
– “Quel che dici è incredibile!”
– “Un aspirapolvere! Questa è da non crederci! Non l’avevo mai notata!”
– “Ma dovevate essere veramente imprudenti!”
– “Questa è stata davvero un’azione imprudente!”
L’osservazione più interessante che la signora Frank ha fatto è stata la seguente: “Sono sicura che [la gente del quartiere] sapeva che eravate lì.” Da parte mia, direi piuttosto: “Sono sicuro che la gente del quartiere vedeva, udiva, sentiva l’odore della presenza di persone in clandestinità, se effettivamente qualcuno si fosse nascosto in quella casa per venticinque mesi.”
36. Vorrei fare un altro esempio delle spiegazioni del signor Frank. Secondo lui, la gente che lavorava nella parte anteriore della casa non riusciva a vedere la parte principale dell’annesso a causa della “carta usata per oscurare i vetri della finestre.” Questa affermazione, che si trova nell’opuscolo del museo, mi è stata ripetuta dal signor Frank, in presenza della moglie. Senza soffermarmi su questa affermazione, sono passato a un altro argomento: quello del consumo di elettricità. Ho fatto notare che il consumo di energia elettrica in quella casa deve essere stato notevole. Dato che il signor Frank fu sorpreso dalla mia osservazione, gli ho precisato: “Il consumo deve essere stato notevole dato che la luce elettrica rimaneva accesa tutto il giorno nell’ufficio che si affacciava sulla corte e nel magazzino, situato nella parte frontale della casa, che guardava sulla corte.” Il signor Frank allora mi ha detto: “Come è possibile? La luce elettrica non è necessaria in pieno giorno!” Gli indicai che quelle stanze non potevano ricevere luce di giorno dal momento che sulle finestre era stata fissata carta per oscurarle,” al che il signor Frank mi ha risposto dicendo che quelle stanze ciò nonostante non erano al buio: una risposta sconcertante che contraddice quanto affermato nel libretto redatto dal signor Frank: “Le spezie devono (…) essere tenute al buio” (pagina 25 del libretto di 36 pagine menzionato prima nella sezione 15). Il signor Frank poi ha osato aggiungere che da quelle finestre sulla corte si vedeva solo il muro; ha specificato, contro ogni evidenza, che non si vedeva che era il muro di una casa! Precisazione questa contraddetta nel passo seguente di quello stesso opuscolo: “pertanto, anche se erano visibili le finestre [oscurate], non si poteva vedere attraverso di esse e tutti presumevano che dessero sul giardino” (ibidem). Ho chiesto se comunque a volte quelle finestre oscurate venissero aperte, se non altro per aerare l’ufficio o quando venivano ricevuti i visitatori, se non altro d’estate nei giorni di caldo afoso. La signora Frank concordava con me su questo punto e fece notare ugualmente che ogni tanto quelle finestre dovevano essere aperte. Silenzio da parte del signor Frank.
37. L’elenco dei rumori ha lasciato perplessi il signore e, soprattutto, la signora Frank. Per quanto riguarda l’aspirapolvere, il signor Frank, sorpreso, mi ha dichiarato: “Ma lì non ci poteva essere un aspirapolvere.” Poi, quando gli ho assicurato che ce n’era uno, ha cominciato a balbettare; mi ha detto che, ammesso che ci fosse stato davvero un aspirapolvere, dovevano usarlo di sera, quando il personale (i “nemici”) avevano lasciato la parte anteriore della casa dopo aver finito di lavorare. Ho obiettato che il rumore di un aspirapolvere di quell’epoca sarebbe stato udito molto meglio dai vicini (i muri erano “sottili,” 25 marzo 1943), in quanto le stanze erano vuote o quasi. Gli ho rivelato che, presumibilmente, in ogni caso, la signora Van Daan da parte sua avrebbe utilizzato tale aspirapolvere tutti i giorni, regolarmente, attorno alle 12:30 pomeridiane (con la finestra probabilmente aperta). Silenzio da parte del signor Frank, mentre la signora Frank era visibilmente turbata. Stesso silenzio anche sullo svegliarino che a volte suonava quando voleva (4 agosto 1943). Stesso silenzio anche sulla rimozione delle ceneri, soprattutto nelle giornate di canicola. Stesso silenzio sulla sottrazione, da parte delle persone che vivevano clandestinamente, di carbone (un bene raro) dalla scorta comune a tutta la casa. Stesso silenzio in merito alla questione delle biciclette utilizzate dopo la confisca e l’imposizione del divieto per gli ebrei di utilizzarle.
38. Un certo numero di domande quindi è rimasto senza risposta o hanno dato luogo in un primo momento a spiegazioni da parte del signor Frank che hanno peggiorato la sua posizione. A un certo punto però il signor Frank ha avuto una trovata: una formula magica. La formula era la seguente: “Signor Faurisson lei ha ragione teoricamente e scientificamente. Concordo con Lei al 100%…. Ciò che mi ha fatto notare è, in effetti, impossibile, ma, in pratica tuttavia, le cose sono andate proprio così.” Feci notare al signor Frank che quella sua affermazione mi risultava problematica; gli dissi che era quasi come se fosse d’accordo con me che una porta non potesse essere al tempo stesso aperta e chiusa e che, ciò nonostante, dichiarasse di averne vista una di quel genere. Gli ho fatto notare, in aggiunta, che le parole “scientificamente” e “teoricamente” e “in pratica” sono inutili visto che introducono una distinzione priva di significato perché semplicemente, in ogni caso, “teoricamente,” “scientificamente,” e “in pratica” non può esistere una porta allo stesso tempo aperta e chiusa. Ho aggiunto che avrei preferito per ciascuna singola domanda una risposta adeguata o, se necessario, che si astenesse dal rispondere.
39. Verso l’inizio del nostro colloquio, il signor Frank mi aveva fatto, in modo estremamente affabile, una concessione capitale, una concessione che ho annunciato sopra alla sezione 16. Quando ho cominciato a fargli capire che trovavo assurda la spiegazione che aveva fornito nei suoi prospetti informativi, sia a proposito dei tedeschi che avrebbero ignorato l’architettura tipica delle case olandesi, che per la presenza costante di fumo sul tetto dell’annesso (la “piccola fabbrica”), ha voluto ammettere sùbito, senza alcuna insistenza da parte mia, che erano pure invenzioni da parte sua. Senza usare, è vero, la parola “invenzioni,” mi ha detto in sostanza: “Ha ragione; nelle spiegazioni che vengono date ai visitatori è necessario semplificare. Non è così grave; è necessario per rendere le cose gradevoli ai visitatori. Questo modo di fare non è scientifico; non sempre si è in grado di essere scientifici.”
40. Tale frase confidenziale ci illumina su quello che credo sia un tratto del carattere del signor Frank: il signor Frank ha il senso di ciò che piace al pubblico e cerca di adattarsi ad esso, prendendosi licenze nei confronti della verità; non è uno che si procura mal di testa e sa che il pubblico in generale si accontenta di poco. La gente in generale chiede una specie di situazione di agio, di sogno, di mondo facile in cui proverà esattamente il tipo di emozioni che conferma alle sue abitudini legate al sentire, al vedere, e al ragionare. Il fumo sul tetto potrebbe essere un elemento di disturbo per il pubblico in generale? Che importa! Inventiamoci una spiegazione, non necessariamente verosimile, ma semplice e, se necessario, semplice e grossolana. Si raggiunge la perfezione quando la storia inventata conferma qualche idea accettata o certi sentimenti abituali; è molto probabile, ad esempio, che coloro a cui piace Anna Frank e che vanno a visitarne la casa considerino i tedeschi bruti e bestie; bene, ne troveranno conferma nelle spiegazioni del signor Frank: i tedeschi arrivarono al punto di non essere a conoscenza l’architettura tipica delle case di Amsterdam (sic!). Il signor Frank in generale, mi è apparso, in più di un’occasione, privo di acutezza (ma non di furbizia) e uno per il quale un’opera letteraria è, in rapporto con la realtà, una forma di espediente menzognero, un ambito in cui ci si prende qualche licenza nei confronti della verità, qualcosa che “non è così grave” e in cui è permesso scrivere quasi qualsiasi cosa.
41. Ho chiesto al signor Frank quali spiegazioni potesse fornirmi a proposito dei due punti in cui era d’accordo di non aver detto nulla di serio ai visitatori e non è stato in grado di rispondermi. L’ho interrogato sulla configurazione dei locali dell’edifico. Avevo notato alcune anomalie nelle planimetrie della casa per come è riprodotta dal signor Frank – in tutte le edizioni del Diario. Tali anomalie mi erano state confermate dalla mia visita al museo (tenendo conto delle modifiche apportate all’edificio al fine di trasformarlo in un museo). Fu allora che, ancora una volta il signor Frank fu condotto, di fronte alle prove fisiche, a farmi qualche concessione nuova e importante, soprattutto, come si vedrà, riguardo lo “scaffale girevole.” Ha incominciato ammettendo che la pianta della planimetria non avrebbe dovuto nascondere al lettore il fatto che la piccola corte che separa la parte anteriore della casa dall’annesso era comune al numero civico 263 (la casa di Frank) e il 265 (la casa di loro vicini e dei “nemici”). È bizzarro inoltre che, nel Diario, non ci sia il minimo cenno a questo fatto di una gravità estrema per quei clandestini. Il signor Frank ha poi riconosciuto che la pianta dell’edificio fa credere che al terzo piano il passaggio all’aperto non fosse accessibile, o che fosse accessibile solo da una porta dall’annesso, mentre invece offriva alla polizia o ai “nemici” un modo facile per accedere al cuore dell’edificio abitato dai clandestini. Infine, e soprattutto, il signor Frank mi ha ammesso che lo “scaffale girevole” … non aveva nessun senso. Ha riconosciuto che in ogni caso quel trucco non poteva impedire una perquisizione dell’annesso, essendo questo accessibile in altri modi, e soprattutto, nel modo più naturale – dalla porta d’ingresso che dà sul giardino. Quell’ingresso, è vero, non appare nella pianta dell’edificio che non riporta nulla di tutto il pianterreno; per quanto riguarda i visitatori del museo, essi non hanno accesso proprio al pianterreno. Quel famoso “scaffale girevole” diventa così un’invenzione di quei “clandestini” particolarmente assurda. Al riguardo si deve considerare infatti che era pericoloso realizzare quello “scaffale girevole.” La distruzione della scaletta, il montaggio del finto armadio, il cambio di un passaggio in quello che sembrava un vicolo cieco, tutto ciò avrebbe potuto solamente allertare i “nemici” ed è stato ovviamente suggerito da Kraler e realizzato da Vossen (21 agosto 1942)!
42. Tanto più andava avanti l’intervista, tanto più diventava visibile l’imbarazzo del signor Frank; la sua affabilità però non veniva meno, anzi al contrario. Alla fine, il signor Frank ha continuato a utilizzare un argomento sentimentale, apparentemente intelligente, con un tono bonario. La sua considerazione è stata la seguente: “Sì, sono d’accordo con lei, siamo stati un po’ imprudenti; certe cose erano un po’ pericolose, bisogna ammetterlo e, forse, sono state il motivo per cui alla fine siamo stati arrestati. Non credo però, signor Faurisson, che la gente fosse tanto sospettosa.” Questa argomentazione curiosa proseguì suggerendo al signor Frank frasi come: “La gente era gentile!” o perfino: “Gli olandesi erano brava gente!,” o addirittura, in due occasioni: “La polizia era buona!”.
43. Queste frasi hanno un solo inconveniente: rendono assurde tutte le “precauzioni” evidenziate nel libro; in una certa misura, sottraggono perfino il senso del libro che racconta, come dato di fatto, la tragica avventura di otto persone braccate e costrette a nascondersi e a seppellirsi vivi per venticinque mesi in un mondo ferocemente ostile. In quei “giorni nella tomba” solo poche persone scelte erano a conoscenza della loro esistenza e li hanno soccorsi. Si potrebbe dire che, ricorrendo a quelle ultime argomentazioni, il signor Frank abbia cercato con una mano di chiudere le crepe in un lavoro che, con l’altra mano, smantellava.
44. La sera del nostro primo giorno di colloqui, il signor Frank mi porse la sua copia, in francese, del libro di Ernst Schnabel: Spur eines Kindes(titolo della traduzione in francese: Sur les traces d’Anne Frank) [titolo della traduzione in italiano: La tragica verità su Anna Frank, ndt]. Mi disse che forse in quel libro avrei trovato alcune risposte a certe mie domande. Le pagine di quella copia non erano state tagliate. Va ricordato che il signor Frank parla e capisce il francese, ma lo legge con un po’ di difficoltà. (Vorrei chiarire qui che tutti i nostri colloqui sono avvenuti in inglese, lingua per la quale il signor Frank dimostra di avere una padronanza perfetta.) Non avevo ancora letto quel libro, perché l’osservanza rigorosa dei metodi propri della critica puramente interna obbliga a non leggere nulla a proposito di un’opera fin quando non si giunge personalmente ad avere un’idea chiara di essa. Nella notte precedente la nostra seconda intervista ho dato uno sguardo rapidamente a quel libro. Tra una decina di punti che finivano per confermarmi che il Diario (nonostante Schnabel si fosse sforzato ripetutamente di convincerci del contrario), ho richiamato l’attenzione su un passaggio sorprendente a pagina 151 del testo francese. Tale passaggio riguardava il signor Vossen, l’uomo che, a quanto pareva, si era dedicato, come falegname, alla realizzazione dello “scaffale girevole” destinato a tenere nascosti i clandestini (Diario, 21 agosto 1942). Il “buon Vossen,” che si suppone lavorasse al numero civico 263 di Prinsengracht, teneva i clandestini al corrente di tutto ciò che accadeva nel magazzino. La malattia però lo aveva costretto a ritirarsi a propria casa, dove la figlia Elli lo raggiungeva dopo l’orario di lavoro. Il 15 giugno 1943 Anna ne parla come di un amico prezioso [nella traduzione italiana, “un aiuto e un appoggio,” ndt]. Se si crede però a una frase di Elli riportata da Schnabel, il buon Vossen… non era a conoscenza della presenza dei Frank al numero 263 di Prinsengracht! Elli racconta, infatti, che il 4 agosto 1944, tornata al suo domicilio, aveva informato il padre dell’arresto dei Frank. Il testo francese del libro di Schnabel [riportando le parole di Elli, ndt] dice: “Ero seduta al lato del letto e gli dissi tutto. A mio padre piace molto il signor Frank, che aveva conosciuto da molto tempo. Non era a conoscenza del fatto che i Frank non fossero partiti alla volta della Svizzera, come si diceva, ma si fossero nascosti a Prinsengracht.” Ciò però che risulta incomprensibile è come Vossen possa aver creduto a quella voce [cioè che i Frank si fossero riparati in Svizzera, ndt]. Per quasi un anno aveva visto i Frank a Prinsengracht, parlato con loro, aiutandoli, e diventandone amico; quando poi a causa del suo cattivo stato di salute ha lasciato il suo lavoro a Prinsengracht, la figlia Elli poteva tenerlo sempre aggiornato sui fatti concernenti i suoi amici Frank.
45. Il signor Frank non è stato in grado di spiegarmi quel passo del libro di Schnabel; scorrendo però velocemente sia la versione in tedesco che quella in inglese di quell’opera, fece una scoperta sorprendente: l’intero brano in cui Elli parlava con suo padre era effettivamente presente in quei testi ma amputata… della frase che inizia con: “Non era a conoscenza” e termina con: “a Prinsengracht.” Nel testo in francese, Elli prosegue: II ne dit rien. Il restait couché en silence. Per confronto, ecco il testo in lingua tedesca:
Ich setze mich zu ihm ans Bett und habe ihm alles gesagt. Er hing sehr an Herrn Frank, denn er kannte ihn lange [passo mancante] Gesagt hat er nichts. Er hat nur dagelegen.[2]
Ed ecco il testo in lingua inglese (l’edizione americana):
I sat down beside his bed and told him everything. He was deeply attached to Mr. Frank, who he had known a long time [passo mancante] He said nothing.[3]
46. Una volta tornato in Francia mi è stato facile chiarire questo mistero: da molti altri punti del testo in lingua francese è diventato evidente che sono esistite due versioni originali in tedesco. La prima versione di Schnabel deve essere stata inviata come “dattiloscritto” alla casa editrice francese di Albin Michel in modo che potesse essere preparata una traduzione in francese senza perdere tempo. Subito dopo, Schnabel o, molto probabilmente, il signor Frank, ha proceduto a stilare una revisione di quel testo, rimuovendo quindi quella frase su Vossen in discussione. Fischer successivamente ha pubblicato la versione corretta, ma in Francia avevano lavorato molto velocemente, tanto che il libro era già in stampa. Era troppo tardi per porvi rimedio. Noto inoltre una curiosità bibliografica: la mia copia del Sur les traces d’Anne Frank è contrassegnata come “18 millesima” copia e riporta come data di “completamento della stampa” il febbraio 1958. Per quanto riguarda l’edizione originale in tedesco il primo migliaio di copie venne stampato nel März 1958. La traduzione [in francese] quindi è comparsa effettivamente prima dell’originale.
47. Rimane, ben inteso, da sapere il motivo per cui Ernst Schnabel o il signor Frank ha ritenuto opportuno eseguire quella correzione sorprendente. Resta il fatto che, di fronte a quest’altra anomalia, ancora una volta il volto del signor Frank esprimeva sgomento. Ci siamo congedati l’uno dall’altro in un’atmosfera estremamente dolorosa in cui tutte le manifestazioni di cordialità riservatemi dal signor Frank mi imbarazzavano un po’ più. Poco dopo il mio ritorno in Francia, ho scritto al signor Frank per ringraziarlo per la sua ospitalità e per chiedergli l’indirizzo di Elli. Mi rispose gentilmente chiedendomi di mandargli la copia in francese del libro di Schnabel, senza parlarmi di Elli. Gli restituii la sua copia, domandandogli di nuovo quell’indirizzo, ma questa volta non ci fu risposta. Gli ho telefonato a Birsfelden e mi rispose che non mi avrebbe dato l’indirizzo, soprattutto ora che avevo inviato a Kraler (Kugler) una lettera “idiota.” Nel seguito tornerò su questa lettera.
Capitolo IV
48. Un’analisi bibliografica: silenzi curiosi e rivelazioni curiose.
49. Nel libro di Schnabel già citato (Spur eines Kindes) ci sono alcune omissioni curiose, mentre il lungo articolo, non firmato, di Der Spiegel (1° aprile 1959, pagine 51-55) dedicato al Diario a seguito del caso Stielau fa alcune rivelazioni curiose. Il titolo dell’articolo è eloquente: “Anne Frank. Was schrieb das Kind?” (Anna Frank. Che cosa ha scritto la ragazzina?).
50. Ernst Schnabel difende apertamente Anna Frank e Otto Frank. Il suo libro è relativamente ricco di informazioni su tutto ciò che precede e segue i venticinque mesi della vita trascorsa a Prinsengracht, ma, d’altra parte, è molto carente in merito a venticinque mesi. Si direbbe che i testimoni diretti (Miep, Elli, Kraler, Koophuis, e Henk) non hanno nulla da dire su quel periodo molto importante. Perché tacciono in questo modo? Perché hanno detto solo banalità come: “(…) quando a mezzogiorno mangiavamo di sopra assieme a loro il nostro piatto di minestra” (pagina 99) o: “Mangiavamo sempre insieme” (pagina 102)? Nessun dettaglio concreto, non una descrizione, non un aneddoto la cui precisione darebbe l’impressione che quei clandestini e i loro amici fedeli mangiassero insieme regolarmente in questo modo, a mezzogiorno. Tutto sembra avvolto in una sorta di nebbia benché i testimoni siano stati interrogati solo, al massimo, tredici anni dopo l’arresto dei Frank, nonostante qualcuno di loro, come Elli, Miep, ed Henk, era ancora giovane; non sto parlando di molte altre persone che Schnabel qualifica abusivamente come “testimoni” e che, di fatto, non avevano mai conosciuto o perfino incontrato i Frank. Questo è il caso, ad esempio, del famoso “verduriere” (Gemüsemann). “Non conosceva affatto i Frank” (pagina 73). In generale, l’impressione che mi sono fatto dalla lettura del libro di Schnabel è la seguente: questa Anna Frank è realmente esistita; era una ragazzina priva di un gran carattere, senza una personalità forte, non precoce dal punto di vista scolastico (anzi, il contrario), e nessuno sospettava che avesse un talento per la scrittura; questa bambina sfortunata ha conosciuto gli orrori della guerra, è stata arrestata dai tedeschi, internata, e poi deportata; quando entrò nel campo di Auschwitz-Birkenau, venne separata dal padre; la madre morì in infermeria a Birkenau il 6 gennaio 1945; verso l’ottobre del 1944 Anna e la sorella [Margot, ndt] sono state trasferite al campo di Bergen-Belsen; prima morì di tifo Margot, poi, nel marzo del 1945, a sua volta, anche Anna morì di tifo, sola al mondo. Ecco alcuni punti sui quali i testimoni non hanno esitato a parlare. Con tutti loro però si percepisce un’aria di diffidenza nei confronti della leggendaria Anna, la quale fu in grado di prendere in mano la penna come ci è stato detto, tenere quello Diario, e scrivere quei Racconti, e stilare “l’inizio di un romanzo,” ecc. Lo stesso Schnabel scrive una frase molto rivelatrice quando dichiara: “I miei testimoni ebbero molto da dire su Anna come persona; hanno tenuto conto della leggenda solamente con grande reticenza, o ignorandola tacitamente. Benché non contestarono né contraddissero la leggenda nemmeno di una sola parola, ebbi l’impressione che si proteggessero. Tutti loro avevano letto Il diario di Anna Frank, ma nessuno lo menziona (pagina 8).” Quest’ultima frase è importante: “Tutti loro avevano letto il diario di Anna, ma nessuno lo menziona.” Lo stesso Kraler, che ha inviato una lunga lettera a Schnabel da Toronto, non ha mai menzionato né il Diario, né gli altri scritti di Anna (pagina 77). Kraler è l’unico testimone diretto che racconta uno o due aneddoti su Anna, ma, cosa molto curiosa, pone tali aneddoti, nel periodo in cui i Frank vivevano ancora nel loro appartamento a Merwedeplein, prima della loro “scomparsa” (“prima di scomparire,” pagina 78). È solo nell’edizione corretta che il secondo aneddoto viene ambientato a Prinsengracht, e anzi “quando erano già nell’annesso segreto” (pagina 78). I testimoni non hanno voluto che i loro nomi venissero pubblicati. I due testimoni più importanti (“colui che probabilmente li ha denunciati” e il poliziotto austriaco) non sono stati né interrogati, né rintracciati. Schnabel ha tentato a più riprese di spiegare questa curiosa omissione (pagine 11 e 119, e tutta la fine del capitolo X), spingendosi fino al punto di presentare una sorta di difesa del funzionario di polizia che ha eseguito l’arresto! Qualcuno comunque menziona il Diario, ma lo fa per segnalare un punto che le sembra bizzarro, a proposito della scuola Montessori di cui era la direttrice (pagina 40). Schnabel stesso tratta il Diario in modo curioso; come spiegare, infatti, le amputazioni che fa quando cita un passo come quello alle pagina 106 e 107 [del suo libro]? Citando un lungo brano della lettera dell’11 aprile 1944 in cui Anna racconta l’incursione della polizia a seguito di un furto con scasso, omette la frase in cui Anna addita la causa principale della propria angoscia; si tratta della polizia che a quanto pare giunse fino a dare allo “scaffale girevole” alcuni colpi rumorosi. (“Das und das Rasseln der Polizei an der Schranktüre waren für mich die schrecklichsten Augenblicke” [nella traduzione italiana: “Questo, e quando la polizia armeggiava allo scaffale, furono i momenti più angosciosi per me”, ndt]. Schnabel non ha pensato, come qualsiasi persona di buon senso, che quel passo è assurdo? In ogni caso, ci dice di aver visitato il numero civico 263 di Prinsengracht prima che venne trasformato in un museo. Lì non ci vide nessuno “scaffale girevole.” Scrive: “Lo scaffale, che è stato costruito a copertura della porta per nasconderla, è stato tirato giù; non ne è rimasto nulla eccetto i cardini torti accanto alla porta” (pagina 67). Non trovò nessuna traccia di qualche camuffamento speciale, ma solo, nella camera di Anna, uno scampolo di tenda ingiallita (“ein zerschlissener, vergilbter Rest der Gardine” [“uno scampolo, consunto e ingiallito, della tenda che pendeva a ridosso della finestra,” ndt] [ibidem]). Il signor Frank, a quanto pare, aveva segnato a matita sulla carta da parati, nei pressi di una porta, le altezze successive delle figlie [man mano che crescevano]. Oggi, presso il museo, i visitatori possono vedere un pezzo impeccabile, a forma di quadrato, di carta da parati posto sotto vetro dove si notano il segni a matita impeccabili che sembrano essere stati tracciati tutti lo stesso giorno. Ci viene detto che questi segni a matita indicano l’altezza delle figlie del signor Frank. Quando ho visto il signor Frank a Birsfelden gli ho chiesto se in questo caso non si trattasse di una “ricostruzione”; mi ha assicurato che era tutto autentico, ma è difficile da crederci. Schnabel stesso aveva visto semplicemente, come un segno, una “A 42” da lui interpretato così: “Anna 1942.” Ciò che è strano è che il materiale “autentico” nel museo non comprende nulla di simile a ciò che Schnabel dice di aver visto solo quel segno e che gli altri segni sono andati distrutti o strappati via (“die anderen Marken sind abgerissen” [ibidem]). Il signor Frank potrebbe essersi reso colpevole in questo caso di uno stratagemma (“ein Trick”), come quando aveva suggerito a Henk e Miep di fotocopiare il passaporto?* Un punto molto interessante della storia di Anna riguarda i manoscritti. Mi spiace affermare che trovo molto improbabile il racconto della scoperta di così tanti scritti e la loro successiva consegna al signor Frank da parte della sua segretaria Miep. La polizia avrebbe presumibilmente sparso sul pavimento ogni sorta di carte, tra le quali, si suppone, Miep ed Elli avrebbero raccolto un “quaderno scozzese” (“ein rotkariertes Buch,” un libro con la copertina a quadretti rossi, stile scozzese) e molti altri scritti in cui si presume abbiano riconosciuto la calligrafia di Anna. A quanto sembra non avrebbero letto nulla e si presume avrebbero messo da parte tutte queste carte in un ufficio di grandi dimensioni. Quelle carte, poi, si suppone sarebbero state consegnate al signor Frank al momento del suo ritorno dalla Polonia (pagine 155-157). Questa versione non concorda affatto con il racconto dell’arresto. L’arresto venne effettuato lentamente, metodicamente, correttamente, esattamente come previsto per le perquisizioni; le testimonianze su questo punto sono unanimi (si veda il capitolo IX). Dopo l’arresto, la polizia è tornata nell’edificio in svariate occasioni e ha interrogato soprattutto Miep; voleva sapere se i Frank fossero in connessi ad altri clandestini. Il Diario, per come lo conosciamo, avrebbe rivelato, a prima vista, una grande quantità di informazioni utili alla polizia, e sarebbe stato terribilmente compromettente per Miep, Elli, e per tutti gli amici dei clandestini. La polizia avrebbe potuto ignorare il “quaderno scozzese” se, nella sua condizione originale, fosse consistito, come credo, solo di qualche disegno, fotografia, e annotazione di carattere innocuo. Sembra però improbabile che la polizia avesse potuto lasciare lì parecchi quaderni e diverse centinaia di pagine sparse, tutti scritti, almeno all’apparenza, da un adulto. Da parte di Elli e Miep, sarebbe stato folle raccogliere assieme e conservare, in particolare in ufficio, una tale massa di documenti compromettenti. Sembra che sapessero che Anna avesse un diario. In un diario tipicamente si racconta ciò che accade di giorno in giorno; c’era di conseguenza, il rischio che in esso Anna avesse menzionato Miep ed Elli.
51. Per quanto riguarda il libro di Schnabel, il signor Frank mi fece una rivelazione sorprendente; mi disse che quel libro, benché tradotto in svariate lingue, non era stato tradotto in olandese! Il motivo di questa eccezione era che i principali testimoni che vivevano in Olanda avevano espresso, per modestia e perché non fossero disturbate la loro pace e loro tranquillità, il desiderio che la gente non parlasse di loro. Il signor Frank in realtà si sbagliava oppure mi stava ingannando; un’indagine condotta ad Amsterdam in un primo momento mi ha portato a credere che il libro di Schnabel non fosse stato tradotto in olandese; perfino la casa editrice Contact aveva risposto o aveva fatto in modo che svariate librerie e parecchie persone rispondessero che quel libro non fosse esistito. Ho scoperto poi in una vetrina del museo “Casa di Anna Frank” che il libro di Schnabel veniva indicato come tradotto in olandese e pubblicato nel 1970 (dodici anni dopo la sua pubblicazione in Germania, in Francia, e negli Stati Uniti!) con il titolo di Haar laatste Levensmaanden (“I suoi ultimi mesi di vita”). Il libro, purtroppo, non era reperibile. Ho ottenuto le stesse risposte dalle biblioteche e dalla casa editrice Contact. Quest’ultima finalmente, a seguito della mia insistenza, mi ha risposto dicendomi di avere a disposizione una sola copia di archivio. Con qualche difficoltà ho ottenuto il permesso per consultarla e poi di fotocopiare le pagine 263-304. Perché, in realtà, l’opera in questione conteneva solo un estratto dal libro di Schnabel, ridotto a 35 pagine, e riportato come appendice al testo del Diario. Lo studio comparativo di Spur eines Kindese della sua “traduzione” in olandese è del massimo interesse. Del libro di Schnabel, gli Olandesi possono solo leggere gli ultimi cinque capitoli (su tredici in tutto). Tre di questi cinque capitoli hanno subìto, inoltre, tagli di ogni genere, alcuni contrassegnati dai puntini di sospensione, mentre altri non segnalati affatto. I capitoli ;così tagliati sono il IX, il X, e il XIII – vale a dire quelli che riguardano, da un lato, l’arresto e le relative conseguenze dirette (in Olanda) e, dall’altro, la storia dei manoscritti. Quando non è più una questione di quei soggetti, ma di campi (come è il caso dei capitoli XI e XII), il testo originale di Schnabel viene rispettato. Questi tagli, se esaminati attentamente, sembrano essere stati introdotti per rimuovere i dettagli alquanto precisi presenti nelle testimonianze di Koophuis, Miep, Henk, ed Elli. Manca, per esempio, senza nulla che indichi la presenza di un taglio, il passaggio fondamentale in cui Elli racconta a suo padre l’episodio dell’arresto dei Frank (le 13 righe della pagina 115 di Spur eines Kindes sono completamente assenti dalla pagina 272 di Haar Laatste Levensmaanden). È strano che l’unica nazione per la quale è stata riservata una versione censurata della vita di Anna Frank sia proprio quella teatro dell’avventura di quella ragazzina. Riuscite a immaginare il caso di alcune rivelazioni su Giovanna d’Arco che sarebbero state diffuse in ogni genere di nazione ma fossero state in qualche modo tenute nascoste alla popolazione francese? Un tale modo di agire è comprensibile solamente se gli editori temevano che nel paese di origine quelle “rivelazioni” presto sarebbero apparse sospette. La spiegazione data dal signor Frank non regge; il motivo è che i nomi di Koophuis, Miep, Henk, ed Elli compaiono comunque (peraltro come pseudonimi per tutto o per parte del nome) e inoltre Schnabel ha riportato questa e quella loro frase; non si capisce come l’introduzione di quei tagli fatti in quelle frasi possa lenire la modestia sensibile di coloro che le hanno pronunciate o assicurare loro una maggiore tranquillità nel vivere ad Amsterdam. Credo piuttosto che la preparazione della traduzione in olandese abbia dato luogo a negoziazioni molto lunghe e parecchio difficili tra tutte le parti interessate o, almeno, tra il signor Frank e alcuni di loro, ma, col passare degli anni, sono diventati più prudenti nei confronti delle “testimonianze” originali e più parchi nel rivelare i dettagli.
52. L’articolo di Der Spiegel menzionato sopra riporta, come ho detto, alcune rivelazioni curiose. In linea di principio diffido dei giornalisti; lavorano troppo in fretta. In questo caso è evidente che il giornalista ha svolto un’indagine approfondita; la questione scottava troppo ed era troppo delicata per essere trattata con leggerezza. La conclusione del lungo articolo potrebbe essere in effetti la seguente: Lothar Stielau, pur sospettando che il Diario fosse un falso, forse non ha dimostrato nulla, ma ugualmente “si è imbattuto in un problema veramente difficile – il problema della genesi della pubblicazione del libro” (auf ein tatsächlich heikles Problem gestossen – das Problem der Enstehung der Buchausgabe, pagina 51). E si scopre che leggendo il libro intitolato Il Diario di Anna Frank, in olandese, in tedesco, e in qualsivoglia altra lingua, si è molto lontani dal testo dei manoscritti originali. Supponiamo per un momento che i manoscritti siano autentici; è necessario essere consapevoli che, di fatto, ciò che si legge nel libro, per esempio nella versione in olandese (vale a dire quella che si presume sia la lingua originale), è solo il risultato di tutta una serie di operazioni di riorganizzazione e di riscrittura a cui hanno preso parte in particolare il signor Frank e alcuni amici stretti, tra i quali (per il testo in olandese) i coniugi Cauvern e (per la versione tedesca) Anneliese Schütz, di cui Anna era stata allieva.
53. Tra la forma originale del libro (vale a dire i manoscritti) e quella stampata (ovvero l’edizione in olandese pubblicata dalla Contact nel 1947), il testo ha conosciuto almeno cinque forme successive. Prima forma: tra la fine del maggio 1945 e l’ottobre 1945, il signor Frank aveva redatto una sorta di copia (“Abschrift”) dei manoscritti, in parte da solo, in parte con l’aiuto della sua segretaria Isa Cauvern (la moglie di Albert Cauvern, un amico del signor Frank; prima della guerra, i Cauvern avevano ospitato le figlie dei Frank a casa loro per le vacanze). Seconda forma: dall’ottobre 1945 al gennaio 1946, il signor Frank e Isa Cauvern hanno lavorato insieme per realizzare una nuova versione di quella copia, una versione dattiloscritta (“Neufassung der Abschrift / Maschinengeschriebene Zweitfassung”). Terza forma: A una data imprecisata (alla fine dell’inverno del 1945-1946), questa seconda versione (dattiloscritta) è stata presentata ad Albert Cauvern, il quale, lavorando in un’emittente radiofonica come annunciatore della radio De Vara a Hilversum era a conoscenza della riscrittura dei manoscritti. Secondo le sue stesse parole, ha iniziato con l’effettuare “cambiamenti tollerabili” a quella versione; ha elaborato il proprio testo come farebbe una “mano esperta” (“Albert Cauvern stellt heute nicht in Abrede, dass er jene maschinengeschriebene Zweitfassung mit kundiger Hand redigiert hat: «Am Anfang habe ich ziemlich viel geändert»”, page 52). Un dettaglio sorprendente per un diario: costui non si è fatto remora di raggruppare sotto un’unica data alcune lettere scritte in giorni diversi; una seconda volta si è limitato a correggere la punteggiatura e gli errori nel fraseggio e di grammatica. Tutti questi cambiamenti e correzioni sono stati effettuati sul testo dattiloscritto; Albert Cauvern non ha mai visto i manoscritti originali. Quarta forma: nella primavera del 1946 il signor Frank ha elaborato, a partire da quelle modifiche e correzioni, ciò che si potrebbe chiamare il terzo dattiloscritto; ha presentato il risultato a “tre esperti di primo piano” (“drei prominente Gutachter”, pagina 53), facendo credere loro che si trattasse della riproduzione integrale del manoscritto, con l’eccezione molto comprensibile di alcuni punti di carattere personale; il testo, a quanto sembra garantito dai tre, successivamente è stato offerto dal signor Frank a svariate case editrici di Amsterdam, che lo hanno rifiutato; poi, con ogni probabilità, è tornato a una di queste tre persone, la signora Anna Romein-Verschoor, finendo che il marito di quest’ultima, il signor Jan Romein, docente di storia dei Paesi Bassi presso l’Università di Amsterdam, scrivesse sul quotidiano Het Parool un famoso articolo che inizia con queste parole: “Per caso mi è capitato nelle mie mani un diario [ecc.].” Come conseguenza dei molti elogiati ricevuti in quell’articolo è seguita una richiesta di pubblicazione di questo diario da parte di una modesta casa editrice di Amsterdam (Contact). Quinta forma: Ad accordo quasi concluso o in fase di conclusione, il signor Frank è andato a trovare vari “consiglieri spirituali” (mehrere geistliche Ratgeber), uno dei quali era il pastore Buskes, concedendo loro piena facoltà di censurare il testo (“räumte ihnen freiwillig Zensoren-Befugnisse ein”, pp. 53-54). Quella censura venne effettivamente messa in atto.
54. Le stranezze però non finiscono qui. Il testo in tedesco del Diario è oggetto di osservazioni interessanti da parte del giornalista di Der Spiegel che scrive: “Una curiosità della “letteratura di Anna Frank” è il lavoro di traduzione di Anneliese Schütz che Schnabel ha commentato: “Magari tutte le traduzioni fossero così fedeli”, ma il cui testo molto spesso si discosta dall’originale in olandese” (pagina 54). In realtà, come mostrerò nel seguito (sezioni 72-103), il giornalista è molto indulgente in quella sua critica quando dice che il testo in tedesco si discosta molto spesso da ciò che chiama l’originale (cioè quello che è senza dubbio proveniente dall’originale stampato dagli Olandese). Il testo stampato in tedesco non ha il diritto di essere chiamato una traduzione stampata in olandese; costituisce, propriamente parlando, un altro libro a sé stante. Passiamo comunque oltre questo punto; torneremo nel seguito su tale questione. Anneliese Schütz, grande amica dei Frank, come loro ebrea tedesca rifugiata in Olanda, e insegnante di Anna, ha preparato poi un testo, in tedesco, del diario della sua ex-allieva. Ha fatto questo lavoro… per la nonna di Anna! Quest’ultima, molto anziana, in effetti non leggeva l’olandese e aveva bisogno quindi di una traduzione in tedesco, lingua nativa dei Frank. Anneliese Schütz ha realizzato la sua “traduzione” “dal punto di vista della nonna” (aus der Grossmutter-Perspektive, pagina 55), prendendosi alcune libertà stupefacenti. Dove, secondo i suoi ricordi, Anna si sarebbe dovuto esprimere meglio, l’ha fatta… esprimere meglio! La nonna ne aveva il diritto! ([…] die Grossmutter habe ein Recht darauf, mehr zu erfahren – vor allem dort, «wo Anne nach meiner Erinnerung etwas besseres gesagt hatte» (ibidem). Sia detto per inciso, che Anneliese Schütz non viene mai menzionata da Anna Frank nel Diario. Dobbiamo intendere che aveva vissuto vicino ad Anna o che l’aveva conosciuta durante i venticinque mesi durante i quali si nascondeva a Prinsengracht? Alla “punto di vista della nonna,” che dettava alcuni “obblighi,” si è aggiunto quello che si potrebbe chiamare il “punto di vista commerciale,” che dettava altri obblighi. In effetti, al momento di pubblicare in Germania Il diario di Anna Frank, Anneliese Schütz introdusse ulteriori modifiche. Prendiamo un esempio da lei stessa citato. Nel manoscritto, dicono, era presente la seguente frase: “(…) nessuna ostilità più forte al mondo di quella tra i Tedeschi e gli ebrei” (ibidem). Anneliese Schütz ha sostituito “i Tedeschi” con “questi Tedeschi”, avendo cura di scrivere “questi” in corsivo per indicare ai lettori tedeschi che Anna intendeva riferirsi ai nazisti. Anneliese Schütz ha dichiarato al giornalista di Der Spiegel: “Mi sono sempre detta che un libro, destinato ad essere venduto in Germania, non può contenere un’espressione insultante per i tedeschi” (ibidem). Da parte mia, vorrei dire che quest’argomentazione, sul piano allo stesso tempo commerciale, sentimentale, e politico, è comprensibile provenendo una donna di origine ebraica di Berlino che prima della guerra era stata una militante in un movimento di suffragette e che ha dovuto lasciare il proprio paese per motivi politici. Per il resto però quest’argomentazione è tutt’altro che accettabile, poiché le frasi “insultanti” sono state diffuse, e continuano ad essere diffuse in milioni di copie del Diario vendute in tutto il mondo in altre lingue diverse dal tedesco. E qui non sto parlando semplicemente dal punto di vista del rispetto della verità.
55. Non si ha l’impressione che i “collaboratori” del signor Frank per la pubblicazione del Diario fossero particolarmente soddisfatti del lavoro svolto, né che fossero notevolmente felici di tutto il polverone sollevato dal Diario. Prendiamo quei collaboratori uno a uno: su Isa Cauvern non si può dire nulla, se non che si è suicidata gettandosi dalla finestra di casa nel giugno del 1946. Il signor Frank aveva appena firmato o stava per firmare il contratto per la pubblicazione de Il diario di Anna Frank con la casa editrice Contact. Il motivo di quel suicidio non ci è noto e al momento è impossibile stabilire un legame di qualche tipo tra quel suicidio e la faccenda de Il diario di Anna Frank. Per quanto riguarda l’autrice della prefazione, Anna Romein-Verschoor, nel 1959 ha dichiarato a Der Spiegel: “Non ero affatto abbastanza sospettosa” (“Ich bin wohl nicht misstrauisch genug gewesen”). Il marito non fu maggiormente sospettoso. Albert Cauvern non potè mai ottenere dal signor Frank la restituzione del testo dattiloscritto su cui aveva lavorato e che aveva richiesto “in memoria della moglie” che morì nel 1946. Il signor Frank non gli spedì il testo in questione. Kurt Baschwitz, un amico del signor Frank, era una delle “tre personalità eminenti” (le altre due erano il signor e la signora Romein); nel 1959 dovette implorare un “accordo” tra il signor Frank e Lothar Stielau. Raccomandò, d’altra parte, la pubblicazione integrale del testo dei manoscritti per risolvere la questione. Per sapere che cosa fosse il testo nella realtà, tale soluzione sarebbe stata, di fatto, la più idonea. Anneliese Schütz, da parte sua, ha manifestato di disapprovare sia il “Mito Anna Frank” che per l’atteggiamento del signor Frank nei confronti di Lothar Stielau; era invece a favore di una scelta per il silenzio: meno rumore possibile su Anna Frank e il suo Diario. Si è spinta al punto di biasimare il signor Frank ed Ernst Schnabel per Spur eines Kindes: che bisogno c’era di quel libro? Per quanto concerne Stielau, se egli avesse pronunciato la frase per cui è stato criticato dal signor Frank, non avrebbe dovuto fare altro che fingere di non averlo sentito. La reazione “tagliente” (scharff [ibidem]) di Anneliese Schütz è tanto più curiosa se si considera che si è presentata come la “traduttrice” del Diario in tedesco e che Ernst Schnabel – forse senza saperlo – aveva spinto la sua cortesia fino al punto di dichiarare in merito a tale “traduzione” inverosimile: “Ich wünschte, alle Übersetzungen waren so getreu” (pagina 54) (“Magari tutte le traduzioni fossero così fedeli”).
Capitolo V
56. Il ritorno ad Amsterdam per una nuova inchiesta: l’audizione dei testimoni si rivela sfavorevole al signor Otto Frank; la probabile verità.
57. La critica interna del Diario mi aveva indotto a pensare che si trattasse di una “favola che concilia il sonno”, un romanzo, una menzogna. Le indagini successive sono servite solamente a rafforzare quest’opinione. Benché mi rendessi conto chiaramente dove fosse la menzogna, non riuscivo a comprendere dove fosse la verità. Capivo infatti che la famiglia Frank non avrebbe potuto vivere per venticinque mesi al numero 263 di Prinsengracht nel modo sostenuto dai suoi membri; ma allora, come vissero nella realtà? Dove? Con chi? E, infine, il loro arresto ha avuto luogo effettivamente al numero 263 di Prinsengracht?
58. Senza illudermi sulla risposta che avrei ricevuto, ho posto queste domande a Kraler (il cui vero nome è Kugler) in una lettera che gli ho spedito in Canada, chiedendogli anche se avesse l’impressione che Anna fosse veramente l’autrice del Diario e come avrebbe potuto spiegarmi che Vossen (il cui vero nome è Voskuyl) credesse che i Frank fossero da qualche altra parte, per la precisione in Svizzera, e non al numero 263 di Prinsengracht. Mi ha risposto scortesemente, inviando inoltre sia la mia lettera che la sua risposta al signor Frank. Si tratta di quella lettera che il signor Frank, nel corso di una conversazione telefonica, ha chiamato “idiota.” Suppongo sia stata questa risposta che un anno dopo valse a A Kraler a un premio di diecimila dollari assegnatogli da un’istituzione per aver “protetto Anna Frank e famiglia durante la guerra, ad Amsterdam”.[4] A prescindere dalla scortesia, la risposta di Kraler non mi è risultata priva di interesse. Kraler mi aveva risposto che il suggerimento di Vossen concernente la presenza dei Frank in Svizzera “è stato fatto per proteggere la famiglia che si nascondeva” (lettera del 14 aprile 1977). A proposito di Anna ha aggiunto: “C’erano anche altri giovani, anche più giovani di Anna, di grande talento.” Consideravo il primo punto di questa risposta preciso, ma incomprensibile, se ci si ricorda che Vossen, secondo la figlia, personalmente aveva l’impressione che i Frank fossero in Svizzera. Per quanto riguarda il secondo punto della risposta, sorprendeva che l’immagine di un carattere stereotipato provenisse da qualcuno la cui unica difficoltà sarebbe dovuta essere quella di scegliere tra svariate risposte precise e convincenti. Kraler, come dato di fatto, si presume abbia vissuto per venticinque mesi in contatto quasi quotidiano con quella Anna Frank il cui “diario” era, a quanto pare, un segreto noto a tutti coloro che la conoscevano.
59. Ascoltando Elli il 30 novembre 1977 e poi Miep ed Henk il 2 dicembre 1977, sono rimasto colpito subito dall’impressione che queste tre persone non avevano affatto vissuto per venticinque mesi a contatto con i Frank e con le altre persone che si nascondevano in clandestinità nel modo in cui ci viene descritto nel Diario. Mi sono convinto, d’altra parte, che Miep ed Elli fossero state almeno presenti al numero 263 di Prinsengracht il 4 agosto 1944, al momento dell’incursione della polizia. Mi risulta difficile spiegare altrimenti l’insistenza con cui Elli e Miep hanno evitato le mie domande su quei venticinque mesi, mentre d’altra parte sono tornate ripetutamente a parlare di quel 4 agosto 1944. Elli, che ho avuto molta difficoltà a rintracciare, non si aspettava né la mia visita, né il tipo di domande dettagliate che le ho chiesto; Miep ed Henk invece si aspettavano la mia visita e sapevano che mi ero incontrato con il signor Frank. Le mie domande erano brevi, in numero limitato, e, ad eccezione di qualche caso, non ho segnalato ai miei testimoni né le loro contraddizioni reciproche, né quelle incompatibili con quanto riportato nel Diario. Elli, piena di buona volontà, mi sembrava ricordasse bene gli anni della guerra e gli eventi minori della sua vita quotidiana in quei giorni (aveva 23 anni nel 1944); per quanto riguarda però quei venticinque mesi, le sue risposte alle mie domande erano in generale: “Non lo so… Non ricordo… Non sono in grado di spiegarglielo…” “Il deposito di carbone? Era nella stanza di Van Daans.” “Le ceneri? Immagino che gli uomini le portassero giù.” “La guardia notturno Slagter? Non ne ho mai sentito parlare; dopo la guerra, abbiamo avuto una segretaria con quel cognome.” “Lewin? Non ci ho mai avuto nulla a che fare.” “Lo «scaffale girevole»? Ha ragione, era inutile, ma è stato una mimetizzazione per gli estranei.” Ho chiesto a Elli di descrivermi prima la parte anteriore della casa e poi l’annesso. Nel caso della parte anteriore della casa è stata in grado di darmi qualche dettaglio; è vero che lì ci ha lavorato. Nel caso dell’annesso, la sua risposta è stata interessante. Mi ha dichiarato di avervi trascorso, tutto sommato, una sola notte, e fu prima dell’arrivo degli otto clandestini! Ha aggiunto di non ricordate che com’era fatto l’edificio perché [quella notte trascorsa prima dell’arrivo dei clandestini] era molto nervosa. Dal Diario però risulterebbe che Elli avesse pranzato con i clandestini quasi ogni giorno (cfr. 5 agosto 1943: Elli arriva regolarmente di giorno alle 12:45; 20 agosto 1943: Elli arriva regolarmente alle 5:30 pomeridiane ad “annunciarci la libertà”; 2 marzo 1944: Elli fa i piatti con le madri delle due famiglie…). In conclusione, ho chiesto a Elli di menzionarmi un qualsiasi dettaglio della vita familiare, un aneddoto che non fosse presente nel libro. Al riguardo però si è mostrata totalmente incapace.
60. Miep ed Henk sono stati ugualmente incapaci di fornire il benché minimo dettaglio sulla vita dei clandestini. La frase più importante della loro testimonianza è stata la seguente: “Non sapevamo esattamente come vivevano.” E inoltre: “Siamo stati nell’annesso solamente per un fine settimana; abbiamo dormito in quella che successivamente sarebbe stata la stanza di Anna e Dussel.” “Come si scaldavano i clandestini? Forse con il gas.” “Il deposito di carbone sotto, nel magazzino.” “Non c’era nessun aspirapolvere.” “Il verduriere non ha mai portato nulla a Prinsengracht.” “Lo «scaffale girevole» era stato costruito ben prima che arrivassero i Frank” (!) “Io, Miep, portavo le verdure mentre Elli portava il latte.” “Io, Henk, lavoravo ovunque tranne che nella ditta, ma andavo ogni giorno a pranzare nell’ufficio delle ragazze, con le quali parlavo per quindici o venti minuti.” (Questo punto, tra gli altri, è in piena contraddizione con quanto riportato dal Diario in cui si dice che Henk, Miep, e Elli si portavano il pranzo nell’annesso, assieme ai clandestini; vedere il 5 agosto 1943.) Per tutta la durata del nostro colloquio, Miep mi ha dato l’impressione di essere quasi in agonia; mi evitava con lo sguardo. Quando finalmente l’ho lasciata parlare del 4 agosto 1944, il suo atteggiamento, improvvisamente, è cambiato completamente. Con evidente piacere ha cominciato a evocare, con una grande abbondanza di dettagli, l’arrivo della polizia e ciò che ne è risultato. Ho notato, tuttavia, una palese sproporzione nei dettagli nel suo resoconto. I dettagli forniti da Miep erano numerosi, vividi, e chiaramente veritieri quando richiamava alla mente quello che le era successo personalmente alla presenza di Silberbauer, l’ufficiale austriaco che aveva effettuato l’arresto, sia quel giorno che nei giorni seguenti. Quando però si trattava dei Frank e dei loro compagni di sventura, i dettagli diventavano scarsi e poco chiari: Miep non aveva visto nulla dell’arresto dei clandestini, non li aveva visti andare via, né salire a bordo del veicolo della polizia, che aveva visto attraverso dalla finestra del suo ufficio, poiché “troppo vicino al muro della casa.” Henk, dall’altra sponda del canale, aveva visto da lontano la vettura della polizia, senza però essere in grado di riconoscere le persone che vi entravano o vi uscivano. Per quanto riguarda i manoscritti, Miep mi ha ripetuto il resoconto che aveva fornito a Schnabel, dicendomi anche che il signor Frank, dopo il ritorno in Olanda alla fine del maggio 1945, ha vissuto per sette anni sotto il loro tetto. Fu solo verso la fine del giugno, o all’inizio del luglio, del 1945 che [Miep] gli ha consegnato il manoscritto.
61. A seguito di questi due colloqui sono giunto alla seguente opinione: “Queste tre persone devono avermi detto, nel complesso, la verità sulla loro vita. Probabilmente è vero che praticamente non conoscevano l’annesso, e certamente è vero che, nella parte anteriore della casa, la vita trascorreva approssimativamente come me l’avevano raccontata (il pranzo veniva consumato insieme presso l’ufficio delle segretarie, i garzoni del magazzino mangiavano nel magazzino; le piccole minori per il cibo erano fatte nel quartiere, ecc.). È certamente vero che la polizia ha effettuato un’incursione il 4 agosto 1944 e che in quel giorno e nei giorni successivi Miep, ha avuto a che fare con un Karl Silberbauer. È probabile, d’altra parte, che queste tre persone abbiano mantenuto alcuni rapporti con la famiglia Frank. In tal caso, perché erano così visibilmente reticenti nel parlarne? Supponiamo per ipotesi che i Frank e le altre persone in clandestinità avessero vissuto realmente per venticinque mesi in prossimità di queste tre persone, nel tal caso, quale sarebbe stato il motivo di questo silenzio?”
62. La risposta a questi interrogativi potrebbe essere la seguente: i Frank e, forse, qualche altro ebreo potrebbero essere vissuti effettivamente nell’annesso del numero civico 263 di Prinsengracht. Sarebbero vissuti però in modo molto differente da quello riferito dal Diario, ad esempio, in modo senza dubbio prudente, ma non come se fossero stati in una prigione; sarebbero stati in grado di vivere come hanno fatto tanti altri ebrei che si nascondevano o in città, o in campagna. “Si nascondevano senza nascondersi.” La loro avventura sarebbe stata qualcosa di tristemente banale. Non avrebbe avuto quel carattere rocambolesco, assurdo, e visibilmente menzognero che il signor Frank vorrebbe spacciare per una vita reale, autentica, e vissuta. Dopo la guerra, gli amici del signor Frank erano disposti a testimoniare in suo favore tanto quanto esitavano a farsi garanti del racconto narrato nel Diario. Tanto potevano offrirsi come garanti delle sofferenze reali del signor Frank e famiglia, quanto è sembrato loro difficile testimoniare, in aggiunta, a proposito di sofferenze immaginarie. Kraler, Koophuis, Miep, Elli, e Henk hanno dato prova di essere amici del signor Frank, mostrando pubblicamente la loro compassione per lui come un simpaticone che era, al tempo stesso, sopraffatto dalle disgrazie. Forse si sono sentiti lusingati dall’essere presentati dalla stampa come i compagni di quei suoi giorni di sventura; forse alcuni di loro hanno accettato l’idea che, quando un uomo ha sofferto, ha il diritto morale di esagerare un po’ la storia delle proprie sofferenze. Agli occhi di alcuni di loro, il punto principale potrebbe essere stato che il signor Frank e famiglia avevano sofferto crudelmente per mano dei tedeschi: in tal caso poco importavano i “dettagli” di quelle sofferenze. La cortesia comunque ha i suoi limiti e il signor Frank aveva trovato una sola persona che garantisse il suo resoconto dell’esistenza di un Diario; si trattava della sua ex-segretaria e amica: Miep Van Santen (il cui vero nome è Miep Gies). Ciononostante la testimonianza di Miep è stranamente esitante; ella ritorna sui momenti successivi l’arresto dei Frank, affermando di aver raccolto dal pavimento di una stanza dell’annesso un diario, un registro contabile, alcuni quaderni, e un certo numero di fogli sciolti. Per lei erano oggetti appartenuti ad Anna Frank. Miep ha reso questa testimonianza in forma ufficiale solo trenta anni dopo quegli eventi, il 5 giugno 1974, presso l’ufficio del signor Jacob Dragt Antoun, un notaio di Amsterdam. Miep ha aggiunto di aver fatto quella scoperta insieme a Elli. Quello stesso giorno però, alla presenza dello stesso notaio, quest’ultima ha dichiarato di ricordare di essere stata là al momento del ritrovamento di quegli scritti ma di non sapere più esattamente come vennero scoperti. Questa limitazione è importante e non é risultata gradita al signor Frank.
63. Schnabel ha scritto (vedere sopra alla sezione 50) che tutti i “testimoni” che aveva interrogato – tra cui, quindi, Miep, Elli, Henk, e Koophuis – si erano comportati “come se dovessero proteggersi dalla leggenda [di Anna Frank]”. Ha aggiunto che anche se magari tutti loro avessero letto il Diario, nessuno tuttavia lo menzionava. Quest’ultima frase significa ovviamente che, in tutti colloqui con i testimoni, è stato lo stesso Schnabel che ha dovuto prendere l’iniziativa perché si parlasse del Diario. Sappiamo che il suo libro non è stato pubblicato, se non in forma abbreviata e censurata, in Olanda, nella nazione quindi in cui risiedevano i principali “testimoni.” Anche l’articolo di Der Spiegel (vedere sopra alla sezione 55) dimostra che gli altri “testimoni” del signor Frank sono finiti per avere le stesse reazioni negative. Le basi del mito di Anna Frank – un mito che si basa sulla veridicità e sull’autenticità del Diario – non si sono rafforzate con il tempo: si sono sbriciolate.
Capitolo VI
64. Chi ha “denunciato” e chi ha arrestato i Frank: perché il signor Frank ha voluto assicurare loro l’anonimato?
65. Dal 1944, il signor Frank e i suoi amici sapevano che il loro presunto “traditore” si chiamava Van Maaren e che il nome di colui che li ha arrestati era Silberbauer. Van Maaren era uno dei magazzinieri che lavorava nel loro magazzino, mentre Silberbauer era un sottufficiale del servizio di sicurezza (SD) ad Amsterdam. Nel Diario, così come nel libro di Schnabel menzionato sopra, Van Maaren viene indicato con v.M.. Per quanto riguarda Silberbauer, nel libro di Schnabel viene chiamato Silberthaler. Sembra che, al momento della Liberazione, Van Maaren abbia avuto qualche problema in patria con la giustizia. Il signor Frank mi disse che la sua colpevolezza non poteva essere provata. “v.M. aveva avuto abbastanza guai così e va lasciato in pace.” Schnabel non aveva voluto ottenere la testimonianza di v.M., né quella dell’ufficiale che effettuò l’arresto.
66. Improvvisamente nel 1963 la stampa mondiale ha iniziato a echeggiare una notizia sorprendente: Simon Wiesenthal aveva appena ritrovato la persona che aveva arrestato i Frank. Si trattava di Karl Silberbauer, un ufficiale di polizia a Vienna. Wiesenthal non aveva informato il signor Frank di questa sua indagine. Il signor Frank, interrogato dai giornalisti, ha dichiarato di aver saputo per quasi vent’anni il nome della persona che lo aveva arrestato, aggiungendo che l’intera vicenda fu una sventura e che Silberbauer, eseguendo quell’arresto, aveva fatto solo il suo dovere. Miep, da parte sua, ha dichiarato di aver usato lo pseudonimo di Silberthaler per riferirsi al funzionario che eseguì l’arresto, solo su richiesta del signor Frank, il quale aveva fatto notare che in effetti ci sarebbe potuto essere qualcun altro con il cognome Silberbauer a cui sarebbe stato possibile che fosse fatto del male: “[De Heer Frank] had mij verzocht de naam Silberthaler te noemen, omdat er misschien nog meer mensen Silberbauer heetten en die zouden wij dan in diskrediet brengen[5].”
67. Ci fu una sorta di scontro tra Simon Wiesenthal e il signor Frank. Fu quest’ultimo che in un certo modo ha avuto la meglio. Di fatto, dopo undici mesi, Karl Silberbauer è stato reintegrato nella polizia viennese. Una commissione disciplinare, tenutasi a porte chiuse (come è di norma), lo ha rilasciato. La sentenza della Commissione d’appello (“Oberdisziplinarkommission”) è stata altrettanto favorevole a Silberbauer, come lo sono state anche le conclusioni di una commissione d’inchiesta del ministero degli interni. Silberbauer aveva effettivamente arrestato i Frank a Prinsengracht 263, ma non fu possibile dimostrare la sua partecipazione a “crimini di guerra contro gli ebrei o contro membri della resistenza.” Nel giugno del 1978 ho ottenuto un colloquio con Simon Wiesenthal, nel suo ufficio a Vienna. In merito a tale vicenda, mi ha dichiarato che il signor Frank era “crazy” (“folle”). A suo parere, il signor Frank, nel suo intento di mantenere un culto (quello di sua figlia), volle risparmiare gli ex-nazisti, al contrario di lui, Simon Wiesenthal, che aveva una sola preoccupazione: quella di vedere fatta giustizia. Simon Wiesenthal non conosceva il vero nome del magazziniere V. M. Anche in questo caso il signor Frank aveva fatto ciò che era necessario: l’Istituto reale di documentazione (per la Seconda Guerra Mondiale), diretto dal suo amico Louis De Jong, ha risposto, se dobbiamo credere a un giornale di Amsterdam (Trouw, 22 novembre 1963), che quel nome non sarebbe stato fatto al signor Wiesenthal nemmeno se lo avesse richiesto: “(…) deze naam zou men zelfs aan Mr. Wiesenthal niet doorgeven, wanneer deze daarom zou verzoeken”.
68. Le autorità di Vienna non hanno potuto autorizzarmi a consultare i documenti delle commissioni d’inchiesta. Per quanto riguarda Karl Silberbauer, morì nel 1972. La mia indagine si è quindi limitata all’analisi di alcuni quotidiani olandesi, tedeschi, e francesi del 1963 e del 1964 e all’interrogatorio di un testimone che credo fosse ben informato, onesto, e dotato di una buona memoria. Quel testimone pregò, me e il mio accompagnatore, di non rivelare il suo nome. Ho promesso di non menzionarne il nome, ma terrò la mia promessa solo a metà. L’importanza della sua testimonianza è tale che mi sembra impossibile passarla sotto silenzio. Il nome di questo testimone e il suo indirizzo, nonché il nome del mio accompagnatore e il suo indirizzo, sono stati scritti in una busta sigillata contenuta nella mia appendice n° 2: “Confidenziale.”
69. Ecco, per cominciare, quella che chiamerei “la testimonianza di Karl Silberbauer, raccolta da un giornalista olandese del Hague Post e tradotta in tedesco da un giornalista ebreo tedesco dell’Allgemeine Wochenzeitung der Juden in Deutschland[6].” Silberbauer racconta che all’epoca (4 agosto 1944) aveva ricevuto una telefonata da uno sconosciuto che gli aveva rivelato che c’erano alcuni ebrei rimasti nascosti in un ufficio a Prinsengracht: “Poi ho allertato otto olandesi del servizio di sicurezza (SD) e sono andato con loro a Prinsengracht. Ho visto che uno dei miei colleghi olandesi ha cercato di parlare con un dipendente, ma quest’ultimo ha fatto un gesto con il pollice verso l’alto.” Silberbauer ha descritto la sua entrata nel nascondiglio degli ebrei: “La gente correva in tutte le direzioni e faceva le valigie; un uomo poi è venuto verso di me, presentandosi come Otto Frank. Disse di essere stato un ufficiale di riserva dell’esercito tedesco. Alla mia domanda su quanto tempo fossero rimasti nascosti, Frank ha risposto: “Venticinque mesi.” Vedendo che non gli credevo – ha proseguito Silberbauer – prese la mano di una ragazzina che gli stava di fianco. Doveva essere Anna. Mise la giovane contro uno stipite della porta in cui erano segnate alcune tacche in vari punti. Ho parlato di nuovo al signor Frank: “Che bella ragazzina che ha!” Silberbauer disse allora che solo molto più tardi collegò quell’arresto a quanto riportato dai giornali a proposito della famiglia Frank. Dopo la guerra, rimase molto sorpreso dalla lettura del Diario e, soprattutto, non capiva come Anna potesse sapere che gli ebrei venissero uccisi con il gas: “Nessuno ne era a conoscenza,” ha spiegato Silberbauer, “di ciò che attendeva agli ebrei. Non capisco soprattutto come Anna nel suo Diario possa aver affermato che gli ebrei furono uccisi con il gas.” Secondo Silberbauer, nulla sarebbe accaduto ai Frank se non fossero rimasti nascosti.
70. Questa intervista esclusiva con Silberbauer costituisce una sintesi abbastanza fedele, credo, delle frasi attribuite dai giornalisti a colui che ha arrestato la famiglia Frank. La testimonianza che ho annunciato in precedenza (sezione 68) conferma sostanzialmente il contenuto del colloquio, con l’eccezione dell’episodio del pollice alzato che sarebbe un’invenzione pura. Silberbauer, presumibilmente, non ha notato nulla del genere, per la buona ragione, che, si suppone, sia andato direttamente all’annesso. Non fece altro che percorrere il corridoio e salire per le scale, senza fare nessuna deviazione verso gli uffici o i magazzini. Ed è lì che la testimonianza in questione ci fornisce un elemento capitale. Si sarà notato che, nella sua intervista, il poliziotto non dice con precisione come sia entrato nei locali in cui si nascondevano i Frank. Non menziona l’esistenza di un “armadio girevole” (“ein drehbares Regal”); il mio testimone però è piuttosto sicuro: Silberbauer non si è mai imbattuto in qualcosa del genere, ma… in una porta pesante di legno, come quelle che si trovano all’ingresso, per esempio, di una legnaia. La parola esatta utilizzata è stata “ein Holzverschlag”. Il poliziotto aveva semplicemente bussato alla porta che… gli venne aperta. Un terzo punto di questa testimonianza è, se possibile, ancora più importante. Karl Silberbauer ha detto e ripetuto che non credeva che questo famoso scritto che è il Diario fosse autentico, perché, secondo lui, non c’era mai stato sul luogo nulla di simile ai manoscritti che Miep affermava di aver trovato sparsi sul pavimento una settimana dopo quel 4 agosto 1944. Il poliziotto aveva l’abitudine professionale di effettuare arresti e perquisizioni da prima della guerra. Un tale mucchio di documenti non gli sarebbe sfuggito. (Aggiungiamo qui che era con altri otto uomini che lo affiancavano e che l’intera operazione era stata condotta lentamente e correttamente, e che poi il poliziotto, dopo aver affidato la chiave di quei locali a V. M. o a un altro dipendente, era ritornato in quei locali altre tre volte.) Silberbauer, afferma il testimone, aveva l’abitudine di dire che Miep non aveva avuto in realtà un gran ruolo in tutta quella vicenda (motivo per cui non venne nemmeno arrestata). Miep nel seguito aveva cercato di darsi una certa importanza, in particolare con l’episodio del ritrovamento miracoloso dei manoscritti.
71. Lo stesso testimone mi ha dichiarato, in presenza dell’accompagnatore, che nel 1963-1964 Silberbauer aveva redatto per il tribunale un resoconto dell’arresto dei Frank, e che tali dettagli potrebbero apparire nella relativa documentazione. Un secondo testimone, che avrebbe potuto darmi certamente una testimonianza di grande valore sulle dichiarazioni di Silberbauer, preferì non dire nulla.
Capitolo VII
72. Un confronto tra il testo in olandese e quello in tedesco: il signor Otto Frank, nel tentativo di strafare, si è smascherato, firmando così un falso letterario.
73. Di fronte a me ho due testi. Il primo è in olandese (indicato nel seguito come il testo O), mentre il secondo è in tedesco (indicato nel seguito come il testo T). Gli editori mi dicono che il testo O è l’originale, mentre quello T è la traduzione del testo originale. Non ho a priori alcun motivo di contestare questa loro affermazione; il rigore scientifico però, così come il buon senso e l’esperienza, insegnano che è necessario prendere in considerazione con cautela le dichiarazioni degli editori. Succede, di fatto, che potrebbero sbagliarsi o volerci ingannare. Un libro è una merce come le altre e l’etichetta può ingannarci su quale sia il contenuto. In questa sede, di conseguenza, metterò da parte le etichette che mi vengono proposte o imposte e non parlerò né della “versione originale in olandese,” né della “traduzione in tedesco” e sospenderò temporaneamente ogni giudizio. Concederò un nome preciso a questi due libri solo con riserva; per il momento, darò loro un nome che è, allo stesso tempo, equo, e neutrale; parlerò quindi di testi.
74. Descriverò i testi O e T che ho davanti a me. Inizierò con il testo O, ma avrei potuto, altrettanto bene, iniziare con il testo T. Insisto su quest’ultimo punto; l’ordine di successione che ho scelto qui non vuole implicare nessuna successione nel tempo, né nessun rapporto di tipo genitore / figlio tra il testi O e T.
75. Il mio testo O viene presentato in questo modo: Anne Frank / Het Achterhuis / Dagboekbrieven / 14 juni 1942 / 1 augustus 1944 / 1977, Uitgeverij Contact, Amsterdam, Eerste druk 1947 / Vijfenvijftigste druk 1977. L’autore del testo inizia a pagina 22 con la riproduzione fotografica di una sorta di dedica firmata: “Anne Frank. 12 juni 1942.” A pagina 23 compare la prima delle centosessantanove voci corrispondenti alle lettere che compongono questo “diario” al quale è stato dato il titolo [che si traduce in] “L’annesso”. Il libro ha 273 pagine; l’ultima è la numero 269. Ho stimato che la lunghezza del testo stesso è di circa 72.500 parole in olandese. Non ho paragonato il testo della 55ª edizione con quello della prima edizione. Al momento della mia indagine ad Amsterdam, ho ricevuto rassicurazioni dai signori Fred Batten e Christian Blom che non è stato apportato nessun cambiamento nelle edizioni successive. I due erano dipendenti della casa editrice Contact e, insieme al fu signor P. De Neve, erano alla base dell’accettazione del dattiloscritto che il signor Frank aveva depositato presso un interprete, un certo signor Kahn. Si tratta dello stesso signor Kahn che nel 1957 aveva accompagnato, facendogli da interprete, Ernst Schnabel, quando quest’ultimo venne a trovare Elli ad Amsterdam.
76. Il mio testo T viene presentato in questo modo: Das Tagebuch der Anne Frank / 12. Juni 1942 – 1. August 1944, 1977, Fischer Taschenbuch Verlag / N° 77 / Ungekürzte Ausgabe / 43. Auflage 1293000-1332000 / Aus dem Hollandischen übertragen von Anneliese Schütz / Hollandische Original-Ausgabe “Het Achterhuis”, Contact, Amsterdam. Dopo la pagina di dedica, la prima epistola appare a pagina 9. Sono presenti 175 lettere; l’ultima si conclude a pagina 201. Ho stimato la lunghezza del testo in circa 77.000 parole tedesche; il libro ha 203 pagine. Questo libro in edizione economica è stato pubblicato nel marzo del 1955. Fischer ha ottenuto la Lizenzausgabe (licenza di distribuzione) dalla casa editrice di Lambert Schneider, a Heidelberg.
77. Rilevo un primo fatto sconcertante. Nel testo O ci sono 169 voci corrispondenti a epistole, mentre nel testo T, indicato come una traduzione del testo O, ce ne sono 175.
78. Rilevo un secondo fatto sconcertante. Mi sono messo alla ricerca delle voci in eccesso. Non ne ho scoperte sei (175 meno 169 è uguale a 6), ma sette. La spiegazione è la seguente: il testo T non ha la voce della lettera del 6 dicembre 1943 presente nel testo O.
79. Rilevo un terzo fatto sconcertante. Dato che l’olandese e il tedesco sono lingue molto simili, il testo tradotto non deve essere sensibilmente più lungo del testo originale. Anche trascurando il numero di parole che compongono le sette voci in questione, si è lontani però dal raggiungere una differenza di circa 4500 parole (77.000, per il testo T, meno 72.500, per il testo O, è uguale a 4.500). Le voci corrispondenti alle lettere presenti nel testo T pertanto, anche se presenti nel testo O, compaiono in un’altra forma: in ogni caso, in una forma più lungo. Ecco la mia dimostrazioni, sostenuta dalle cifre:
a) Lettere in eccesso presenti nel testo T:
3. August 1943 ……………………………. 210 parole circa
7. August 1943 ……………………………. 1.600
20. Februar 1943 …………………………. 270
15. April 1944 …………………………….. 340
21. April 1944 …………………………….. 180
25. April 1944 …………………………….. 190
12. Mai 1944 ………………………………. 380
______
Totale ……………………………. 3.170 parole circa
[Errore da parte mia (R. Faurisson): La lettera del 12 maggio 1944 (380 parole) non è assente nel testo O, ma presente sotto la data 11 maggio 1944. Quella che manca nel testo O è la lettera del 11 maggio 1944, lunga… 520 parole!]
b) Lettere in difetto presenti nel testo T:
6. December 1943 ……………………………. 380 parole circa
c) Parole in eccesso nel testo T per le lettere in comune:
4.500 – (3.170 – 380) = 1.710 parole.
In realtà, come si vedrà nel seguito, questo numero rappresenta solamente una piccola parte delle parole in eccesso presenti nel testo T. Nel frattempo tuttavia, per non sembrare troppo attaccato ai calcoli, darò qualche esempio specifico che riguarda circa 550 parole.
80. Tra le voci corrispondenti alle lettere che sembrano in comune ai testi O e T, eccone alcune (tra le tante) in cui il testo T presenta qualche frammento in aggiunta e cioè ignoto al lettore olandese:
16. Oktober 1942 “Vater … Schrifsteller” 20 parole
20. Oktober 1942 “Nachdem … habe” 30 parole
5. Februar 1943 “Über … bedeutet” 100 parole
10. August 1943 “Gestern … anziehen” 140 parole
31. März 1943 “Hier … prima” 70 parole
“Als … warum ?” 25 parole
2. Mai 1944 “Inzwischen … spendiert” 90 parole
3. Mai 1944 “Herr … besorgt” 40 parole
“Langer … hat” 35 parole
________
Totale di questi esempi semplici 550 parole
81. Tra le voci corrispondenti alle lettere in comune ai testi O e T, eccone alcune (tra le altre) in cui nel testo T manca qualche frammento presente però nel testo O e cioè qualche frammento ignoto al lettore tedesco:
17. November 1942 “Speciale … overgelegd” 15 parole
13. Juni 1943 “Daar Pim … heeft” 30 parole
29. Juli 1943 “Ijdelheid … persoontje” 20 parole
______
Totale di questi esempi semplici 65 parole
Un fatto notevole è che i frammenti mancanti sono molto numerosi e molto brevi. Per esempio, nella lettera del 20 agosto 1943 presente nel testo T sono state tagliate 19 parole, distribuite come segue: 3 + 1 + 4 + 4 + 7 = 19.
82. Richiamo l’attenzione su un quarto fatto sconcertante che è indipendente dalle quantità in eccesso o in difetto, trattandosi di frammenti di voci che in qualche modo sono stati spostati. Per esempio, l’intero penultimo paragrafo del testo O di Donderdag, 27. April 1944si trova nell’ultimo paragrafo del testo T di Dienstag, 25. April 1944. Il 7 gennaio 1944, l’ultimo paragrafo del testo O diventa, nel testo T, il sestultimo. Nella voce del 27 aprile 1944 del testo O il penultimo paragrafo diventa l’ultimo paragrafo della voce del 25 aprile 1944 nel testo T.
83. Richiamo l’attenzione su un quinto fatto sconcertante. Non si tratta di aggiunte o rimozioni, né di spostamenti, ma di alterazioni che sono segni di incongruenze. Intendo dire questo: supponiamo di trascurare tutte gli elementi per cui i testi O e T differiscono visibilmente l’uno dall’altro e di rivolgerci ora a ciò che potrebbe chiamarsi “il rimanente” (un “restante” che secondo gli editori dovrebbe costituire “la parte in comune,” o “la parte identica”); sorprende scoprire, che dall’inizio alla fine di questi due libri, eccetto per casi rarissimi, queste parti “rimanenti” sono lungi dall’essere identiche. Come si vedrà negli esempi che seguono, queste inconsistenze non possono essere attribuite a una traduzione maldestra o fantasiosa. La stessa voce del 10 marzo 1943 del testo O parla di “Bij kaarslicht” (al lume di candela), mentre per il testo T parla di “Bei Tage” (alla luce del sole); “een nacht” (una notte) per “Eines Tages” (un giorno); “verdwenen de dieven” (i ladri scomparvero) per “schwieg der Larm” (il rumore cessò). Al 13 gennaio 1943 Anna nel testo O dice di essersi rallegrata al pensiero che nel dopoguerra avrebbe acquistato “nieuwe kleren en schoene” (vestiti e scarpe nuovi), mentre nel testo T si parla di “neue Kleider und Bücher” (vestiti e libri nuovi). Per il 18 maggio 1943 nel testo O la signora Van Daan è “als door Mouschi gebeten” (come se fosse stata morsa da [il gatto] Mouschi), mentre nel testo T è “wie von einer Tarantel gestochen” (come se fosse stata punta da una tarantola). A seconda che consultiate il testo O o T, un certo tizio è un “fascist” o un “gigante” (“Riese”) (20 ottobre 1942). I fagioli bianchi e scuri (“bruine en witte bonen”) diventano fagioli bianchi (“weisse Bohnen”) (12 marzo 1943). Certi sandali che costavano 6,5 fiorini perdono l’indicazione del prezzo (ibidem), mentre “cinque ostaggi” (“een stuk of 5 gijzelaars”) diventano “un certo numero di ostaggi” (“eine Anzahl dieser Geilseln”) nella voce del 9 ottobre 1942, in cui inoltre “i Tedeschi” (“Duitsers”) altro non sono che “questi Tedeschi” (“diese Deutschen”), riferendosi nello specifico ai nazisti (vedere sopra la sezione 54). Il 17 novembre 1942 Dussel reincontra i Frank e i Van Daan nel loro nascondiglio. Il testo O dice che “Miep lo aiutò a togliersi il mantello” (“Miep liet hem zijn jas uitdoen”); venuto a sapere che i Frank erano lì, è “quasi svenuto per lo stupore” e, dice Anna, rimase “senza parlare, come se prima volesse per un istante leggere la verità nei nostri volti” (“viel hij haast flauw van verbazing […] sprakeloos […] alsof hij eerst even goed de waarheid van onze gezichten wilde lezen”); il testo T, a proposito di Dussel, dice però che “dovette togliersi il mantello” e descrive il suo stupore come segue: “[…] non riusciva a capire, non riusciva a credere ai suoi occhi” (“Er mußte den Mantel ausziehen […] konnte er es nicht faßen […] und wollte seinen Augen nicht trauen”). Una certa persona con un problema a un occhio e che “faceva impacchi di camomilla” (“bette het […] met kamillen-the”) diventa qualcuno che “faceva alcune compresse” (“machte Umschläge”) (10 dicembre 1942). Là dove il “babbo” aspetta da solo (“Pim verwacht”) [“Pim” è il soprannome del babbo – ndt] corrisponde un “noi” aspettiamo (“Wir erwarten”) (27 febbraio 1943). Dove i due gatti ricevono i loro nomi di Moffi e Tommy perché sembrano tedesco (“boche”) e inglese (“angliche”) rispettivamente, “proprio come in politica” (“Net als in de politek”), il testo T dice che i nomi vennero assegnati “a seconda della loro indole” (“Ihren Anlagen gemäß”) (12 marzo 1943). Il 26 marzo 1943 certuni che “erano ben svegli” (“waren veel wakken”) diventano “erano in uno stato di paura interminabile” (“schreckten immer wieder auf”), e “uno scampolo di flanella” (“een lap flanel”) diventa un “coprimaterasso” (“Matratzenschoner”) (1 maggio 1943). “Si sciopera” (“staken”) “in alcune regioni” (“in viele gebieden”) diventa: “si commettono sabotaggi da tutti i lati” (“an allen Ecken und Enden sabotiert wird”) (ibidem). Una “branda” (“harmonicabed”) si ritrova come una “sedia a sdraio” (“Liegestuhl”) (21 agosto 1942). La seguente frase: “Il fuoco dei cannoni non c’importava più, la nostra paura si era dileguata” (“Het kanonvuur deerde ons niet meer, onze angst was weggevaad”) diventa: “e per oggi la situazione era salva” (“und die Situation war für heute gerettet”) (18 maggio 1943).
84. Ho rilevato questi esempi di inconsistenze in un singolo campione che non è andato oltre la 54ª voce del testo O (18 maggio 1943). Ho deciso quindi di effettuare un campionamento molto più serrato, basandomi sulle sedici voci che vanno dal 19 luglio al 29 settembre 1943 (voci dalla 60ª alla 75ª). Ho deciso di includere, oltre alle inconsistenze, anche le aggiunte e le rimozioni. Il risultato è stato che un semplice elenco delle differenze rilevate richiederebbe parecchie pagine dattiloscritte; in questa sede non sono in grado di farlo e mi accontento di farlo solamente per pochi esempi, evitando i più notevoli perché, purtroppo, sono anche i più lunghi da citare.
– voce del 19 luglio 1943: “genitori morti” (“dode ouders”) diventa “genitori” (“Eltern”);
– voce del 23 luglio 1943: il testo T presenta, in aggiunta, almeno 49 più 3 parole;
– voce del 26 luglio 1943: nel testo T ci sono, in aggiunta, 4 più 4 parole e ne mancano 2: “over Italië” presente nel testo D;
– voce del 29 luglio 1943: nel testo T mancano 20 parole e “vent’anni” (“twintig jaar”) del testo O diventa “venticinque anni” (“25 Jahren”) nel testo T;
– voce del 3 agosto 1943: questa lettera di 210 parole, presente nel testo T, è completamente assente nel testo D;
– voce del 4 agosto 1943: il testo O riporta “divano” mentre il testo T “cislonga.” Nel testo O una pulce “naviga” (“drijft”) nel lavandino, “solo nella stagione calda” (“allen in de hete maanden of weeken”), mentre nel testo T la pulce lì deve “perdere la vita” (“sein Leben lassen”), senza nessun dettaglio sul clima. Nel testo O si parla di “un batuffolo imbibito di acqua ossigenata [per sbianchire la peluria]” (“waterstofwatjes hanteren [dient om zwarte snorharen te bleken]”), mentre il testo T riporta semplicemente: “e altri piccoli segreti di cose da toletta” (“und andere kleine Toilettengehemniss…”). Il paragone “sembra che (…) scrosci un torrentello di montagna” (“als een beekje van een berg”) diventa “come un ruscello sui ciottoli” (“wie ein Bächlein über die Kiesel”). I “verbi irregolari francesi,” a cui pensa Anna nel testo O (“aan Franse onregalmatige wekworden”), nel testo T non può che riferirsi ai verbi irregolari olandesi, dato che Anna dice di “sognare” (“träume ich”) i “verbi irregolari” (“von unregelmässigen Verben”). Il testo T si accontenta di riportare: “Trrrrr, al piano di sopra [suona] lo svegliarino [dei Van Daan]” (“Krrrrr, oben der Wecker”), mentre il testo O recita: “Trrrrr… lo svegliarino che può far sentire la sua vocina a qualunque ora del giorno (se si vuole, e talvolta anche se non si vuole)” (“Trrr… het wekkertje, dat op elk uur van de dag [als men er naar vraagt of soms ook sonder dat] zijn stemmetje kan verheffen”);
– voce del 5 agosto 1943: consiste interamente della descrizione del pasto consueto, consumato dalle 1:15 alle 1:45 pomeridiane, oltre a tutto ciò che ne segue; in esso vi sono differenze importanti; inoltre, ciò che nel testo O è annunciato come “la grande distribuzione” (“De grote uitdeling”) viene chiamato un “piccolo pranzo” (“Kleiner Lunch”) nel testo T: sottolineo gli aggettivi. La possibile, anche se non certa, ironia presente nel testo O scompare nel testo T. Dei tre “divani” menzionati nel testo O, rimane solo un “divano” nel testo T;
– voce del 7 agosto 1943: questa lettera presente nel testo T rappresenta un enigma piuttosto interessante; è molto lunga e inizia con nove righe che presentano una storia di 74 righe intitolata Kaatje, oltre a un’altra storia di 99 righe intitolata Katrientje. Questa voce è completamente assente nel testo O. Gli olandesi, da parte loro, apprendono queste storie solamente grazie a un libro a parte intitolato Racconti [traduzione in italiano: I racconti dell’alloggio segreto, edita da Einaudi, 1983 – ndt], in cui sono presenti, inoltre, altri “racconti inediti” di Anna Frank;
– voce del 9 agosto 1943: tra le varie curiosità ci sono “occhiali di corno” (“een hoornen bril”) che diventano “occhiali scuri di corno” (“eine dunkle Hornbrille”) nel testo T;
– voce del 10 agosto 1943: gli “scopi bellici” del testo O diventano i “cannoni” (“Kanonen”) del testo T. La frase che parla della campana della Westertor è completamente differente; in particolare, il testo T riporta un episodio di 140 parole assente nel testo O in cui Anna, che ha ricevuto un paio di scarpe nuove, racconta una serie di disavventure capitatele quel giorno: si è punta il pollice destro con un grosso ago, ha sbattuto la testa contro l’anta dell’armadio, facendo un rumore per cui è stata “sgridata” (“Ruffel”); non fu in grado di lenire il dolore alla fronte perché bisognava evitare di far scorrere l’acqua; aveva una grossa escoriazione sopra l’occhio destro; un alluce le se è incastrato nell’aspirapolvere, facendo infettare il piede che conseguentemente si gonfiò tutto. Risultato: Anna non potè calzare le sue belle scarpe nuove. (Si noti qui la presenza di un aspirapolvere in un luogo in cui era mantenere rigorosamente e costantemente il silenzio);
– voce del 18 agosto 1943: tra nove differenze troviamo “fagioli” (“bonen”) che diventano “piselli” (“Erbsen”);
– voce del 20 agosto 1943: menzionerò solamente un esempio di differenza; riguarda il pane. La narrativa è considerevolmente diversa e per il testo O questo pane si trova successivamente in due posti: all’inizio nell’armadio in acciaio dell’ufficio verso strada (nella parte anteriore della casa), poi, nell’armadio della cucina dell’annesso (“stalen kast,” “voorkantoor” / “keukenkast”), mentre il testo T menziona solamente il primo luogo, senza precisare il secondo; purtroppo la prima locazione menzionata nel testo O è un semplice armadio situato nell’ufficio che guarda su… la corte: l’ufficio di Kraler e non quello di Koophuis (“il pane per noi che ogni giorno viene messo nella stanza di Kraler”)! (Per gli uffici rispettivamente di Kraler e Koophuis, vedere la voce del 9 luglio 1942.) Nel punto in questione c’è una contraddizione seria di tipo materiale tra i due testi, accompagnata da cambi di parole, frasi, ecc.;
– voce del 23 agosto 1943: tra le altre curiosità, “leggere o studiare” (“lesen of leren”) diventa “leggere o scrivere” (“lesen oder schreiben”), “Dickens e il dizionario” (“Dickens en het woordenbook”) diventa solamente “Dickens,” alcuni “capezzali” (“peluwen”) diventano “cuscini di piuma” (“Plumeaus”) (in olandese si chiamano “[eider]dons” o “dekbed”);
– voce del 10 settembre 1943: tra cinque differenze, ho notato che la trasmissione radiofonica, così fortemente attesa ogni giorno, di Radio-Oranje (la voce dell’Olanda d’oltremare [ovvero dalla Gran Bretagna – ndt]) inizia alle 8:15 pomeridiane per il testo O e alle 8:00 pomeridiane per il testo T;
– voce del 16 settembre 1943: nel testo O “dieci pillole di valeriana” (“tien Valeriaantjes”) diventano “dieci piccole pillole bianche” (“zehn von den kleinen weissen Pillen”) nel testo T, mentre “una faccia lunga e la bocca cascante” (“een uitgestreken gezicht en neerhangende mond”) diventa “una bocca con le labbra serrate e i segni della preoccupazione” (“einen zusammengekniffennen Mund und Sorgenfalten”). L’inverno viene paragonato a un ostacolo formidabile, un “inverno mordente” che è lì come un “blocco pesante di pietra” (“het grote rotsblok, dat winter heet”), non è altro che un semplice inverno (“dem Winter”). Un “mantello” (“jas”) nel testo O diventa “cappello e bastone da passeggio” (“Hut und Stock”) nel testo T. Una frase di ventiquattro parole, che, pretende di descriverebbe una scena pittoresca, si trova ridotta a cinque parole in tedesco. D’altra parte, sei parole in olandese diventano tredici parole in tedesco dal significato molto differente;
– voce del 29 settembre 1943: “un padre brontolone” (“een mopperenden vader”) nel testo O diventa “il padre che è in disaccordo con la scelta di lei” (“den Vater, der nicht mit ihrer Wahl einverstanden ist”) nel testo T, mentre “in modo energico” (“energiek”) diventa “ganz kalt und ruhig” (in un modo piuttosto freddo e silenzioso), ecc.
85. Penso che sia inutile proseguire con una lista del genere; non si esagera dicendo che la prima voce del gruppo di lettere che abbiamo segnalato ci dà in qualche modo il senso del tutto. In questa breve lettera, gli olandesi vengono a sapere che Anna, per il suo compleanno, ha ricevuto “una piantina” (“een plantje”), mentre i tedeschi hanno il privilegio di venire a sapere che quella pianta era “un cactus” (“eine Kaktee”). In cambio, gli olandesi vengono a sapere che Anna ha ricevuto “due rami di peonie,” mentre i tedeschi si devono accontentare di sapere che si trattava di “qualche ramo di peonie” (“einige Zweige Pfingstrosen”). Gli Olandesi hanno il diritto alla seguente frase: “ecco i figli di Flora che stavano sulla mia tavola quella mattina” (“dat waren die ochtend de kinderen van Flora, die op mijn tafel stonden”). Nel testo in tedesco la tavola è scomparsa, così come “i figli di Flora” (una curiosa “frase fatta” dalla penna di una bambina di tredici anni; qualcosa che ci si aspetterebbe piuttosto da un adulto che cerca di “abbellire con decorazioni floreali” lo stile in modo laborioso e ingenuo). I tedeschi hanno semplicemente il diritto a: “Questi erano, per cominciare, i fiori offerti per congratularsi con me” (“Das waren die ersten Blumengrüsse”). Gli olandesi vengono a sapere che quel giorno Anna offrirà agli insegnanti e ai compagni di classe “biscottini al burro” (“boterkoekjes”), mentre i tedeschi hanno il diritto di sapere che si trattava di “dolci” (“Bonbons”). La “cioccolata”, presente per gli Olandesi, scompare per i Tedeschi. Più sorprendente è un libro acquistato la domenica del 14 giugno 1942 da Anna con un po’ di denaro appena ricevuto e che nel testo tedesco diventa un libro che Anna si era già comprata (“zodat ik me […] kan kopen” / “habe ich mir […] gekauft”).
86. D’altra parte, l’ultima voce del gruppo di lettere è identica nei due testi. Ciò ci conferma, se ce ne fosse bisogno, che la traduttrice tedesca – se di “traduzione” si dovesse parlare – era ben capace di rispettare il testo olandese. Ora però è fin troppo evidente che non si può parlare di traduzione, né tanto meno di “adattamento.” È stato fatto con lo scopo di tradurre o “adattare” la sostituzione di giorno con notte (10 marzo 1943), di libri con scarpe (13 gennaio 1943), di dolci con biscottini al burro (14 giugno 1942), di gigante con fascista (20 ottobre 1942)? “Candele” si traduce in “sole”, “gatto” in “tarantola”, “navigare” in “perdere la vita”, “grande” in “piccolo” (4 agosto 1943)? Solo gli illusionisti riescono a trasformare un “mantello” in un “cappello” nonché in un “bastone da passeggio.” Con la signora Anneliese Schütz e il signor Frank, la tavola scompare (14 giugno 1942) e una scala si nasconde (la lettera del testo olandese del 16 settembre 1943 menziona una scala molto peculiare che avrebbe portato direttamente al nascondiglio: “die direct naar boven leidt”). Il luogo in cui il pane viene conservato cambia. Ciò che è dietro si trova davanti (l’ufficio di Kraler). I numeri appaiono e scompaiono. Le ore cambiano. Le facce si trasformano. Gli eventi si moltiplicano o scompaiono. Persone e cose sono soggette a eclissi e cambiamenti improvvisi. Anna, si potrebbe dire, risorge dalla tomba per allungare o accorciare i suoi scritti e a volte per aggiungere altro o per rimuovere qualcosa.
87. A dieci anni dalla sua morte, lo scritto di Anna continua a trasformarsi. Nel 1955 la casa editrice Fischer pubblica come libro tascabile il suo Diario rielaborato in modo “discreto.” Il lettore dovrebbe confrontare in modo particolare le seguenti voci:
– 9 luglio 1942: “Hineingekommen … gemalt war” (= 25 parole) rimpiazzato da: “Neben… gemalt war” (41 parole). Appare una porta!
– 11 luglio 1942: “bange” sostituito da “besorgt”;
– 21 settembre 1942: “gerügt” rimpiazzato da “gescholten” e “drei Westen” si trasformando in “drei Wolljacken”;
– 27 settembre 1942: “mit Margot bin ich nicht mehr so intim” diventa: “mit Margot verstehe mich nicht sehr gut”;
– 28 settembre 1942: “bestürzt” sostituito da “erschüttert”;
– 7 novembre 1942: “ohne den Hergang zu kennen” diventa “ohne zu wissen, worum es ging” e “Er ist mein Ideal” diventa “Er ist mein leuchtendes Vorbild.” Quest’ultimo cambiamento del testo non è insipido se si sa che si tratta in questo caso del padre di Anna. Il signor Frank non rappresenta più un “ideale” per la figlia, ma “un modello brillante”! Un altro cambiamento: “und das Ärgste ist” diventa “und am schlimmsten ist”;
– 7 agosto 1943: ho fatto notare sopra (vedere la sezione 84) che questa lettera molto lunga contiene due storie. Presumo che queste storie esistessero nel manoscritto che era stato riservato loro e che siano state inserite abusivamente nel Diario. In tal caso, ci si domanda chi abbia scritto le nove righe dell’introduzione in cui Anna chiede alla sua corrispondente in particolare se crede che le sue storie piaceranno ai bambini.
88. Questi ultimi cambiamenti vennero effettuati da un testo tedesco a un altro testo tedesco. Non ci sono scuse di traduzioni maldestre o fantasiose. Dimostrano che l’autore del Diario – il termine che uso solitamente per il responsabile del testo che sto leggendo – era ancora vivo nel 1955. Allo stesso modo, leggendo il testo tedesco del 1950 (edizione Lambert Schneider), ho scoperto che l’autore del Diario (un autore particolarmente prolifico) era ancora vivo nel 1950. Quell’autore non poteva essere Anna Frank, che, come sappiamo, è morta nel 1945.
89. Tutte le volte che ho confrontato i testi, ho seguito l’ordine cronologico ufficiale. Ho mostrato come il testo stampato in olandese (1947) contrasta con il primo testo in tedesco (1950), che, a sua volta, ha subìto qualche strana metamorfosi nel secondo testo stampato in tedesco (1955). Parlando scientificamente però, nulla dimostra che l’ordine cronologico della pubblicazione rifletta quello della composizione dei testi. Per esempio, potrebbe esserci stato un manoscritto in tedesco precedente la composizione dei manoscritti in olandese. Potrebbe essere che il modello o la “prima bozza” fosse stata scritta in tedesco. Potrebbe essere che dopo che quel modello o quella bozza, dopo aver dato alla luce un testo tradotto in olandese, ha dato alla luce anche un testo in tedesco interamente riscritto. Potrebbe essere che, per parecchi anni, alcuni testi molto differenti siano così vissuti in simbiosi. Questo fenomeno si chiama contaminazione. È chiaro tuttavia che il signor Frank non può spiegare la contaminazione dei testi visto che secondo lui esiste un solo testo, e precisamente quello dato dai manoscritti in olandese. Per certi periodi dei venticinque mesi a Prinsengracht, è possibile che i diversi manoscritti del Diario ci propongano alcune varianti che comunque non possono essere responsabili delle innumerevoli assurdità e inconsistenze che abbiamo scorto. Per altri periodi, come quello di un intero anno (dal 6 dicembre 1942 al 21 dicembre 1943), quando, secondo quanto ammesso dallo stesso signor Frank, abbiamo a nostra disposizione solamente una versione, non dovrebbe esserci la benché minima variazione, né discordanza tra il testo O e quello T. È per questa ragione che ho scelto proprio da quel periodo il maggior numero di esempi delle inconsistenze che ho rilevato.
90. Nei campioni che ho scelto per quel periodo non ho notato né più né meno inconsistenze rispetto agli altri periodi. Il testo O ci presenta costantemente una Anna Frank che della giovane adolescente se non ha i tratti, almeno ricalca lo stereotipo, mentre il testo T ci offre lo stereotipo dell’adolescente già vicina, per certi versi, a una donna matura. Ci sono, nel testo T, alcuni passaggi che sono incompatibili con quelli corrispondenti del testo O e anzi formalmente incompatibili con l’intera sostanza del testo O. Lì si raggiunge il culmine dell’intollerabilità nella manipolazione dei testi. Ecco, per esempio, la lettera del 5 gennaio 1944. Anna confessa che una volta, prima dei tempi passati in clandestinità, quindi non ancora tredicenne passò la notte con un’amica, sentendo un desiderio di baciarla: “Sentii un forte bisogno di baciarla, e lo feci.” (“een sterke behoefte had haar te zoenen en dat ik dat ook gedaan heb”). Nel testo T dà l’impressione di essere una ragazzina di tredici anni notevolmente più ferrata in materia; nello specifico, Anna chiese all’amica che stava con lei quella notte come prova della loro amicizia se potevano l’una palpare il seno il seno dell’altra. L’amica però rifiutò e Anna, che sembrava essere pratica dell’argomento, aggiunge: “trovai lo stesso piacevole baciarla, e lo feci” (“fragte ich sie, ob wir als Beweis unserer Freundschaft uns gegenseitig die Brüste befühlen wollten, aber sie weigerte sich. Ich fand es immer schön, sie zu küssen, und habe es auch getan”). Raccomando similmente, a proposito delle sensazioni sessuali di Anna, la lettura comparata dei testi O e T per il 7 gennaio 1944. È stupefacente che il lettore olandese sia stato privato di così tante rivelazioni riservate dal signor Frank e da Anneliese Schütz a … la nonna di Anna, che era così “anziana” (vedere sopra, sezione 54). E che rivelazioni presenti anch’esse nel testo T sui gusti musicali o sulle conoscenze musicali che gli Olandesi non hanno il diritto di conoscere (dopotutto, per quale motivo?)! Il testo T alla lettera del 9 giugno 1944 ci riserva l’esclusività di una dissertazione di duecento parole sulle vite di Liszt (quest’ultimo trattato da una Anna molto femminista, come un “donnaiolo”: “Schürzenjäger”), Beethoven, Wagner, Chopin, Rossini, e Mendelssohn; vengono menzionati molti altri nomi: Hector Berlioz, Victor Hugo, Honoré de Balzac… La voce del 20 febbraio 1944 (duecentoventi parole) è assente dal testo O; essa contiene comunque alcuni elementi di importanza notevole da molti punti di vista. Dussel ha l’abitudine di fischiettare “das Violin-Konzert von Beethoven” [il concerto per violino di Beethoven, ndt] e ci viene rivelato come si passa il tempo la domenica; bisogna riconoscere che un punto almeno, su come veniva trascorso quel tempo, è più che problematico: il signor Frank viene mostrato in tuta, in ginocchio, spazzolando il tappeto con tale lena che l’intera stanza si era riempita di nuvole di polvere (“Vater liegt im Overall auf den Knien und bürstet den Teppich mit solchem Elan, dass das ganze Zimmer in Staubwolken gehüllt ist”). In aggiunta al rumore che un’operazione del genere avrebbe provocato in un luogo in cui perfino di notte, quando i vicini sono assenti, bisognava evitare di tossire, è ovvio che la scena è stata descritta da qualcuno che non può averla vista: un tappeto non viene mai spazzolato in quel modo sul pavimento di una stanza, ovvero proprio nel luogo dove è diventato polveroso. Nella voce del 3 novembre 1943, un frammento di centoventi parole, mancante nel testo O, ci rivela un altro caso di tappeto spazzolato ogni sera da Anna nell’“Ofenluft” (all’aria aperta) e ciò poiché l’aspirapolvere (“Der Staubsauger”) “ist kaputt” (quello stesso famoso aspirapolvere che, secondo il signor Frank, non può essere esistito; vedere sopra, alla sezione 37). A proposito della conoscenza o delle idee di Anna sugli eventi storici o politici, si fanno alcune scoperte nelle voci del 6 giugno, 12 giugno, e 27 giugno 1944. Sul carattere di Peter si trovano alcune rivelazioni nella voce dell’11 maggio 1944. Quella voce di 400 parole non esiste nel testo O. Nel testo O tuttavia troviamo una lettera datata 11 maggio; il testo corrispondente nel testo T tuttavia è datato 12 maggio! Peter sfida sua madre chiamandola “la vecchia” (“Komm mit, Alte!”). Nulla a che fare con il Peter del testo O!
91. Sarebbe interessante sottoporre tutti i principali personaggi dei testi O e T all’analisi di psicologi e psichiatri. Anna, in particolare, sembrerebbe avere tratti caratteriali profondamente contraddittori. Si tratta però di qualcosa di puramente ipotetico; ritengo in fatti che tali analisti rivelerebbero che Anna non ha più inconsistenze reali di qualcosa di inventato in tutti i suoi aspetti. Le poche pretese descrizioni di Anna che sono stato in grado di trovare mi hanno convinto che i loro autori hanno letto il Diario in modo molto superficiale. È vero che la banalità delle loro descrizioni può essere spiegata dalla banalità del soggetto descritto. Gli stereotipi generano altri stereotipi, proprio come le menzogne generano altre menzogne.
92. Il linguaggio e lo stile del testo O si sforzano di essere caratteristici di quelli di una giovane adolescente, innocente, e presa a prestito da altri. Il linguaggio e lo stile del testo Tsi sforzano di essere caratteristici di quelli di un’adolescente già vicina, per certi versi, a una donna matura ed emancipata. La cosa è evidente semplicemente dalle parti del testo che ho menzionato – parti che comunque non ho scelto con l’intenzione di studiare il linguaggio e lo stile delle due Anna Frank.
93. Il signor Frank si è dato all’invenzione di storie. Lo si constata facilmente vedendo come ha trasformato il testo stampato in tedesco del 1950 (edizione Lambert Schneider) per realizzare il testo stampato dalla casa editrice Fischer (1955). È stato in quest’occasione, in particolare, che ha fatto dire a sua figlia che suo padre è il suo “ideale” (versione del 1950); poi, dopo averci pensato sopra, che è il suo “modello brillante” (versione 1955). Al signor Frank quest’inclinazione al raccontare storie inventate non è venuta tutta d’un colpo. Aveva, ci viene detto da una ex-insegnante di scuola di Anna, la mania innocente di comporre “assieme a sua figlia” racconti e poemi (“manchmal die Geschichten und Gedichte … die sie mit ihrem Vater zusammen gemacht hatte[7]”). Ciò avvenne attorno al 1940. Anna aveva undici anni mentre suo padre cinquantuno. Nel 1942 il signor Frank, un ex-banchiere a Francoforte ed ex-commerciante e uomo d’affari ad Amsterdam, andò in pensionamento forzato all’età di cinquantatré anni. Non penso che questa sua inclinazione per lo scrivere sia scomparsa durante le sue lunghe giornate di inattività. In ogni caso, il Diario non ci fornisce praticamente nessuna informazione su come il signor Frank trascorresse il tempo. Ma che importa! Il signor Frank è un contastorie che si è tradito da solo. Il dramma dei contastorie è che devono aggiungere altro alle loro storie inventate, che non finiscono mai di ritoccare, rimaneggiare, tagliare, e correggere. Così facendo finiscono nell’insospettire alcune persone, ed è un gioco da ragazzi per queste dimostrare che si tratta di storie inventate. È molto facile confondere il signor Frank. È sufficiente avere a portata di mano il testo O e una delle due versioni differenti del testo T. Basta ricordargli che agli Olandesi ha dichiarato per iscritto: “Vi garantisco che qui, in questa data, Anna ha scritto: giorno o scarpe o biscottini al burro o fascista o grande,” mentre ai Tedeschi ha dichiarato per iscritto a proposito degli stessi luoghi e delle stesse date: “Vi garantisco che Anna ha scritto: notte o libri o dolci o gigante o piccolo.” Se il signor Frank ha detto la verità nel primo caso, allora si è inventato una storia nel secondo caso, e viceversa. Ha raccontato una storia inventata o qua o là. Oppure – e questo è il più probabile – sia qua che là. In ogni caso, non si può in nessun caso affermare che il signor Frank, in questa faccenda del Diario, abbia detto la verità, tutta la verità, e soltanto la verità.
94. Non è affatto possibile che il Diario possa essere autentico; è superfluo consultare i presunti manoscritti autentici. Nessun manoscritto al mondo potrebbe attestare che Anna Frank sia riuscita nell’impresa miracolosa di scrivere simultaneamente due parole e, oltretutto, due parole dal significato incompatibile, e, impresa ancor più miracolosa, simultaneamente due testi interi e che per la maggior parte delle volte sono completamente in contraddizione tra loro. Va da sé che tutti i testi stampati possono avere un apparato critico con letture differenti, note esplicative, indicazioni dell’esistenza di possibili interpolazioni, ecc. Ma ho già detto (vedere sopra, sezione 88) che quando si ha a disposizione un unico manoscritto, non ci sono possibilità di letture differenti (a meno di casi specifici: difficoltà nel decifrare, errori nelle edizioni precedenti ecc.). E quando si hanno a disposizione molteplici manoscritti (due, tutt’al più, per certi periodi del Diario; forse tre in alcuni casi molto limitati), è sufficiente eliminare quei periodi e quei casi per limitarsi rigorosamente a quelli dov’è necessario accontentarsi di un solo manoscritto (nel caso in questione, il periodo dal 6 dicembre 1942 al 21 dicembre 1943).
95. Nell’ipotesi, ormai inconsistente, dell’esistenza di un manoscritto autentico, affermo che nessuno dei testi stampati possa avere la pretesa riprodurlo. La tabella seguente mostra infatti che l’edizione Fischer del 1955 è l’ottava nell’ordine dei diversi stadi successivi del Diario. Per comprender questa tabella, si faccia riferimento in particolar modo alle sezioni 52 e 53.
Tabella della cronologia (“ufficiale”) delle forme successive del testo del Diario
I. – Manoscritti di Anna Frank;
II. – Abschrift (copia) realizzata da Otto Frank e poi da Otto Frank e Isa Cauvern;
III. – Neufassung der Abschrift (nuova versione della copia) realizzata da Otto Frank e Isa Cauvern;
IV. – Neu-Neufassung der Abschrift realizzata da Albert Cauvern;
V. – Neu-Neu-Neufassung realizzata da Otto Frank;
VI. – Neu-Neu-Neu-Neufassung realizzata da Otto Frank e dai “censori”;
VII. – Edizione Contact (1947);
VIII. – Edizione Lambert Schneider (1950), radicalmente differente dalla precedente e proprio incompatibile con essa;
IX. – Edizione Fischer (1955) che riprende la precedente in una forma “discretamente” (?) rimaneggiata e ritoccata.
Si potrebbe, naturalmente, affermare che forse il testo (V) era solamente una ripulitura molto fedele del testo (IV). Lo stesso dicasi per il testo (VII) in relazione al testo (VI). Ciò supporrebbe che il signor Frank, che ha rielaborato quel testo continuamente, abbia smesso di farlo improvvisamente al momento di ricopiare il testo (IV) senza nessun testimone e al momento della probabile correzione delle bozze per la stampa nel caso del testo (VII). Personalmente ritengo che queste nove costituiscano il minimo delle versioni esistenti a cui è necessario in effetti aggiungere una, due, o tre “Abschrift” per il testo (VIII).
96. L’unico interesse nello studio dei manoscritti che si suppone composti da Anna Frank sarebbe quello di mettere in rilievo qualche elemento di prova anche più schiacciante nei confronti del signor Frank: per esempio, qualche lettera, o frammento di lettera, mai pubblicato (la ragione della mancata pubblicazione andrebbe indagata attentamente, senza fidarsi delle motivazioni addotte dal signor Frank, il quale presenta sempre una colorazione sentimentale molto sospetta); per esempio, anche alcuni nomi fortemente variabili per i “corrispondenti” di Anna (l’idea di indirizzarsi sempre alla stessa “cara Kitty” sembra sia venuta dopo), ecc.
97. Un ragionamento che si basasse sulla considerazione che nel Diario ci sarebbe comunque un fondamento di verità sarebbe privo di valore. Innanzitutto perché sarebbe necessario sapere la verità o essere in grado di distinguerla nel guazzabuglio di fatti certamente inventati; la menzogna, la maggior parte delle volte, è solo l’arte di adattare la verità. Poi perché il lavoro della mente (come, per esempio, la rielaborazione di un “diario”) non è definito da un fondamento, ma da un insieme di forme: le forme di un’espressione scritta, quelle che un individuo dà una volta per tutte, nel bene e nel male
98. Il ragionamento che consistesse nell’affermare che c’è stato solo un qualche centinaio di modifiche tra questa e quella forma del Diario è fallace. La parola “modifiche” è troppo vaga, permettendo, a discrezione di ciascuno, qualsiasi critica e, soprattutto, qualsiasi scusante. Una modifica inoltre può consistere, come abbiamo visto, in una singola parola o in un testo di milleseicento parole!
99. Da parte mia, ho richiamato l’attenzione su svariate centinaia di modifiche, solamente tra il testo in olandese e uno qualunque dei due testi – che differiscono l’uno dall’altro – pubblicati in Germania. Chiamo tali modifiche: aggiunte, rimozioni, spostamenti, e alterazioni (tramite sostituzioni di una parola con un’altra o di un gruppo di parole con un altro – queste parole e questi gruppi di parole essendo incompatibili l’un l’altro, benché, in rarissime eccezioni, il significato può essere preservato [?]). Questi cambiamenti complessivamente coinvolgono circa venticinquemila[8] parole dell’edizione Fischer, la quale consiste di settantasettemila parole (che è, in ogni caso, la cifra che ho come riferimento).
100. La traduzione in francese di Het Achterhuis può essere chiamata una “traduzione” nonostante l’assenza di una delle centosessantanove voci dell’edizione in olandese della casa editrice Contact e nonostante molti punti deboli oltre a qualche bizzarria che fa pensare che potrebbe esserci ancora qualche scoperta problematica. L’edizione Lambert Schneidernon può in nessun caso essere considerata una traduzione. Per quanto riguarda l’edizione Fischer, non può chiamarsi una riproduzione dell’edizione Lambert Schneider, né una traduzione di Het Achterhuis.
101. Quell’insieme impressionante di aggiunte, rimozioni, spostamenti, alterazioni, storie inventate da parte del signor Frank; quelle disonestà degli editori; quegli interventi di persone esterne, amici del signor Frank; l’esistenza di due libri così diversi presentati come uno unico, il Diario; tutto ciò rivela che si tratta di un lavoro che non può, in nessun modo, conservare il prestigio confacente a una testimonianza autentica. Le inconsistenze dei vari testi sono di ogni genere. Riguardano il linguaggio e lo stile, la lunghezza e la forma dei brani che costituiscono il Diario, il numero e il tipo di aneddoti riportati, la descrizione degli luoghi, la menzione delle realtà materiali, i dialoghi, le idee scambiate, i gusti espressi; esse concernono le stesse personalità dei personaggi principali, a cominciare da Anna Frank, la cui personalità dà l’impressione di vivere in un mondo puramente inventato.
102. Il signor Frank, offrendosi come garanzia personale dell’autenticità di questo lavoro, che altro che non è che un racconto inventato, ed essendo inoltre intervenuto palesemente in tutte le fasi della genesi di questo libro, ha firmato ciò che si suole chiamare una frode letteraria. Il Diario va collocato nello scaffale, già affollato, delle memorie false. Il periodo del nostro dopoguerra è stato fertile di lavori e di scritti di questo genere. Tra i lavori falsi, apocrifi, o sospetti (sia interamente che per inserimento di elementi estranei) si possono annoverare: le varie “testimonianze” di Höss, Kurt Gerstein, Miklos Nyiszli, Emmanuel Ringelblum, le memorie di Eva Braun, Adolf Eichmann, Walter Schellenberg, ma anche il documento intitolato “La preghiera di Giovanni XXIII per gli ebrei”.[9] Si devono menzionare in particolare i falsi diari dei bambini, questi ultimi falsificazioni opera dell’Istituto ebraico di storia a Varsavia, denunciati dallo storico francese Michel Borwicz, di origini ebraico-polacche; tra questi diari potrebbe figurare anche quello della tredicenne Therese Hescheles.[10]
103. Non vorrei che venisse dimenticato che uno dei falsi più celebri è uno scritto contro gli ebrei: I protocolli dei savi anziani di Sion; chiedo che non venga fraintesa la direzione che ho imposto ai miei studi sull’autenticità del Diario. Anche se ho la convinzione personale che quel lavoro sia opera del signor Frank, al quale, al ritmo di due lettere al giorno, sarebbero bastati tre mesi per imbastire la prima versione della sua goffa storia inventata; anche se ritengo inoltre che il signor Frank non credette che il suo lavoro potesse conoscere un successo così esteso (tale, allo stesso tempo, da fargli correre il rischio che i suoi errori terribili divenissero evidenti) e che per lui si possano trovare moltissime attenuanti; e anche se sono convinto che non abbia cercato di far montare la cosa in un raggiro tanto vasto, ma che si sia trovato come trascinato dalle circostanza a garantire tutte le conseguenze straordinariamente brillanti di un’impresa oscura e banale, nonostante tutto ciò, la verità mi obbliga a dire che Il diario di Anna Frank è solamente una semplice frode letteraria.
Poscritto (1° aprile 2003)
Alle pagine 117-119 dell’edizione di R.I.O.D., David Barnouw esterna la pretesa di riassumere ciò che vuole chiamare la mia perizia. Lo fa non senza insinuare che io sia un imbroglione.
Di tutti i miei argomenti di carattere materiale o fisico, ne prende in considerazione uno solo, quello dei rumori. Poi, di tutti i rumori, ne considera solamente tre e sostiene che in tutti e tre i casi avrei nascosto il fatto che Anna Frank aveva detto che i “nemici” non erano lì, e quindi non si correva il rischio che questi rumori fossero uditi. La mia risposta è che anche se magari non ci fossero stati “nemici” nelle vicinanze (per esempio, entrambi i magazzinieri), ma gli altri “nemici,” presenti in numero indefinito, avrebbero potuto udire quei rumori, quali quello dell’aspirapolvere che veniva passato tutti i giorni alle 12:30 pomeridiane, la “fragorosa risata,” o il “fracasso da giudizio universale.” D. Barnouw ha grandissime difficoltà a spiegare questi e una miriade di altri suoni, a volte spaventosi, in una casa dove avrebbe dovuto regnare un silenzio tombale. Inoltre, per risparmiarsi lo sforzo intellettuale, ha cercato un sotterfugio ricorrendo a considerazioni vaghe e oscure. In effetti scrive:
Il diario racconta che gli abitanti dell’annesso, anche loro, correvano molti rischi, soprattutto quella di essere uditi da altri se avessero fatto troppo rumore. Faurisson tuttavia non ha cercato di capire meglio la situazione complessiva della clandestinità in quanto tale, e in questo contesto, non è preoccupato per nulla del fatto che la famiglia Frank e i suoi compagni di clandestinità sono finiti per farsi arrestare (pagina 117).
D. Barnouw esprime lì un pathos che gli permette di concludere sfacciatamente: “Non è necessario, considerato quanto precede, sottoporre a un esame critico ciascuno dei punti citati da Faurisson” (p. 118). Per parte mia, trovo che questa ultima osservazione dimostri che le responsabilità del R.I.O.D. non hanno, per loro stessa ammissione, “sottoposto a un esame critico” una parte essenziale della mia perizia, quella relativa alle impossibilità fisiche o materiali della narrazione.
C’è un altro punto dove D. Barnouw insinua che io sia disonesto. A pagina 261 del libro di Serge Thion, ho detto di aver scoperto un testimone interessante durante la mia inchiesta sulle circostanze dell’arresto degli otto clandestini il 4 agosto 1944 ad Amsterdam. Ho scritto:
Quel testimone [nel 1978] scongiurò, me e il mio accompagnatore di non rivelare il suo nome. Ho promesso di non dire nulla a proposito del suo nome, ma terrò la mia promessa solo a metà. L’importanza della sua testimonianza è tale che mi sembra impossibile passarla sotto silenzio. Il nome di questo testimone e il suo indirizzo, nonché il nome del mio accompagnatore e il suo indirizzo sono stati scritti in una busta sigillata riportata nell’appendice n° 2: “Riservato” [da presentare al tribunale di alla corte di Amburgo].
D. Barnouw inizia citando queste righe, ma non senza eliminare la frase che rivela il motivo della mia discrezione, ovvero che il testimone ci “scongiurò” – era proprio questa la parola che usò – di non nominare. Lo stesso D. Barnouw poi aggiunge perfidamente:
Una fotografia di questa busta sigillata è riprodotta nell’appendice dell’indagine di Faurisson nella versione francese del 1980 [quella del libro di S. Thion]; saggiamente l’editore della versione olandese ha rinunciato a produrre questo pezzo di prova (pagina 119).
In altre parole, D. Barnouw fa credere al lettore che la mia busta in verità non contenesse nessun nome e che con questo presunto stratagemma mi sarei preso gioco del lettore. Per D. Barnouw, quella busta non era mai esistito o era vuota. La verità era che avevo davvero consegnato al tribunale di Amburgo una busta contenente i nomi e gli indirizzi del mio testimone e il mio accompagnatore. Oggi, a 22 anni di distanza, mi sento autorizzato a rivelare i nomi noti al tribunale: si tratta della vedova di Karl Silberbauer e di Ernst Wilmersdorf, entrambi residenti a Vienna.
Colgo l’occasione per rivelare anche i nomi di tre professori universitari francesi che a pagina 299 del libro di S. Thion viene detto che approvano la mia analisi del presunto diario di Anna Frank. Il primo non era altri che Michel Le Guern, che a quel tempo insegnava all’Università di Lione-2 e che ha appena pubblicato sulla prestigiosa Bibliothèque de la Pléiade una edizione critica dei Pensieri di Blaise Pascal; non si può immaginare una responsabilità maggiore in materia di critica testuale. Nel 1978, nell’ultima frase della sua dichiarazione, scrisse:
Certamente le convenzioni della letteratura autorizzano il signor Frank, o chiunque altro, a costruire, come tutti i personaggi immaginari di Anna Frank che vuole, a condizione però che non identifichi questi personaggi inventati con la persona di sua figlia.
Altri due professori universitari stavano per giungere a conclusioni simili, quando improvvisamente nel novembre 1978 nella stampa è esploso, il “caso Faurisson.” Si tratta di due professori della Sorbonne (Università di Parigi-4): Federico Deloffre e Jacques Rougeot.
Questi tre uomini sono ora in pensione; ecco perché ho deciso di rivelare i loro nomi. Non avevo preso, inoltre, nessun impegno di discrezione nei loro confronti.
_____________
[*] A Miep venne intimato di presentarsi al consolato tedesco, sembra per spiegare la sua mancata iscrizione all’associazione delle ragazze naziste. I nazisti le invalidarono il passaporto, concedendole 3 mesi per tornarsene a Vienna. Visto che questa disposizione sarebbe caduta se si fosse sposata con un olandese, Miep decise di sposare Henk. Per farlo però aveva bisogno del certificato di nascita depositato a Vienna. Chiese lumi allo zio, il signor Otto Frank, il quale le suggerì di spedire a Vienna, invece che il passaporto, solamente la fotocopia della prima pagina di esso dal momento che non mostrava che il passaporto era stato invalidato. Così fece, ottenendo il certificato di nascita; si sposò quindi con Henk [NdT].
***
Fotografia n°1: | La mappa di Amsterdam. Il Prinsengracht, nel cuore della città, è un punto di passaggio. | |
Fotografia n°2: | Vista aerea dell’immobile al numero civico 263 di Prinsengracht. Un immobile pittoresco e caratteristico della Amsterdam vecchia, circondato da edifici dello stesso tipo e visibile dappertutto e, in special modo, dalla torre della chiesa (Westerkirk). | |
Fotografia n°3: | Una fotografia della casa nel 1940. Una casa “tutta finestrata.” Gli edifici dei vicini di casa sono contigui alla casa. | |
Fotografia n°4: | La planimetria che il signor Frank propone ai lettori; manca il pianterreno e un’indicazione adeguata che informi i lettori che lo spazio che separa la parte anteriore dal retrocasa è una piccola corte larga 3,70 metri e comune a questa casa e alla casa dei vicini che si trova a destra [nella presente planimetria]. | |
Fotografia n°5: | L’“armadio girevole.” La fotografia di questa cartolina va confrontata con la mia fotografia n°8 riportata in questa appendice, la quale ci mostra che la finestra [adiacente l’“armadio girevole”] si affacciava sulla piccola corte e che, attraverso il vetro di tale finestra, si vedeva, a qualche centimetro, il corpo dell’edificio del retrocasa. Alla polizia sarebbe bastato accedere a quel pianerottolo per vedere che c’era un retrocasa. | |
Fotografia n°6: | La cameretta di Anna Frank e del dentista Dussel. Si vede perfettamente dai vicini di via Keizersgracht, perfettamente visibili come potete notare voi stessi. | |
Fotografia n°7 à 11: | Cinque fotografie rivelatrici. I vicini nel lato destro (al numero civico 265 di Prinsengracht) potevano vedere facilmente ciò che succedeva al numero 263. Le fotografie n°9 e n°10 mostrano che c’erano sette luci che davano sul numero 263. | |
Fotografia n°12: | La parte posteriore del retrocasa. Si poteva accedervi facilmente. Questo spazio verde è sempre stato comune al numero civico 263 di Prinsengracht e al 190 di Keiszergracht. Si potevano scorgere facilmente l’applicazione e la rimozione delle tende “colorate,” il fumo proveniente dal camino sulla sinistra, ecc. | |
Fotografie n°13 e n°14: | Due campioni della calligrafia di Anna Frank. Una scrittura da bambina quattro mesi dopo quella da adulto? |