Lucette festeggia oggi i suoi cent’anni *
Oggi, 20 luglio 2012, la vedova di Louis-Ferdinand Cèline festeggia i suoi cent’anni nella loro antica dimora, al n° 25 della Route des Gardes, a Meudon in periferia parigina. Essa è nata Lucie Georgette Almansor, chiamata Lucette Almanzor (con una “z”), nella 20ma circoscrizione di Parigi. È precisamente in questa casa che Céline, gravato di lavoro e di sofferenza, è morto il 1° luglio 1961. Di sua moglie aveva detto che essa era “Ofelia nella vita, Giovanna d’Arco nella prova”. Con il passare del tempo, il comportamento dei persecutori della coppia suscita vergogna. Ancora oggi, perfino tra i celiniani, ci sono non solo dei giustizieri che continuano ad istruire a carico il processo di Céline ma anche dei vili che tacciono davanti alla stupidità, all’odio e alla censura degli epuratori.
Per quanto riguarda il suo incontro nel 1936 con Louis-Ferdinand, Lucette aveva confidato: “Devo dire che egli mi incuteva molto timore. Durante un anno e mezzo ci siamo rivisti ogni tanto senza che da parte mia pensassi ad alcunché di serio. Ma poi un giorno… Credo che sia stata la sua bontà, che era immensa, quello che mi ha colpito di più”. Essa ha fatto questa confidenza durante un’intervista accordata a Jean-Claude Zylberstein: l’articolo è comparso in Combat il 21 febbraio 1969 ed è stato ripubblicato da David Alliot in “Les Cent ans de Lucette Destouches”, Spécial Céline, n° 5, (maggio/giugno/luglio 2012), p. 7-10; p. 8).
Un argomento di riflessione si impone alla mente: l’ostilità di Céline dinanzi al popolo eletto sarebbe dovuta in parte alla “sua bontà che era immensa”?
Invito il lettore del 2012 a riflettere prima di prorompere in esclamazioni.
Per cominciare, egli vorrà ben pensare alla possibile bontà dei grandi scrittori satirici e, in generale, all’orrore e alla paura che gli ispirano i ricchi, i potenti e i violenti che, proprio loro, sono sempre i primi a mandarvi in guerra, alla crociata, insomma al “casse-pipe”, al “massacro”.
Poi si mediterà sulla bontà possibile di Shakespeare o di Molière e sul candore ingenuo di Don Chisciotte, il cavaliere dalla triste figura che, ridicolo e talvolta grottesco, non aveva manifestamente i mezzi per far trionfare la causa per cui si batteva: un ideale di pace e di giustizia impregnata d’amore.
Infine, si ricorderà di Paul Morand, per quanto riguarda Céline, l’espressione riportata nell’articolo su menzionato: “La sua vita fu un donarsi continuo, più totale di tutte le vite dei curati di campagna” (ibid., p. 9).
Nelle sue quattro satire che, da parte mia, non definisco “pamphlet” (Mea Culpa nel 1936, Bagatelles pour un massacre [des Aryens] nel 1937, L’École des cadavres [aryens] nel 1938 e Les Beaux Draps nel 1941) egli ha dato prova che era di cuore, nel pieno significato della parola: il buon cuore e il coraggio del chevalier o del cavaliere des Touches (sulle ragioni della mia preferenza per la parola “satire” si vorrà rifarsi a Les satires, et non les pamphlets, de Céline, 26 dicembre 2000).
Sempre nel 1969 e sempre nel suo colloquio con J.-C. Zylberstein, Lucette precisava: “Per Céline, battersi contro gli ebrei [nel 1937] significava battersi contro i fautori di una guerra di cui egli presentiva che sarebbe stata orribile […] per Céline gli ebrei erano i ‘Grossi’.” In effetti, Céline si è mostrato d’una straordinaria chiaroveggenza nell’annunciare e nel denunciare la minaccia di una nuova carneficina mondiale. A partire dal 1933 gli appelli delle organizzazioni ebraiche alla crociata generale contro la Germania nazional-socialista avevano assunto un’inclinazione ossessiva che doveva sfociare nel novembre 1938 a Parigi nell’assassinio del diplomatico tedesco Ernst von Rahm per mano di Herschel Grynspan. A sua volta questo assassinio doveva, come rappresaglia, innescare in alcune città tedesche gli orrori de “La Notte di Cristallo” che, a loro volta, dovevano alimentare il fuoco del bellicismo ebraico. Proseguendo il suo dire, Lucette dichiarava: “Adesso, dopo l’orribile cosa che si è prodotta durante la guerra, in tutti quei campi di concentramento, non si può più giudicare retrospettivamente. Così Louis ed io ci siamo sempre opposti alla ristampa dei suoi tre pamphlet [Bagatelles pour un massacre, L’École des cadavres, Les Beaux Draps]”. Sta di fatto che Céline non voleva queste riedizioni e lo si comprende: egli soffriva già abbastanza senza che ci fosse bisogno di provocare una nuova collera ebraica e correre il rischio di un assassinio il cui autore avrebbe potuto essere poi assolto tra gli applausi degli ebrei come lo era stato a Parigi, il 26 ottobre 1927, Samuel ovvero Scholem Schwartzbard, l’assassino dell’atamano Petliura falsamente accusato di pogrom in Ucraina. Quanto all’“orribile cosa” e a “tutti quei campi di concentramento”, Céline non sembra che sia stato vittima delle messe in scena fotografiche e cinematografiche in cui i vincitori avevano messo l’“orribile” effetto dei loro propri crimini sul conto dei vinti. Nelle sue città ridotte in cenere come nei lager devastati dalle epidemie, la Germania vinta offriva alla vista di tutti l’abominevole risultato d’una politica di blocco e di guerra aerea totale condotta da Roosevelt e Churchill contro le popolazioni civili mentre nella Germania orientale l’Armata rossa seminava il terrore con gli stupri e le carneficine. Céline non cadeva nella trappola della nostra epoca e, in particolare, non credeva a quella delle pretese camere a gas naziste.
“Godan” o “Godant”: era affezionato a questa parola che si trova, ad esempio, nelle Mémoires del duca di Saint-Simon e che significa “frottola”, “imbroglio”, “inganno”. Da parte sua, egli avrebbe potuto usarla a proposito del peggior inganno dei tempi moderni, quello della “magica camera a gas”: “Era tutto la camera a gas! Questa permetteva TUTTO!”, scriveva già in una lettera indirizzata ad Albert Paraz il 28 novembre 1950 dopo di aver letto Le Mensonge d’Ulysse del revisionista Paul Rassinier. (Tuttavia divenuta così nota e così importante, questa lettera non è stata pubblicata da Henri Godard e Jean-Paul Louis, celiniani convinti, nella loro voluminosa Choix de lettres de Céline et de quelques correspondants (1907-1961), Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Parigi 2009, XLIV-2035 p.). Vedete la mia premessa alla Préface au Mensonge d’Ulysse de Paul Rassinier, opuscolo edito da Akribeia nel 1999: la prefazione in questione è firmata da Albert Paraz e data dal 1950.
Céline non ha mai rinnegato i suoi scritti. Egli considerava che, visti gli avvertimenti che aveva indirizzato ai suoi compatrioti contro il bellicismo ebraico e contro l’imminenza di una nuova guerra mondiale e visto ciò che gli era personalmente costato il suo donchisciottismo, non aveva alcuna scusa da presentare. Al contrario, era dagli altri che attendeva delle scuse. Queste scuse, lui non è più qua per riceverle, ma, nel fondo del suo cuore, nessun dubbio che all’età di cento anni, la sua sposa, “Ofelia nella vita, Giovanna d’Arco nella prova”, le attende ancora, fosse anche senza illusioni, a Meudon, al n° 25 della Route des Gardes.
20 luglio 2012
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* Questo testo sviluppa il contenuto d’un semplice messaggio elettronico indirizzato, alla stessa data e sotto il medesimo titolo, unicamente ai miei corrispondenti francesi.