Sono i nazisti che hanno inventato la menzogna delle camere a gas!
Nota del 7 luglio 2010: L’articolo che si leggerà qui sotto data al 31 gennaio 1987. Mostra a quale punto, 23 anni fa, il dubbio sulla realtà delle pretese camere a gas naziste divorava tormentava già l’intellighenzia sterminazionista. In seguito, nel 1988, Arno Mayer, professore (ebreo) all’Università di Princeton, scriverà: “Le fonti per lo studio delle camere a gas sono allo stesso tempo rare e dubbie” (“rare and unreliable”: vedere il mio studio Le Vittorie del Revisionismo, punto n° 13). Nel 1996, lo storico francese Jacques Baynac constatava, in merito a queste camere, “l’assenza di documenti, di tracce o d’altre prove materiali” (vedere Le Vittorie…, punto n° 17). Quattro anni dopo, venivamo a sapere che Jean-Claude Pressac, che pure s’era fatto il più ardente difensore della tesi della loro esistenza, aveva finito per scrivere (in uno studio terminato il 15 giugno 1995 e reso pubblico nel 2000 da Valérie Igounet) che queste camere a gas, così come, nel suo complesso, la storia ufficiale dei campi, erano ormai votate “alle pattumiere della storia” (vedere Le Vittorie…, punto n° 18). Infine, il 27 dicembre 2009, Robert Jan van Pelt, professore (ebreo) all’Università di Toronto, ultimo storico a farsi forte di provare l’esistenza di queste camere a gas ad Auschwitz e Birkenau, ha appena dichiarato che in questa materia: “Del 99% di ciò che sappiamo, non abbiamo gli elementi materiali per provarlo”. Da parte sua, egli si accontenta di avere in merito “una certezza morale” (“a moral certainty”) e preconizza che si lasci all’abbandono il complesso di Auschwitz-Birkenau che, materialmente, non prova per così dire nulla di ciò che milioni di pellegrini si immaginano ancora di trovarvi (vedere A case for letting nature take back Auschwitz, Toronto Star, 27 dicembre 2009). La scienza storica ha decisamente abbandonato le magiche camere a gas; non resta nient’altro che la religione, quella del preteso “Olocausto” degli ebrei, per supportare un’impostura che un giorno si inscriverà negli annali della storia come una delle più mirabolanti e delle più degradanti invenzioni umane.
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In Francia, negli ambienti appena informati, non si crede più tanto nelle camere a gas. Su questa questione, come scrive G. A. Amaudruz, “i massimalisti ebrei avvertono che la partita sfugge loro di mano”. Essi sono pronti a mollare le camere a gas per salvare meglio il mito del genocidio o dello sterminio degli ebrei. La loro tesi, che inquieta molto Pierre Vidal-Naquet per il quale abbandonare le camere a gas è “capitolare in campo aperto”[1], può così riassumersi: c’è stato uno sterminio degli ebrei su vasta scala; non sappiamo come questo sterminio è stato condotto; i Tedeschi, da parte loro, lo sapevano ma, dopo la guerra, anziché rivelare agli Alleati il mezzo impiegato, costoro nelle loro confessioni hanno inventato questa storia di camere a gas; nella loro mente, significava preparare contro gli ebrei una specie di “bomba a scoppio ritardato”; gli ebrei dovevano credere a questa storia e dovevano difenderla fino al giorno in cui sarebbe scoppiato palesemente che gli ebrei stavano difendendo una grossa menzogna.
Questa tesi è laboriosa; essa è, tuttavia, molto meno faticosa delle elucubrazioni di Shoah (film di Claude Lanzman) o dei testimoni dell’attuale processo Demjanuk a Gerusalemme. Due insegnanti d’origine ebrea, Ida Zajdel e Marc Ascione, l’esprimono in questi termini:
I nazisti in fondo si trovano in una buona posizione per sapere come sono morti i milioni di deportati, principalmente di religione o d’origine ebraica, di cui i corpi non sono mai stati ritrovati. Essi sanno anche perché hanno truccato le proprie “confessioni”. Con le camere a gas, essi credevano di avere in mano una “bomba a scoppio ritardato”, uno strumento di diversione e – perché no? – di ricatto. Manifestamente, si è fatta passare la parola: negli anni di guerra fredda, Paul Rassinier, ex deportato socialista il cui anticomunismo l’aveva condotto all’estrema destra; nel 1978, Darquier de Pellepoix, ex commissario alle Questioni ebraiche di Vichy, sostituito da Faurisson nel contesto di tutta una campagna; oggi l’estrema destra, [Henri] Roques ed il rexista belga Degrelle, mentre agli USA, in un Institute for Historical Review, si agita uno sciame di “revisionisti”. Questi signori devono sapere che hanno ucciso la gallina dalle uova d’oro e che le loro speculazioni sono durate a lungo: se le camere a gas non sono esistite, esse non potevano essere il pezzo forte del genocidio, dello sterminio degli ebrei su vasta scala, che sono un fatto storico che nessuno può permettere che si contesti (Courrier des lecteurs, “Sur Faurisson”, Article 31, n° 26 gennaio-febbraio 1987, p. 22).
Article 31 è una pubblicazione che esce dieci volte all’anno (BP 423, 75527 Paris cedex 11). Promuove la repressione contro coloro i quali “non rispettano i termini” dei trenta articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Essa suggerisce la creazione di un “articolo 31” che permetterebbe questa repressione.
Aggiunta: Ricordo qui che, in un’intervista pubblicata dal settimanale VSD, Serge Klarsfeld ha riconosciuto che, finora, non si erano ancora pubblicate delle vere prove dell’esistenza delle camere a gas, ma solamente degli inizi di prove”.[2] Questo fa ben vedere in quale stima considera delle opere come Les chambres à gaz ont existé o Les Chambres à gaz, secret d’État. Se S. Klarsfeld ha ragione, ogni storico ha il diritto ed anche il dovere di dubitare dell’esistenza di queste camere a gas.
Traduzione a cura di Germana Ruggeri
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[1] P. Vidal-Naquet, « Le Secret partagé » [resoconto del libro Les Chambres à gaz, Secret d’État], Le Nouvel Observateur, 21 settembre 1984, p. 80.
[2] VSD, 29 mai 1986, p. 37.