Contro l’Hollywoodismo, il Revisionismo
Il termine Hollywoodismo designa la trasformazione, spesso menzognera, della realtà tramite lo spirito e le pratiche di tutto un cinema americano. In un primo tempo, descriverò in termini generali la malvagità dell’Hollywoodismo. In un secondo tempo, descriverò i misfatti dell’Hollywoodismo nella formazione dell’impostura dell’“Olocausto”, vale a dire nella costruzione del mito del genocidio, delle camere a gas e dei sei milioni di ebrei uccisi durante la Seconda Guerra mondiale dai Tedeschi. Infine, in un terzo ed ultimo tempo parlerò del Revisionismo come antidoto par excellence contro l’Hollywoodismo e la sua incessante, aggressiva campagna pubblicitaria in favore della religione dell’“Olocausto”.
1. L’Hollywoodismo e la sua malvagità
Secondo l’American Heritage Dictionary, “Hollywood” può designare “l’industria cinematografica americana” ma anche “Un’atmosfera od un tono appariscente e volgare, che si ritiene associato all’industria cinematografica statunitense”. Usato come aggettivo, la parola significa sia “riguardante l’industria cinematografica americana: un film di Hollywood, un produttore di Hollywood”, sia, secondo la citazione data: “Appariscenti e volgari, i loro vestiti erano puro Hollywood.”
Un esempio ben noto dell’ideologia diffusa da questa industria del film è che il mondo si divide essenzialmente in Buoni e Cattivi. I Buoni sono gli Stati Uniti ed i Cattivi tutti coloro che gli Stati Uniti decretano essere tali. I Buoni sono fondamentalmente Buoni ed i Cattivi fondamentalmente Cattivi. Gli Stati Uniti sono sempre nei loro diritti e vincono mentre i Cattivi sono sempre dalla parte del torto e perdono. Non si può né si deve dunque avere nessuna pietà per i vinti: la loro sconfitta prova che essi erano davvero dei criminali. I vincitori si arrogheranno il diritto di giudicare o di far giudicare i vinti.
Tutti hanno in mente quelle che vengono chiamate le “atrocità naziste”, in particolare le immagini di cadaveri ambulanti, o di cadaveri propriamente detti. Ora, sono 67 anni che Hollywood ce li presenta come la prova che i Tedeschi possedevano delle officine della morte: fabbriche dove le SS passavano il loro tempo ad uccidere prevalentemente degli ebrei. In realtà, questi cadaveri erano la prova che, a causa della distruzione sistematica da parte degli Alleati delle città tedesche, la Germania nel 1945 era in piena agonia: gli abitanti che erano sopravvissute al diluvio di ferro e di fuoco vivevano fra le macerie o in buche, esposti al freddo e alla fame; spesso non vi erano più né cibo, né medicine; gli ospedali e le scuole erano distrutti, i treni ed i convogli non circolavano praticamente più; i rifugiati dall’Est, terrorizzati dai crimini e dagli stupri dell’Armata Rossa, si contavano a milioni. Nel 1948 il regista italiano Roberto Rossellini ha onestamente descritto questa situazione in Germania Anno Zero. Perciò non ci si dovrebbe sorprendere che nel 1945, nei campi di lavoro o di concentramento regnassero la mancanza di viveri e le epidemie di tifo, di febbre tifoide, di dissenteria mentre i medicinali ed i prodotti di disinfezione come lo Zyklon B venivano drammaticamente a mancare.
Hollywood ha avuto, insieme al cinema britannico e alla propaganda sovietica, una terribile e diretta responsabilità sia nelle menzogne che hanno accompagnato la cosiddetta scoperta dei campi di concentramento tedeschi (1945) sia nel vergognoso lynching party (l’espressione è di Harlan Fiske Stone, all’epoca presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti) del processo di Norimberga (1945-1946) dove i vincitori coalizzati si sono eretti a giudici e a giuria dei vinti. È ben vero che nel 1945, anche un campo di concentramento privilegiato come quello di Bergen-Belsen offriva una visione da incubo. Ma gli orrori che vi si sono scoperti allora non erano stati creati dai Tedeschi. Essi erano imputabili alla guerra e, in particolare, ad una guerra aerea condotta spietatamente, proprio fino alla fine, da parte degli Alleati contro… i civili. Occorreva un bel cinismo per mostrare questi orrori puntando un dito accusatore in direzione dei vinti, mentre i principali responsabili erano l’US Air Force e la Royal Air Force. Nell’aprile del 1945, non potendo più resistere, il comandante del campo di Bergen-Belsen, il Capitano delle SS Josef Kramer, aveva inviato degli uomini incontro alle truppe del Maresciallo britannico Montgomery per informarle che esse si avvicinavano ad un terribile focolaio di infezione, e che non bisognava quindi rilasciare immediatamente i prigionieri, per il rischio che questi ultimi contaminassero la popolazione civile ed i soldati britannici. Questi ultimi hanno accettato di collaborare con la Wehrmacht. Giunti sul posto, hanno trattenuto gli internati cercando di curarli, ma la mortalità è rimasta per molto tempo spaventosa. I Britannici hanno voluto sapere quante persone erano state sepolte nelle ampie fosse comuni. Hanno estratto i cadaveri, li hanno contati e poi un ufficiale britannico, con l’aiuto di un bulldozer, ha fatto spingere i cadaveri in direzione di sei grandi fosse, dove i suoi soldati hanno costretto alcune guardie SS a gettarveli a mani nude. Ma, ben presto, questa realtà è stata trasformata dai servizi di propaganda cinematografica. Si è fatto credere che questi cadaveri fossero quelli di gente uccisa nell’ambito di un presunto programma di sterminio. Una fotografia scattata da un aereo e che mostra da lontano il bulldozer ha permesso di far credere che il veicolo fosse guidato da un soldato tedesco, nello adempimento del suo quotidiano lavoro di impiegato di una fabbrica della morte. In un caso, una foto presa da vicino mostrava la base della macchina che spingeva dei cadaveri, ma lo scatto “decapitava” il conducente in modo tale che, non potendo vedere che si trattava di un Britannico, s’immaginava che il conducente fosse tedesco.
In generale, gli Americani hanno moltiplicato le falsificazioni di questa natura. Il generalissimo statunitense Eisenhower è stato il grande organizzatore di questo Hollywoodismo esacerbato. Si è fatto venire sul posto, in uniforme da tenente colonnello, il famoso regista di Hollywood George C. Stevens. La sua equipe ha girato 80.000 piedi (24.400 metri circa) di pellicola di cui egli ha selezionato per il sostituto procuratore Donovan 6.000 piedi (1.800 metri circa, ovvero il 7,5% del totale). Sono questi spezzoni, scelti accuratamente dall’accusa americana che, il 29 novembre 1945, all’alzarsi del sipario del famigerato “Processo di Norimberga”, sono stati proiettati dinanzi alla stupefazione del mondo intero [sotto il titolo “Nazi Concentration Camps”] ; alcuni degli imputati tedeschi, sconvolti, ne hanno dedotto che Hitler aveva perpetrato, alle loro spalle, un enorme crimine. È in questo senso che si può dire del “processo di Norimberga” che esso ha suggellato il trionfo dell’Hollywoodismo.
2. L’Hollywoodismo nella costruzione del mito dell'”Olocausto”
L'”Olocausto” degli ebrei è diventato in seguito una sorta di religione di cui le tre principali componenti sono lo sterminio, le camere a gas e i sei milioni di martiri. Secondo un articolo di fede di questa religione Hitler avrebbe ordinato e pianificato il massacro sistematico di tutti gli ebrei d’Europa; così facendo, avrebbe commesso un crimine senza precedenti, un reato specifico, chiamato più tardi genocidio. Poi, al fine di perpetrare questo specifico crimine, avrebbe fatto notoriamente mettere a punto un’arma specifica, un’arma di distruzione di massa, la camera a gas, funzionante nello specifico con un potente insetticida, lo Zyklon B, un prodotto a base d’acido cianidrico. Il risultato finale di questo enorme crimine sarebbe stata la morte di sei milioni di ebrei europei. Il campo di Auschwitz-Birkenau sarebbe stato il punto centrale, il punto culminante, il Golgota di questo orrore. Dopo la guerra si è sviluppata intorno a questa santa trinità dell'”Olocausto” tutta una propaganda, tutta un’industria dell’”Olocausto”, tutto un commercio, lo “Shoah-Business”. Negli Stati Uniti, l’industria cinematografica si è nutrita di questa credenza e l’ha propagata in tutto il mondo occidentale. È soprattutto a partire dal 1978, che una simile propaganda si è sviluppata, in particolare con i quattro episodi della miniserie americana Holocaust che raccontava la saga della famiglia Weiss. Non è affatto esagerato dire che la proiezione di questo romanzo d’appendice è diventata, a partire dal 1979, quasi obbligatoria in tutta una parte del mondo. Essa ha scatenato una valanga di film, tra i quali Schindler’s List di Steven Spielberg, La vita è bella di Roberto Benigni, Il pianista di Roman Polanski. In Francia, nel 1985, Claude Lanzmann ci ha gratificati con un documentario-documenzognero di oltre nove ore: Shoah. Il numero di Emmy Awards, di Oscar o di altre ricompense-premio attribuite a film di questo genere è davvero stupefacente. Un magnate dell’Entertainment Industry, Andrew Wallenstein, ha dichiarato una volta nel Hollywood Reporter: “Diciamolo, semplicemente: la vera ragione per cui vediamo così tanti film sull’Olocausto è che essi sono delle esche per pescare premi.” È da tali constatazioni che è nata la formula There’s no business like Shoah Business (“Non c’è business come lo Shoah business”), ispirato al refrain, notoriamente cantato da Liza Minnelli, della canzone “There’s no business like Show Business“.
3. Il revisionismo è un antidoto al veleno dell’Hollywoodismo
Il revisionismo non è un’ideologia ma un rimedio alla tentazione dell’ideologia. È un metodo. Che si tratti di letteratura, di scienza, di storia, dei media, che si tratti di una qual si voglia attività umana, esso sostiene che si stabilisca la realtà di un fatto preliminarmente da ogni considerazione su di esso. Ciò che si crede d’aver visto, inteso, o letto, bisogna nuovamente vederlo, comprenderlo, leggerlo. Bisogna diffidare delle prime impressioni, delle emozioni, delle voci, non fidarsi di nulla e di nessuno, fintantoché non si sia condotta a fondo la propria indagine, e ciò a maggior ragione se si studia una diceria di guerra, perché, non dimentichiamolo, in tempo di guerra la prima vittima è la verità.
Il poco tempo che mi resta non mi permette, sfortunatamente, di descrivere qui come ed a quale prezzo, in una cinquantina d’anni di ricerche, io sia giunto, con molti altri revisionisti, alla conclusione che “l’Olocausto” non sia decisamente altro che una gigantesca impostura, come del resto avevo potuto convincermene dopo qualche anno. Già il 17 dicembre 1980 riassumevo questa conclusione in una frase in francese di sessanta parole di cui oggi non ne cancellerei neppure una. Ecco la traduzione in italiano: “Le pretese camere a gas hitleriane ed il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha permesso una gigantesca truffa politico-finanziaria di cui i principali beneficiari sono lo Stato di Israele ed il sionismo internazionale, e le cui principali vittime sono il popolo tedesco – ma non i suoi dirigenti – e l’intero popolo palestinese.”
Per farsi un’idea delle spettacolari vittorie riportate contro questa impostura, grazie ai lavori dei revisionisti, ci si potrà riferire a due studî che compaiono su questo sito: Le Vittorie del revisionismo (carta della conferenza per Tehran dell’11 dicembre 2006) e Le Vittorie del revisionismo (seguito) (11 settembre 2011). Non è esagerato dire che attualmente in Francia, ed altrove nel mondo, gli autori che difendevano la tesi dell'”Olocausto” sono pienamente allo sbando. Il guaio è che la censura e la repressione impediscono ancora al grande pubblico di conoscere questa buona novella; ma con Internet, i tempi cambiano e lo fanno velocemente.
Conclusione
La credenza generale del mondo occidentale nell'”Olocausto” è stata per lungo tempo la spada e lo scudo del sionismo. Ma oggi il revisionismo mette in pericolo questa credenza. Questa conferenza sull’Hollywoodismo segnerà, io penso, un’ulteriore tappa nella nostra lotta comune, una lotta per i diritti di tutti – in particolare dei Palestinesi – una lotta affinché il mondo si liberi da una tirannia fondata sulla Più Grande Menzogna dei tempi moderni.
Tehran, 3 febbraio 2012
Traduzione a cura di Germana Ruggeri