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Il metodo revisionista applicato alla storia della terza guerra mondiale

Il governo americano si ritiene in stato di guerra mondiale contro ciò che esso definisce il terrorismo internazionale. Ha fatto la guerra all’Iraq perché, secondo lo stesso governo, Saddam Hussein possedeva armi di distruzioni di massa che minacciavano gli Stati Uniti. In appoggio a quest’accusa, gli americani non hanno esibito, fino ad ora, la minima prova, ma soltanto dimostrazioni fumose.

Alcuni osservatori pensano che questa mancanza di vere prove deve imbarazzare sia la Casa Bianca che coloro i quali, nella comunità internazionale, hanno appoggiato George W. Bush e Tony Blair per convincerci che Saddam Hussein era in possesso di tali armi.
 Questi osservatori si sbagliano. Non conoscono la storia della propaganda di guerra. Al riguardo, essi dovrebbero consultare gli autori revisionisti. Imparerebbero quindi che, per il pubblico in generale, la miglior prova dell’esistenza di queste armi, è esattamente la mancanza di tracce o di prove.

Menzogne d’altri tempi

Ricordiamoci i processi di stregoneria, i processi ai “criminali di guerra nazisti” e i processi intentati ai revisionisti. 

Nei secoli scorsi, in particolare dal 1450 al 1650, ma anche verso la fine del XVIII° secolo, se si credeva a certi tribunali ecclesiastici e a dei sapienti, sul corpo di una donna esistevano sessanta punti dove potevano celarsi le tracce di una copulazione col Maligno.
Tuttavia, altri tribunali ed altri saggi non meno sapienti giudicavano che, a dispetto delle precisazioni riportate da questi esperti, la miglior prova in materia stava nel fatto che il Maligno aveva cancellato ogni traccia del suo passaggio; altrimenti, non sarebbe stato il Maligno.
Nel secolo scorso, specialmente a partire dal 1945-1946, al processo-farsa di Norimberga, fino a quelli odierni, contro le “guardie dei campi”, i “criminali di guerra”, i “collaborazionisti dell’occupante” e infine nel corso dei processi intentati ai revisionisti, si è osservato un fenomeno analogo in merito al preteso genocidio degli ebrei e delle pretese camere a gas naziste.
I dotti hanno innanzitutto sostenuto che, vista l’abbondanza di prove e di testimoni, era sufficiente affermare che questi orrori erano “pubblicamente noti” (Art. 21 dello statuto del Tribunale militare internazionale di Norimberga).
Altri dotti hanno persino voluto procedere ad una dimostrazione, ma alla fine ne è uscito che, secondo il parere di questi esperti, non si poteva, tutto sommato, che scoprire degli “indizi” accompagnati da testimonianze da prendere con cautela (vedi, ad esempio, il caso di Jean-Claude Pressac, autore di un’opera voluminosa, in inglese, dedicata alle camere a gas di Auschwitz, nonché il caso di Robert Jan van Pelt, autore di due libri sull’argomento).
Infine, quelli più scaltri scelsero di affermare: “tutti sanno che i nazisti hanno distrutto queste camere a gas e soppresso sistematicamente tutti i testimoni”. Tale dichiarazione fu fatta, stavolta, da Simone Veil (France-Soir Magazine, 7 maggio 1983, pag. 47) la quale ci faceva capire che Hitler non sarebbe stato Hitler se avesse lasciato una minima traccia del suo gigantesco crimine. Difatti, nei milioni di documenti che il nuovo Satana si sarebbe lasciato dietro, non fu trovato nessun ordine di uccidere gli ebrei, nessun piano per sterminarne milioni (ivi compreso nel verbale di una certa riunione tenutasi a Berlino-Wannsee), nessuna istruzione di dover eliminare fisicamente gli ebrei (ivi compreso nel caso delle Einsatzgruppen), nessuna traccia di programma finanziario per un’impresa così vasta, nessun camion a gas e nessuna camera a gas, se non delle grottesche camere a gas Potemkin maldestramente “ricostruite” dopo la guerra. È a tal guisa che il più dotto degli esperti, un signore ebreo di nome Raul Hilberg, ha finito per spiegare, come ultima risorsa, che la gigantesca carneficina fu messa in opera grazie ad “un incredibile [sic] rincontro di menti, una trasmissione di pensiero consensuale in seno ad una vasta burocrazia”, ben inteso, la burocrazia tedesca. Ancora più cornuto di Belzebù, Adolf Hitler non si era accontentato di cancellare tutte le prove del crimine ma, per poter meglio imbrogliare il mondo, aveva lasciato delle prove destinate a far credere che non aveva mai voluto sterminare gli ebrei. 
Prendendo tre esempi, all’inizio egli aveva garantito la salvezza a milioni di essi, poi, così come dicono i documenti, non aveva cercato altro, per risolvere “la questione ebraica in Europa”, che una “soluzione finale territoriale (vedi progetto del Madagascar), e alla fine le sue corti marziali avrebbero fatto fucilare dei tedeschi che si erano resi colpevoli dell’assassinio di ebrei. E così via. Quanto alle magiche camere a gas, egli le fece sparire così bene che nessuno poteva rilevare la sfida dei revisionisti che esigevano che venisse loro mostrata, o comunque, descritta o disegnata l’arma del delitto e che venisse loro spiegato come questi mattatoi chimici potevano funzionare senza uccidere il personale incaricato di sgomberare le camere a gas delle loro migliaia di cadaveri impregnati di cianuro e quindi resi intoccabili. Questa impossibilità di provare la loro accusa principale, nella quale gli ebrei sono stati messi, conferma il carattere completamente diabolico di Adolf Hitler.

Menzogne di oggi

In questo inizio di XXI° secolo, sembra che ci venga riproposto lo stesso scenario con le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Dico “sembra”, poiché qui è meglio sottolineare una differenza di spessore. Mentre la copulazione col Diavolo era fisicamente impossibile e la camera a gas nazista era chimicamente inconcepibile, bisogna riconoscere che le terrificanti armi di Saddam Hussein sono, in linea di massima, perfettamente possibili dal punto di vista fisico e chimico, se non altro perché i suoi accusatori, a partire da Ariel Sharon, ne possiedono loro stessi un grande numero, catalogate sotto l’innocente dicitura di “armi di dissuasione di massa”.

L’eterna grande menzogna

In tempo di guerra, tutti i regimi politici, quali che essi siano, quello di Saddam Hussein come quello di G. W. Bush, usano le menzogne più grossolane.
Per lanciare un paese in una guerra o per mantenere l’ardore guerriero oppure per giustificare una crociata militare, solamente la vecchia e grande menzogna parlerà alle folle. Una menzogna ingegnosa o di un nuovo tipo non otterrebbe lo scopo. Esistono delle ricette per provocare in una massa l’indignazione, la rabbia, la voglia di menare le mani e per suscitare, almeno temporaneamente, l’aspirazione ad impegnarsi corpo e anima in una causa bellica.
L’uomo politico che è pratico di masse conosce le virtù del semplicismo e sa che il colmo dei colmi consiste nel ricamare sui temi: “Io vi amo; amatemi!” oppure: “Io sono buono, Voi siete buoni e gli altri sono cattivi”.
Il televangelista intona: “Dio è amore, Dio è con noi ed è contro i cattivi”. La prima arma del normale truffatore non è l’ingegnosità nell’imbroglio ma la capacità di rendersi simpatico nell’approccio con la sua vittima e il fargli un discorso fra i più semplici. Nel responsabile di un paese in tempo di guerra, si ritrovano indubbiamente questi tratti ed espedienti del politico, del televangelista e dell’imbroglione. Da questo punto di vista, nel XX° secolo, Franklin D. Roosevelt è stato forse il più subdolo dei belligeranti. Bush figlio gli ruberà lo scettro?


La comodità della credulità

Il crimine perfetto non lascia alcuna traccia, alcuna prova. D’altronde l’accusa perfetta non si appoggia su nessuna vera prova. Colui che fa propaganda di guerra lo sa. Gli basterà recitare le eterne solite atrocità sul conto di un avversario che verrà descritto come un qualcuno che passa il suo tempo ad uccidere bambini, a usare armi invisibili, a gestire mattatoi umani. Queste recite riusciranno a sedurre solamente se non sono accompagnate da alcuna prova, o, al limite, se sono appoggiate da “indizi”, da “testimonianze” o da riferimenti a “fonti” non identificate. Delle solide prove presentano l’inconveniente di tenere a freno l’immaginazione e le passioni. Gli indizi hanno invece il vantaggio di dare l’impulso alla folla. Per quanto riguarda le testimonianze, esse toccano gli animi più sensibili, specialmente se sono accompagnate da lacrime o da scene di svenimento (specialità dei testimoni israeliani). Una calunnia gratuita e stereotipata avrà più successo di un’accusa circostanziata e sostenuta da prove. La ricetta preferita è quella di una fotografia vera accompagnata da una didascalia falsa. Ad esempio, la fotografia mostrerà dei morti ma la didascalia parlerà di uccisi, assassinati, sterminati. Il testimone ideale non fornisce, circa il crimine, altro che delle precisazioni imprecise e ciò consente a colui che gli presta fede di costruire la scena in base alla sua fantasia e di ricostruire lo scenario del crimine a modo suo.
Senza alcuna difficoltà e come su di un magico tappeto volante, la fantasia volerà verso Auschwitz, verso Timisoara o verso quell’ospedale di Kuwait City dove, secondo Bush padre, nel 1991 gli Iracheni staccarono le incubatrici dei neonati kuwaitiani.
Colui che ascolta o vede quel testimone si sente inondato di compassione, si diletta, ed appaga in un colpo solo il suo inconfessabile gusto per lo spettacolo horror, il suo bisogno di odiare e la sua aspirazione ai buoni sentimenti. Il propagandista oculato, inoltre, lascia a colui di cui abusa, l’illusione di una certa libertà personale.

Il bisogno di credere

La massa è semplice e non si dirà mai abbastanza del fascino che lo spirito semplice può provare nei ragionamenti elementari e, in particolare, il ragionamento circolare. Gli verrà detto, ad esempio, che la prova che quel tale è cattivo, è quella che è cattivo. La prova che quest’ultimo è cattivo, è quella che non ci ama. Se non ci ama, è perché è barbaro. Se è barbaro, è perché lui non vede le cose come le vediamo noi. Questo barbaro cattivo appartiene ad un altro mondo, che non può essere che un mondo inferiore. Se è un mondo inferiore, ne consegue che il nostro è un mondo superiore. Ecco che ci viene confermato che, se noi siamo buoni, il nostro nemico è per forza cattivo. Il cerchio si chiude, è perfetto. Qualsiasi altra prova è superflua, come il cavallo bianco di Enrico IV° che è bianco perché è bianco, come, allo stesso modo, non bisogna chiedersi come il crimine di massa attribuito a Hitler sia stato tecnicamente possibile; “esso è stato tecnicamente possibile poiché ha avuto luogo”. Questa mirabolante asineria è stata proferita, in una dichiarazione comune, da Leon Poliakov, Pierre Vidal-Naquet, Fernand Braudel e da una trentina di storici francesi i quali nel 1978-1979 erano stati da me pregati di rivelare in che modo le gasazioni degli ebrei, così come ci sono state raccontate, sarebbero state tecnicamente possibili (Le Monde, 21 febbraio 1979, pag. 23). Per quel che riguarda le armi di Saddam Hussein, se non le ha lui, vuol dire che sono da un’altra parte. Se non sono in Iraq, è perché si trovano in Siria, o in Iran, o sulla Luna. Il Diavolo sa dove. Ma cosa importa? Le masse hanno la memoria corta. Esse non chiederanno alcun rendiconto ai bugiardi. Per loro, con o senza armi, con o senza prove, il crimine del vinto resta un crimine ed il criminale vinto resta un criminale. Il ragionamento circolare trova deliziosamente spazio nelle circonvoluzioni cerebrali del sempliciotto. Ci si arrotola.
Rettiliano o meno, il cervello non è una massa relativamente molle, spugnosa, informe? 
Il cuore non è una pompa che aspira e rifluisce senza che ci si badi? La pigrizia non è voluttuosa? La riflessione non è stancante? Lo sforzo di memoria non è doloroso? 
Allora, perché in una società consumistica complicarsi la vita quando è sufficiente ricevere, assorbire, rigurgitare e poi a pancia piena e col cervello pieno d’aria, sentirsi di animo buono al fianco dello winning killer?

La terza guerra mondiale ricicla le vecchie menzogne

I dirigenti americani non hanno mai mostrato troppo interesse per la sfumatura o per il dettaglio.
 Almeno fin dal 1898, per giustificare le loro incessanti spedizioni militari, hanno impiegato le stesse invenzioni.
Perché dovrebbero cambiare? Queste invenzioni hanno coperto con successo gli orrori che i boys hanno collezionato durante la seconda guerra mondiale, durante la guerra del Vietnam e in occasione di almeno altre venti spedizioni militari. Queste stesse imposture sono servite a giustificare la mascherata del processo di Norimberga e si ritrovano nell’orrenda propaganda olocaustica, della quale, gli ebrei americani, sono diventati maestri.


Proprio recentemente, la Casa Bianca ed il suo contorno giudeo-israeliano, non hanno fatto altro che riciclare le più scalcinate invenzioni della propaganda di guerra, creando e sfruttando questa favola delle armi di distruzione di massa presumibilmente in possesso di Saddam Hussein, il quale, al momento buono, si è dimenticato di farne uso.
La loro seconda guerra in Iraq ha illustrato agli americani i progressi delle loro invenzioni in ogni campo tranne, da una parte, nella fabbricazione degli orrori prestati all’avversario e, dall’altra, nella fabbricazione delle presunte prodezze dei loro soldati. La loro propaganda è cambiata nella forma, ma il contenuto è lo stesso.
In via accessoria, ci sono stati propinati i sosia di Saddam Hussein, nonché la fiction eroica del presunto salvataggio della giovane Jessica Lynch.

I revisionisti hanno fortuna. Per la nuova guerra mondiale, il loro compito sarà agevolato. La propaganda bellica resterà imperturbabilmente la stessa. Jean Norton Cru per la prima guerra mondiale e Paul Rassinier per la seconda guerra mondiale, ci hanno, in qualche modo, già descritto le grandi imposture di questa terza guerra mondiale. Sarà sufficiente rileggere questi autori. Possiamo osare dire che essi hanno elencato un repertorio anticipato delle menzogne di Bush padre, di Bush figlio, di Blair e di Sharon.
La terza guerra mondiale sarà diversa dalle due grandi guerre che l’hanno preceduta, sarà innovativa per alcuni settori, ma la sua propaganda a base di racconti d’atrocità continuerà ad obbedire alla tradizione. Grossolana e pesantemente cinica, essa continuerà a illustrare una verità: in tempo di febbre guerriera, l’accusa che viene data in pasto le masse è quella che non è accompagnata da prove. A quest’assenza di prove autentiche, gli americani porranno rimedio con sceneggiature di spin doctors (scaltri manipolatori), con delle pagliacciate alla Powell (fingendo di agitare davanti alle telecamere un contenitore di gas iracheno) o ancora con delle infami messe in scena hollywoodiane nella tradizione del Shoah business e dell’Industria dell’Olocausto.

Applicato alla storia della terza guerra mondiale, il metodo revisionista offrirà almeno il vantaggio di stanare questo genere di imposture.

11 mai 2003