Il vero delitto di Erich Priebke: il suo revisionismo?
Nel 1944 il capitano della Wehrmacht Erich Priebke era a Roma quando una trentina dei suoi compagni d’armi furono vigliaccamente assassinati, fatti a pezzi da un ordigno che dei partigiani sotto comando comunista avevano piazzato in via Rasella. Ci furono anche un centinaio di suoi compagni d’armi feriti dallo stesso ordigno: una gran parte ne divenne cieca. Era specialmente sconvolto dal caso del giovane Italiano di 11 anni il cui corpo fu tranciato in due.
Quindi, aspettate un minuto, qual è l’uomo, qual è la donna che, in tali circostanze, potrebbe mantenere il proprio sangue freddo? Aggiungiamo a ciò che egli era fra coloro che hanno ricevuto l’ordine, venuto da Berlino e trasmesso dai suoi superiori, di giustiziare il giorno dopo, per rappresaglia, circa dieci uomini per ciascuna vittima. Un nuovo orrore dopo un primo orrore.
Le associazioni ebraiche, comuniste e altre che hanno preso ieri l’iniziativa di organizzare delle violenze infami contro i tentativi per trasportare la bara di Priebke verso una chiesa certamente pensavano al “crimine” di cui era accusato, ma ci si può chiedere se ai loro occhi il vero crimine del capro espiatorio non fosse il suo revisionismo (vedi: la sua intervista-testamento del luglio 2013). Nel momento in cui, dove sul piano strettamente storico e scientifico i revisionisti riportano vittoria su vittoria, si capisce il panico che sta aumentando sempre più tra i seguaci della religione dell’“Olocausto” o della “Shoah”. E poi – non è vero? – bisogna creare le condizioni necessarie affinché l’Italia, a sua volta, adotti una legge speciale contro il revisionismo.
17 ottobre 2013